DIBATTITO / Cosa ci stiamo a fare

Frank Ferlisi

Nelle nostre discussioni, spesso e volentieri, ci dimentichiamo di un particolare non secondario e cioè che il movimento operaio, in tutte le sue varianti (rivoluzionaria, riformista, filo-borghese) ha conosciuto negli ultimi trent’anni una sconfitta globale in quanto il mondo del lavoro è stato scompaginato, frammentato, disperso attraverso chiusure, ridimensionamenti, delocalizzazioni, privatizzazioni, precarizzazione, contenimento feroce dei salari, evaporazione dei diritti, creazione di nuove e originali figure lavorative assolutamente senza alcuna protezione. La classe operaia sul pianeta è divenuta più consistente, ma dall’occidente è stata trasferita a oriente dove abbiamo assistito a uno straordinario sviluppo delle forze produttive (Cina, India, Bangladesh, Indonesia, etc.) seppure con investimenti scarsissimi nella tecnologia e nella sicurezza e con un costo della manodopera bassissimo. E’ chiaro che in tale quadro partiti di sinistra e sindacati siano stati terribilmente strapazzati.

In Italia abbiamo avuto la disgrazia che il Partito comunista ha cambiato nome e col tempo natura, schierandosi con la borghesia finanziaria e facendo da cane da guardia dei trattati europei nel nostro paese. Questa scelta di classe non è stata mai chiara a tutti tanto è vero che sul rapporto col centrosinistra si sono accumulate sconfitte, scissioni, abbandoni. E si continua imperterriti su questa strada se una parte della Sinistra si allea con chi pensa che vi è stato nel nostro paese un centrosinistra “buono” contrapposto a una destra “cattivissima” guidata da Berlusconi. Che il padrone di Mediaset non fosse amico nostro, è chiaro, ma dovrebbe risultare, specialmente oggi, dopo i governi a guida Renzi, che anche il centrosinistra non poteva che essere considerato un avversario pericoloso per le lavoratrici e i lavoratori. In perfetta continuità con Clinton e Blair.

Quindi siamo a terra e il risultato elettorale di Potere al popolo alle elezioni del 4 marzo ne è una dimostrazione plastica (1,13%). Ma non è solo una débâcle politica, ma anche culturale, etica e morale. La nostra cultura si è ammutolita, i nostri valori appaiono evaporati in favore di teorie e modi di pensare inimmaginabili negli anni settanta: razzismo, sciovinismo e altre amenità che saranno pure il prodotto delle paure e delle incertezze riguardo il futuro, ma sempre terribilmente in contrasto con le nostre idee. E l’isolamento ha prodotto, nel mondo, terribilmente ridotto, della Sinistra, una accentuazione del minoritarismo, del settarismo e dell’ideologismo che piuttosto che aiutarci nell’analisi del conflitto di classe in atto, ce lo occultano. Non solo, ma non pochi di noi si sono fatti influenzare da teorie grilline tipo la “sporcizia” della politica e la dannosità dei partiti.

Quelli della mia generazione, che forse si erano illusi cinquant’anni fa di essere lì lì per vedere sorgere il sol dell’avvenire, concluderanno la loro esistenza da sconfitti, almeno sul piano politico.

Questo è lo stato dell’arte. Ci piaccia o no.

Che fare? Intanto Rifondazione comunista deve continuare a esistere e a essere un soggetto politico con un suo Discorso e una sua organizzazione. Perché Potere al popolo è una grande opportunità, ma recando in sé i difettacci di cui sopra potrebbe anche non farcela. A oggi mi appare un po’ troppo “praticona” senza che si ponga il problema di capire in profondità la struttura del capitalismo italiano e allora giù a fare mutualismo, cortei, manifestazioni e quant’altro ossessionati dal fare, ma poco propensi a capire. Così facendo, rischiano di chiudersi in un recinto lontano dalle sofferenze sociali del mondo del lavoro e del non lavoro. O incapaci di coinvolgere larghe masse di lavoratrici e lavoratori nella battaglia politica e sociale da cui, oggi, appaiono lontani.

