Il farsi storia delle utopie

Il farsi storia delle utopie

di Giovanni Russo Spena

Dopo anni di ruolo ancillare della politica rispetto ai poteri economici e finanziari, fortunatamente annotiamo che, in un “corpo a corpo” aspro con i poteri dominanti, si stanno manifestando, in Italia, in Francia, in Germania (e dovremmo analizzare con attenzione le nuove e i nuovi eletti al Congresso statunitense, una nuova generazione cresciuta, senza che i mass media se ne accorgessero, riparlando di socialismo), forme di resistenza, un’articolata e molecolare opposizione sociale. La novità è che essa è assolutamente priva di rappresentanza politica. In Italia, mi pare, è la Costituzione che sta svolgendo il ruolo di punto di riferimento ideale e politico, di aggregazione, di “spirito di scissione”, inteso come punto di vista “altro”. Come scrive Oscar Wilde: “Il progresso altro non è che il farsi storia delle utopie”.

Ma come si intersecano, mi chiedo, i valori costituzionali con il dinamismo dei conflitti sociali? Come farli vivere dentro le mutazioni antropologiche dei poteri, per il controllo attento di un establishment che sempre più, nei suoi comportamenti quotidiani, “fugge” dalla democrazia?  La nostra Costituzione delinea e regola una idea di democrazia organizzata e conflittuale. Forme della rappresentanza, del conflitto, dell’autoorganizzazione  si connettono dialetticamente, creando e ricreando di volta in volta difficili equilibri. Stiamo analizzando, in questo anno, cinquantenario del ’68, le dinamiche sociali, la sedimentazione istituzionale di una stagione di “assalto al cielo” che fu sconfitto ma che ancora parla a noi.  Penso che “autonomia del sociale” e “autonomia del politico”, se camminano in parallelo, senza mai connettersi, siano, siano state e saranno foriere di guai. L’incapacità della prima di costruire “massa critica”, formare sistemi di alleanze, delineare progetti. La seconda è spesso naufragata in sterili politicismi, istituzionalismi, spesso in una concezione retorica e liberista dell’Unione Europea, tradendo lo spirito del “manifesto di Ventotene”.

Ce lo ricorda Luciano Gallino in uno dei suoi ultimi scritti: “L’assenza, nei Trattati europei, di qualsiasi riferimento all’obiettivo della piena occupazione è uno scandalo”. Sono convinto che i Trattati siano incompatibili con la lettera e i valori della nostra Costituzione. Gianni Ferrara ha denunciato “l’accumulo di assurdità istituzionali e di totalitarismo normativo contenuto nei Trattati e riassunto in quello di Lisbona.” A questa Unione Europea, peraltro, non possiamo rispondere con una regressione sovranista. Il “sovranismo autoritario” trasforma in feticcio identitario il concetto fondativo di sovranità popolare, dettato dalla Costituzione. Sono contrario ad un comunitarismo escludente, in cui la “nazione” è una gabbia che non sopporta le differenze. Penso ad una società futura “meticcia”, nella quale il nuovo stato sociale nasce da soggettività plurali, dalla condivisione solidale (non dalla “integrazione”, concetto di per sé eurocentrico, colonialista). Non dobbiamo inseguire, per demagogia, le destre leghiste e razziste, illudendosi di contrastarne il consenso popolare omologandosi ad esse. Anche noi siamo “per la difesa del popolo italiano”, in un quadro costituzionale. Più che mai “nostra patria è il mondo intero”.

fonte: Transform Italia


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