Presentazione a Roma del libro “Ribellarsi non basta”

Presentazione a Roma del libro “Ribellarsi non basta”

Pubblichiamo un estratto dal libro di Fulvio Lorefice “Ribellarsi non Basta” che sarà presentato venerdì 17 novembre alle ore 18 presso il circolo Luigi Longo di Cinecittà - via Chiovenda 64 (Roma), con Maurizio AcerboSergio Cararo, Simone Di Cesare, Giulia Pezzella, Bruno Steri e Giuseppe Carroccia.

 

La malattia delle democrazie

Al ridimensionamento delle funzioni e prerogative partitiche corrispose non un ordinamento politico più trasparente e democratico, quanto una progressiva dilatazione dei poteri presidenziali. A beneficiare di tali cambiamenti furono le corporations, la cui capacità di controllo e condizionamento della sfera pubblica aumentò considerevolmente. Le elezioni primarie, grazie alle quali si sarebbe dovuta sottrarre la designazione dei candidati ai partiti per darla agli elettori, sancirono, infatti, il dominio progressivo delle lobby. 40 1.3.

Sulla scorta delle vicende storiche richiamate possono svolgersi le prime considerazioni. Mauro Calise, riflettendo sul «sistema del 1896», ha sottolineato quanto «i limiti della partitocrazia» non furono posti da singoli «cittadini armati di diritti usurpati», ma da «potenti organizzazioni concorrenti».41 Furono, non a caso, le corporations a trarre consistente vantaggio dal nuovo ordinamento politico. Lo stesso sembra potersi dire per il caso italiano. A tal riguardo non può non sottolinearsi il valore e la salienza delle campagne pubbliche sul tema, orchestrate nell’ultimo quindicennio dalla grande editoria. Può dirsi infatti senza timore di smentita, che, nella percezione delle masse, le difficoltà economiche, l’incertezza sul futuro, così come l’insoddisfazione per una qualità della vita in costante calo – temi ineludibilmente connessi alla crisi economica e alle soluzioni politiche fin qui adottate – originavano pressoché unicamente dal problema della «casta». Tale costrutto politico ha, quindi, rappresentato per un verso una «risposta» politica e ideologica delle classi dominanti al tema della crisi, per l’altro uno strumento attraverso cui modellare l’ordinamento politico. Come nel caso americano, ad essersi insediate in una posizione di controllo ben più salda della sfera pubblica nazionale risultano essere, infatti, le oligarchie economiche.42 Assodato il fulcro politico della questione della «casta» può adesso dirsi, per inciso, dei gravi errori compiuti dalla sinistra in merito. Il principale, con ogni probabilità il più grave a parere di chi scrive, è aver ignorato la questione, su cui poteva pur vantarsi una nobile primogenitura: la celebre intervista di Enrico Berlinguer a Scalfari sulla «questione morale» risale del resto al 1981.43 Il ritardo, l’incerta scelta delle modalità con cui calibrare il proprio punto di vista, le parziali controproposte avanzate, lo scarso controllo alle articolazioni, periferiche e non, dei partiti, il mancato monito alle stesse, hanno contribuito a dissipare a sinistra quel capitale di autorevolezza e credibilità, propriamente definibile di «superiorità morale», che si era faticosamente costruito nell’arco di un quarantennio.44 A esser sottovalutata è stata la capacità che aveva una certa declinazione del tema di fortificare un senso comune, che conteneva per molti aspetti elementi di verità. Indubitabile appare, infatti, la fondatezza della denuncia berlingueriana, estrinsecatasi nel corso degli anni in «una perversa fratellanza tra una macchina dello Stato arcaica e autoreferenziale e partiti Stato-centrici».45 La modestia e la contraddittorietà delle iniziative politiche in merito, a fronte di un’articolata offensiva culturale, ha massimizzato i termini dell’arretramento, innescando un meccanismo infernale per cui chi sostiene la necessità storica della forma partito, difenderebbe di fatto «la casta», alimentando inconsapevolmente l’offensiva ai danni della stessa democrazia. Paladino incontrastato della incessante lotta contro lo strapotere dei politici e dei partiti, anche qui secondo un paradosso apparente, è un facoltoso uomo di spettacolo.46 Una riflessione aggiuntiva merita il rapporto tra partiti ed economia, più precisamente le difficoltà dei primi a governare la seconda. Lungo tale prospettiva analitica possono leggersi, infatti, molti fenomeni degenerativi del sistema politico.47 Esemplificativa di questa difficoltà, da ultimo, è la vicenda di Mafia-Capitale. Vale la pena a questo proposito soffermarsi su un passaggio dell’indagine sul Partito democratico di Roma condotta nel primo semestre del 2015 da un vasto gruppo di ricercatori, aggregatisi attorno al progetto Luoghi Idea(li) lanciato da Fabrizio Barca: 

