
Una pagina dell’orrore, rivendicato fino alla fine
Pubblicato il 18 mag 2013
di Gianni Proiettis -
Jorge Rafael Videla, l’ex-comandante dell’esercito che con il golpe del 1976 instaurò in Argentina una delle più violente dittature militari, durò fino al 1983, è stato trovato morto nella sua cella all’alba di venerdì. Videla, il cui decesso è avvenuto «per cause naturali», aveva 87 anni e stava scontando varie condanne a vita per crimini contro l’umanità nel carcere di Marcos Paz, alla periferia di Buenos Aires. Insieme all’ammiraglio Eduardo Massera e al generale dell’aviazione Ramón Agosti, Videla fu protagonista del golpe che, il 24 marzo 1976, scalzò dal potere Isabelita Perón, sostituendola con una giunta militare e occupando lui stesso la presidenza fino al 1981, quando fu rimpiazzato da Roberto Viola. Sono gli anni in cui viene progettato ed eseguito il Plan Cóndor, un piano continentale che prevede la decapitazione della sinistra latinoamericana incarcerando e torturando a morte leader e militanti. O lanciandoli in mare con i famigerati vuelos de la muerte . Sono gli stessi anni in cui le dittature militari, in particolare l’argentina e la cilena, rubavano sistematicamente i neonati delle prigioniere politiche per darli in adozione a famiglie vicine al regime o perfino agli stessi torturatori. In una deposizione ai primi processi, che cominciarono nel 1983 con il ritorno alla democrazia, Videla definì «terroriste» le donne che partorivano nelle carceri della dittatura, da cui raramente uscivano vive. «Tutte le gestanti – disse in quell’occasione – che rispetto come madri, erano militanti attive della macchina del terrorismo. Usavano i loro figli come scudi umani». La responsabilità diretta nella sottrazione dei neonati gli è valsa nel 2012 un’ulteriore condanna a 50 anni di prigione, da sommare ai vari ergastoli. Bisogna ricordare che Jorge Videla non agì solo né di propria iniziativa, ma in un ampio contesto continentale di eradicazione violenta della sinistra (in Brasile, in quel periodo, operavano i Ccc, comitati di caccia al comunista). Oltre agli altri cinque paesi che collaboravano nel Plan Cóndor – Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay – la dittatura argentina contava sul supporto attivo ed entusiasta di Washington, che aveva addestrato molti dei militari golpisti nella sua famosa Escuela de las Americas . Videla contava anche – dispiaccia o no a papa Bergoglio – sulla forte simpatia della Chiesa cattolica. Il quotidiano di Buenos Aires Página12 cita testualmente le dichiarazioni rese dall’ex-dittatore in tribunale: «Mi relación con la Iglesia Católica fue excelente, muy cordial, sincera y abierta ». E continuava: «… perché la Chiesa fu prudente, non mi creò problemi né seguì la tendenza di sinistra e terzomondista di altre chiese del continente. Condannava alcuni eccessi, ma senza rompere le relazioni. Con il presidente della Conferenza episcopale argentina, il cardinale Raúl Primatesta, siamo diventati perfino amici». Videla non ha ricordato la sua intima amicizia con il nunzio apostolico, cardinale Pio Laghi, ma le loro periodiche partite di tennis testimoniano un legame solido e ampiamente noto. Dopo il ritorno della democrazia nel 1983, Videla, che era nato nella città di Mercedes il 2 agosto del 1925, fu condannato una prima volta all’ergastolo e privato del grado militare per i numerosi crimini di lesa umanità commessi dal suo governo. Nel dicembre 2010 la condanna fu ribadita, da scontare in una carcere comune. Nel luglio dell’anno scorso si è aggiunta una sentenza di 50 anni per il furto dei neonati. Martedì scorso, l’87enne ex-dittatore si era rifiutato di deporre in un processo sul Plan Cóndor, in cui 25 militari sono imputati di crimini contro l’umanità commessi durante la sua dittatura. Videla si è giustificato dichiarandosi «prigioniero politico» e dicendo che soffriva di una «crisi di memoria». Le organizzazioni di diritti umani calcolano in 30mila le vittime del suo regime, anche se Videla ne ammetteva «solo» 7-8mila, come confessò nella lunga intervista dietro le sbarre al giornalista Ceferino Reato, da cui il libro Disposicion Final. La confesiòn de Videla sobre los desaparecidos . «Era il prezzo da pagare per vincere la guerra contro la sovversione», disse. Nella biografia El Dictador , scritta dai giornalisti Maria Seoane e Vicente Muleiro e basata su interviste dirette, l’ex-militare ammette senza nessun imbarazzo di aver ordinato le stragi di oppositori durante la «guerra sporca». «Non è stato affatto difficile per me, era tutto sotto controllo, io sapevo tutto». Rifiuta però il termine «guerra sporca»: «Non esistono guerre sporche. Il cristianesimo crede nelle guerre giuste. E la nostra fu giusta». Di fronte alle ripercussioni e alle polemiche provocate dalla sua biografia, Videla inviò una lettera al quotidiano argentino L a Nación in cui ammetteva di aver dato le interviste ma smentiva molte delle dichiarazioni pubblicate.
il manifesto 18 maggio 2013
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