Solo Rifondazione appare, pur con tanti limiti, anche troppi, capace di sviluppare analisi, suscitare dibattito, elaborare ipotesi di lavoro, strutturare interventi di carattere politico e sociale, mobilitare risorse, anche se modeste. Insomma, Rifondazione è un partito, forse un’ombra di partito, ma lo è. Deve cambiare; questo è certo, ma non siamo a zero. Sento spesso da coloro che esprimono grandi perplessità verso Pap che occorre rafforzare il Partito. Benissimo; concordo, ma mica esprimono ipotesi di lavoro, indicano percorsi, etc. E’ un desiderio, ma non ci aiuta ad andare lontano.

Provo a dare io qualche indicazione che possa servire ad aprire una discussione. Intanto la Conferenza d’organizzazione deve prendere atto del nostro ridimensionamento numerico e ripensare una forma organizzativa più adeguata alle nostre forze reali ma che non inibisca la capacità d’intervento nel mondo del lavoro e nel territorio. E poi la Conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori che non solo deve essere un momento di analisi –che pur ci vuole- ma non perdersi nel tifo verso le sigle sindacali che sono tutte col sedere per terra e magari qualcuno, in tale contesto, si è accomodato e qualcun altro si è pure venduto. Occorre rilanciare la nostra presenza in fabbrica e nelle aziende sul piano politico, culturale, organizzativo. Come? Rilanciando i “consigli di fabbrica” di Lenin e Gramsci. Non si tratta di farne degli organismi sindacali al posto delle Rsu, che sarebbe l’ideale, ma mancano assolutamente le condizioni per proporlo. Si tratta di aggregare gruppi di lavoratrici e lavoratori, azienda per azienda, fabbrica per fabbrica, per stimolare, incalzare, criticare, anche insultare se necessario le sigle sindacali e le Rsu. Non solo, ma devono essere portatori di una visione politica, di una idea del mondo. Lo dico così: devono prefigurare il Socialismo.  Perché ha ragione Tronti quando scrive che la sconfitta all’est ha tra le sue radici il fatto che la classe operaia non si è fatta Stato che, purtroppo, nonostante i grandi propositi di Lenin, è rimasto in mano della burocrazia che, col tempo, ha subordinato i soviet. Quindi la classe deve farsi Stato e, nello stesso tempo, restare autonoma dallo Stato attraverso una sua istituzione (assemblea nazionale dei delegati di fabbrica e d’azienda) che agisce e legifera in parallelo e in concorrenza con l’istituzione della democrazia rappresentativa. Non è questa la sede per approfondire la questione, ma sarebbe necessario, a parere di chi scrive, incominciare ad affrontare seriamente la questione: cosa è il Socialismo, come si configura, come si realizza l’assunto che deve essere il mondo del lavoro a decidere cosa, quanto e come produrre. Altrimenti cosa ci stiamo a fare? Perché <<rifondazione comunista>>?  Solo attraverso l’elaborazione di un Progetto di transizione e di programmi specifici possiamo “fare partito” , costruire il partito, dargli una organizzazione adeguata. Che significa, per esempio, privilegiare l’intervento politico presso i posti di lavoro. Oggi non siamo utili alle lavoratrici e ai lavoratori né nel presente né per il futuro. Possiamo sperare di ritornare a esserlo solo con un duro lavoro di elaborazione e militanza attraverso linee guida condivise almeno dalla stragrande maggioranza degli iscritti.

E Potere al popolo? E’, da un lato, una opportunità, dall’altro, una necessità. Rompere l’isolamento e aggregare una militanza larga che, ci piaccia o no, non lega col partito come strumento in sé e con Rifondazione per gli errori commessi negli ultimi dieci, quindici anni. Ci sono tante compagne e tanti compagni, anche di giovane età, che vanno tenuti insieme, spinti ed educati alla politica attiva, alla riflessione su ciò che si fa. Non si possono perdere; non si devono perdere. E quando cadono nell’estremismo infantile o nel pressapochismo, si fa battaglia politica, anche aspra se necessario.

Credo che questi siano i nostri compiti.

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.