 Sebbene la ramificazione del disegno criminale e corruttivo parta dalla giunta Alemanno, il PD deve comunque farsi carico di una degenerazione nel rapporto con cooperative, consorzi di auto-recupero e aziende cresciute negli ultimi anni al fianco delle amministrazioni di centrosinistra, e diventate strumento di interessi privati e di collocamento, implacabili nell’accaparrarsi appalti grandi e piccoli. Ciò è collegato al decadimento della vita interna al partito, i cui equilibri non si formano più sulla dialettica politica ma su rapporti di potere che abusano degli strumenti essenziali della partecipazione democratica, come il tesseramento e le primarie.48

La famelica ricerca del consenso, si legge a proposito dell’epopea veltroniana, aveva inoltre avvalorato una «logica di trasformismo e trasversalità» in cui sbiadiva «l’autonomia della politica dall’economia cittadina».49 Sembra potersi affermare che con la fine della democrazia dei partiti novecenteschi, in favore di un ordinamento oligarchico dominato dagli interessi economici, si sia prodotto quello che Burnham ha definito, a proposito del caso americano, un ritorno a uno «stato di natura politico»: una condizione in cui i «differenziali di potere e di coscienza politica in una società stratificata e diseguale» si esprimono «senza controlli e mediazioni».50 Il tema dell’astensionismo, sempre più rilevante nella dinamica elettorale italiana, esprime in questo senso una precisa connotazione di classe: sono, infatti, i settori popolari quelli che progressivamente stanno scivolando verso il disimpegno e il non-voto. «È tipico del comportamento degli strati più fortunati della comunità – notava Schattschneider – attribuire la responsabilità per tale estesa non partecipazione interamente all’ignoranza, all’apatia civica e al senso di impotenza della gente»: questo è sempre stato il ragionamento utilizzato per giusti- ficare l’esclusione delle classi più basse da qualsiasi sistema politico. C’è una spiegazione migliore. L’astensionismo ri- flette la soppressione delle opzioni e delle alternative politiche che rispecchiano i bisogni e gli interessi dei non partecipanti. [...] Ogni analisi dedicata a questo argomento conforta la conclusione che il non voto è caratteristica dei più poveri, dei meno integrati, dello strato meno istruito della comunità. [...] Il votare non è un fenomeno sociale isolato; è un aspetto della condizione sociale degli individui.51 A questa erosione della base di massa del sistema politico corrispondono intuibili effetti distorsivi della rappresentanza politica della contraddizione capitale-lavoro. Nelle odierne assemblee rappresentative italiane, tanto nazionali quanto locali, è agevole constatare quanto siano sovradimensionati la rappresentanza degli interessi particolari delle élite economico-finanziarie a discapito di quelli della maggioranza della popolazione. In un siffatto sistema possono altresì manifestarsi tendenze varie all’agglutinamento politico verso il centro, attraverso il «trasformismo» si possono creare cioè schieramenti parlamentari ultra-maggioritari: esperienza già vissuta nell’Italia post-risorgimentale di fine Ottocento che sembra riproporsi nell’odierno ordinamento politico italiano. La risultante politica che ne scaturisce non può, quindi, che recare il segno della conservazione: è, infatti, «il segmento della popolazione che è meno coinvolto o più convinto che il sistema gli sia ostile [...] l’elemento che ha maggiori probabilità di promuovere cambiamenti radicali».52 Il sostegno politico in favore di un cambiamento più incisivo delle politiche può dunque trovarsi «soltanto al di fuori dell’attuale sistema politico».53 Era questa, secondo Schattschneider, «la malattia della democrazia».54

 

 

- 39 A. Mastropaolo, Della problematica convivenza tra democrazia e partiti, cit., p. 3. «Già evidente alle elezioni presidenziali del 1904, la crisi di partecipazione elettorale precipitò rapidamente e verticalmente nel 1920 e nel 1924, quando meno del 50% dei potenziali elettori andò alle urne (rispetto a livelli medi nazionali che nell’ultimo quarto dell’Ottocento si aggiravano intorno all’80%). Il non-voto era ancora più massiccio nelle elezioni statali e locali, o in quelle legate a forme di democrazia diretta come i referendum»; A. Testi, Trionfo e declino dei partiti politici negli Stati Uniti, cit., p. 86. 40 In proposito si veda: Enrico Melchionda, Alle origini delle primarie. Democrazia e direttismo nell’America progressista, Roma, Ediesse, 2005. 29

 

41 M. Calise, Governo di partito, cit., p. 233.

 

42 Cfr. M. Calise, Governo di partito, cit., p. 218.

 

43 Pare utile richiamare alla memoria alcune reazioni interne al Partito comunista italiano alla celebre intervista. Accanto a chi intravide nelle parole di Berlinguer un furore giustizialista vi fu chi tentò di derubricarle a una sterile torsione moralisteggiante, priva di senso politico. Fu il caso di Giorgio Napolitano, che in un celebre articolo per il diciassettesimo anniversario della scomparsa di Togliatti, non esitò a polemizzare aspramente con Berlinguer dalle colonne de «l’Unità». Giorgio Napolitano, Perché è essenziale il richiamo a Togliatti, in «l’Unità», 21 agosto 1981. 30

 

