La guardia del bidone dell’Austerity

La guardia del bidone dell’Austerity

di Alfonso Gianni ::

L’autorevole editorialista del Financial Times, Wolfgang Munchau, scriveva sul suo giornale il 28 aprile che “paradossalmente la sola maniera di rendere sostenibile la posizione attuale dell’Italia nell’eurozona consiste, in linea di principio, nella capacità di essere pronti a lasciare l’euro. Se invece, per principio preso, il governo italiano scarta questa opzione, aumenta davvero per l’Italia la probabilità di uscire dall’euro, poiché ci sarà una minore pressione sui paesi dell’eurozona nell’attuare i cambiamenti necessari”.

La risposta italiana non si è fatta attendere. In modo implicito nel recente tour di Enrico Letta, fatto più che altro per rassicurare la Merkel e Barroso, senza al contempo dispiacere troppo ad Hollande. In modo esplicito nell’intervista del nuovo ministro dell’economia a Repubblica del 3 maggio, nella quale Fabrizio Saccomanni definisce senza se e senza ma il deficit del 3% (e quindi tutta l’impalcatura dei trattati europei vecchi e nuovi) “un limite invalicabile, per quest’anno e per quelli successivi”.

Come fare fronte allora alle spese che dovrebbero servire a Letta per tenere fede agli impegni presi soprattutto con Berlusconi, che come sappiamo tiene il governo in sospeso come la corda l’impiccato? Saccomanni si augura che entro giugno si chiuda la procedura di infrazione per deficit eccessivo che pende sul nostro paese per il 2009. Dice il ministro che non osservare ora gli impegni è fare come quello studente che giunto ad avere consegnato la tesi di laurea si ritira senza discuterla. Non passa per il cervello del neoministro neppure vagamente l’idea che se la tesi è sbagliata tutto l’impianto crolla.

Oramai in campo accademico e in quello politico, se si guarda fuori d’Europa, le smentite sul fatto che il rigore possa convivere con la crescita sono innumerevoli. Rogoff e Reinhart si leccano ancora le ferite inferte loro da uno studioso 28enne che ha confutato definitivamente la loro tesi secondo cui sopra il 90% nel rapporto debito/pil inizierebbe la recessione. Anzi è dimostrato che si potrebbe avere una crescita almeno del 2,2%. Non grandi numeri, ma in confronto alla crescita negativa cui è costretta l’Italia, è roba da leccarsi i baffi.

Eppure questo governo non cambia linea. Difficile trovare un misto così coriaceo di ostinazione e ottusità. Un brillante economista scomparso non da molto, Michael Mussa, diceva scherzando che esistono tre tipi di crisi “di liquidità, di solvibilità e di stupidità”. Siamo nel pieno di quest’ultima. Il nuovo governo spera che la chiusura della procedura di infrazione possa liberare 12 miliardi di euro. Ma essi verrebbero praticamente assorbiti dalla eventuale restituzione e cassazione dell’Imu, se si dovesse dare retta ai ricatti berlusconiani, e non resterebbe nulla per sostenere il welfare e per finanziare la crescita, soprattutto se si tratta di un nuovo tipo di sviluppo, l’unico possibile, che richiede investimenti pubblici per potere essere avviato.

Il governo si limita per ora a chiedere al Parlamento di approvare il Def a saldi invariati, confidando su una Nota di variazione quando la procedura di infrazione verrà chiusa.
Altri sperano che il vento possa cambiare dopo le elezioni di settembre in Germania. Ma, a parte il fatto che allo stato attuale sembra più probabile una nuova vittoria della Merkel e della sua politica, il principio di contare sulle proprie forze pare davvero relegato nel libretto delle citazioni di Mao. Peraltro qui non si tratterebbe di fare da soli. Anzi bisognerebbe da subito far lega con i paesi più deboli e indebitati dell’Europa, possibilmente attraendo in questa alleanza anche la Francia, per imporre alla Germania e quindi ai vertici della Ue un cambio radicale di politica e una revisione radicale dei trattati esistenti, a cominciare dalla cancellazione del fiscal compact. Altrimenti tanto l’euro quanto la Ue sono destinate alla implosione, lasciando i popoli europei in condizioni assai peggiori di quando cominciò il processo unitario.

Vi è un detto popolare che dice che se hai un debito di mille euro con una banca il problema è tuo, ma se il debito è di un milione di euro il problema è tutto della banca. D’altro canto la storia europea ha già conosciuto tagli drastici del debito. E’ accaduto proprio alla Germania che negli anni quaranta aveva un rapporto debito/pil pari al 675%, diventato poi del solo 12% dieci anni dopo. Una remissione del debito del 93%. E’ vero che questo fu fatto anche perché conveniva agli americani la rinascita della Germania in funzione antisovietica. Allo stesso modo però l’impoverimento ulteriore della maggioranza dei paesi europei lascerebbe le merci tedesche senza mercato, visto anche il rallentamento della crescita dei paesi asiatici e il loro orientamento a puntare sul mercato interno. Quindi la spallata va data ora. Ma il governo delle larghe intese è nato proprio per questo. Perché in Italia e in Europa non si muova foglia che l’elite finanziaria non voglia.

ALFONSO GIANNI

da L’Huffington post


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