Le responsabilità del debito non risparmiano nessuno

di Alfonso Gianni su Il Manifesto -

Poiché il disavanzo non ha varcato la “stupida” soglia del 3% stabilita nel Trattato di Maastricht, sotto accusa è la riduzione del debito. Il che è ancora peggio, non solo perché comporterà un controllo rafforzato sui nostri conti con una tempistica trimestrale e la richiesta di manovre e misure che facciano scendere in modo consistente il debito in poco tempo, ma perché chiama direttamente in causa le responsabilità dei governi precedenti che tale debito hanno concorso a determinare. Il gioco di scaricare tutto sulle spalle del governo attuale non funziona, così come fa acqua il suo contrario. Per questa ragione la polemica politica di queste ore appare miserabile a fronte della gravità dei problemi. Il nostro debito pubblico ha origine e cause lontane. Bisognerebbe finalmente discuterne la natura per trovare le contromosse adatte. Intanto va detto che se al momento di scrivere i due famosi numeretti 3% e 60% nel Trattato si fosse guardato per tutti non solo al debito pubblico, ma a quello complessivo, sommando anche quello privato, si sarebbe scoperto che l’Italia non stava affatto male nel confronto con i paesi più “virtuosi”. Chi aveva speso di più in termini di stato sociale (malgrado gli sprechi, le malversazioni, la corruzione che nessuno nega) aveva permesso ai propri cittadini di indebitarsi meno. E viceversa. Ma proprio per questo si scelsero altri criteri – più “furbi” che “stupidi”, tanto per restare alla famosa locuzione di Prodi – quelli che allora facevano più comodo a Francia e Germania, come documentò a suo tempo l’economista keynesiano Luigi Pasinetti. E tuttavia, ci racconta un recente studio di un team guidato da Roberto Poli, per nove anni alla testa dell’Eni, negli ultimi 25 anni l’Italia è stata in realtà la più disciplinata nell’Eurozona: “fatto 100 il debito del 1992 (l’anno di Maastricht), la Francia l’ha infatti aumentato in termini assoluti a 487, la Germania a 296, la Spagna a 673, mentre l’Italia “solo” a 248. Il nostro paese dopo il 1992 ha cumulato avanzi primari (pari a 676 mld) superiori del doppio a quelli tedeschi, ancora più elevati in confronto a quelli francesi o spagnoli, con notevoli sacrifici per i nostri concittadini. Altro che paese cicala! Ma questi avanzi “virtuosi” sono stati mangiati dagli interessi sul debito pubblico (nello stesso periodo pari a 1.924 mld). Il problema deriva quindi dalle regole imposte dai Trattati e aggravate pesantemente dal Fiscal compact. Nel 1992 l’Italia partiva da un debito pubblico più elevato degli altri paesi. Quindi “doveva” ridurlo, mentre gli altri avevano ancora margini per espanderlo, anche sforando il 60% particolarmente durante la Grande recessione. A parte il fatto che la spada di Damocle pende solo sul 3% del rapporto deficit/pil, mentre nessuno si è mai curato dell’altro limite, quello del 6% che riguarda le esportazioni, superato ampiamente dalla Germania senza alcuna resipiscenza e men che meno pericoli sanzionatori. La morale de cette histoire (come dice la vecchia canzoncina francese) è che o si cambiano le norme dei Trattati e si abolisce il Fiscal compact o non c’è soluzione credibile per il debito italiano. E vista la rilevanza del nostro paese per il debito pubblico in Europa. Ad esempio attraverso una decisione politica, con una conferenza internazionale, che porti alla sua ristrutturazione, congelamento o parziale riduzione. Altrimenti non c’è grande futuro per l’Unione europea. La recente proposta franco-tedesca di costituire un fondo per investimenti e innovazione, ma di limitarne l’accesso ai paesi a posto con i conti, è un’ulteriore mazzata per chi, come l’Italia, ne resterà escluso, aumentando le distanze fra i paesi e il pericolo di implosione dell’Unione europea. Questo non significa affatto assolvere il governo Salvini-Di Maio, che ha colpe specifiche. Non solo quella di cercare di farsi bello sui decimali senza la minima capacità e intenzione di esprimere uno straccio di politica economica credibile, ma di accostare cose che fanno a pugni tra loro, come la flat tax e il presunto reddito di cittadinanza, o meglio di sudditanza, o come l’intenzione di nazionalizzare autostrade e linee aeree e nello stesso tempo promettere alla Ue che si faranno 18 miliardi di privatizzazioni, non si capisce peraltro come. Il flop clamoroso dell’ultimo collocamento di Btp dovrebbe essere un campanello di allarme. Neppure gli investitori istituzionali sono venuti in soccorso. L’ultima giornata dell’offerta si chiude con il secondo risultato peggiore di sempre. Solo nel 2012 nel fuoco della crisi è andata peggio. Ma è soprattutto il dato dei piccoli risparmiatori che colpisce. La loro indifferenza mostra una profonda sfiducia nei confronti della situazione economica del paese e del suo governo. Punisce più di un sondaggio, perché è più vero. Se esistesse un’opposizione…

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