44 Fra le poche iniziative in merito assunte dalle sinistre si segnala la proposta di legge (Atto C.2104), presentata il 21 dicembre 2006, dai deputati di Rifondazione Comunista, Francesco Caruso e Maurizio Acerbo, con cui si prevedeva di dimezzare l’indennità spettante ai parlamentari (deputati, senatori e parlamentari europei). Significativa anche la mobilitazione referendaria dalla Federazione della Sinistra del Lazio (Comunisti Italiani/Rifondazione Comunista): il comitato “No vitalizi Lazio”, cui avevano dato vita i due partiti, il 29 settembre 2012 consegnava alla Corte d’Appello di Roma oltre 53mila firme per l’indizione di un referendum popolare per l’abolizione dei vitalizi degli ex consiglieri e degli ex assessori, della Regione Lazio, andando così a modificare alcuni articoli della legge regionale 78/1973 e alcune parti della 19/1995. Il marzo successivo la Corte d’Appello dichiarava l’ammissibilità del referendum, il quale tuttavia non veniva mai indetto in ragione dell’intervento legislativo operato dalla giunta Zingaretti, nel frattempo insediatasi.

 

45 Fabrizio Barca, Un partito nuovo per un buon governo. Memoria politica dopo 16 mesi di governo, in www.fabriziobarca.it, 2013, p. 6. Gramsci, osserva Giorgio Sola, era giunto alla conclusione che «la debolezza e la decadenza dei partiti politici porta inevitabilmente all’affermazione di una forma di Stato-governo o Stato-partito contraddistinta dalla degenerazione burocratica e dalla diffusione di pratiche di tipo paternalisticoclientelare. Molteplici le cause della debolezza dei partiti. In primo luogo la loro incapacità a produrre una classe dirigente; in secondo luogo, uno squilibrio tra l’agitazione e la propaganda, tra la tattica e la strategia; in- fine, la perdita di principi ispiratori, l’affermazione di un opportunismo che sacrifica alla sopravvivenza quotidiana gli obiettivi di lungo periodo»; Giorgio Sola, Scienza politica e analisi del partito in Gramsci, in Salvo Mastellone, Giorgio Sola (a cura di), Gramsci: il partito politico nei quaderni, Firenze, Centro editoriale toscano, 2001, p. 42.

46 Non senza ironia Aldo Tortorella ha notato che «il primo protagonista di questa lotta era stato, storicamente, il Partito radicale, il quale, paradossalmente, è l’unico che non abbia mai mutato nome e capo da una quarantina d’anni, provando con la sua stessa esistenza e con le molte battaglie politiche sostenute la utilità della istituzione sociale chiamata “partito”»; A. Tortorella, I partiti e la protesta, cit., p. 3.

 

47 Osserva in proposito Perry Anderson: «L’inquinamento del potere ad opera del denaro e della frode deriva dallo svuotamento di sostanza o dalla caduta del coinvolgimento nella democrazia. Le élite, liberate sia da una reale divisione in alto sia da un significativo dovere di rispondere in basso, possono permettersi di arricchirsi alla follia e impunite. La denuncia cessa di contare molto, poiché l’impunità diviene la regola. Come i banchieri, i politici di spicco non finiscono in carcere. Della fauna in alto solo un greco anziano ha sofferto quell’umiliazione. Ma la corruzione non è solo una funzione del declino dell’ordine politico. È anche, ovviamente, un sintomo del regime economico che si è impossessato dell’Europa a partire dagli anni Ottanta. In un universo neoliberista dove i mercati sono il metro del valore il denaro diventa, più platealmente che mai, la misura di tutte le cose. Se ospedali, scuole e carceri possono essere privatizzati a fini di profitto delle imprese, perché non anche le cariche politiche?». Perry Anderson, Il disastro italiano, in temi.repubblica.it/micromega-online, 2014.

48 Mappa il Pd di Roma. Rapporto Conclusivo, in www.fabriziobarca. it, 2015, p. 36. Il Rapporto raccoglie i risultati dell’Indagine condotta da un vasto gruppo di ricerca, di cui ho fatto parte, guidato da Fabrizio Barca, Mattia Diletti, Liliana Grasso e Silvia Zingaropoli, che insieme a Federica Marcelli e Patrizia Piergentili hanno diretto i sei gruppi di indagine e composto da Michela Di Vito, che ha seguito l’intera Indagine, e Laura Amodeo; Paolo Arena; Roberta Biasillo; Riccardo Buonanno; Camilla Calviello; Filippo Celata; Raffaella Coletti; Marialaura D’Andrea; Simona De Rosa; Daniela Ferrazza; Rosanna Grano; Cary Yungmee Hendrickson; Silvia Lucciarini; Andrea Marcocchia; Riccardo Pennisi; Ricardo Pereira; Antonella Rondinone; Stefania Venere Sanna; Silvia Scaldaferro; Rossella Sibilio; Andrea Simone; Flavia Melchiorre Terribile; Cleofe Tomaselli; Federico Tomassi.

49 Ibidem, p. 34. Un cenno merita la narrazione mediatica di Mafia Capitale, rivelatasi assai indulgente nei confronti di quell’economia cittadina di cui è in larga parte espressione la classe politica finita nel mirino della magistratura. Il messaggio, ininterrottamente propinato, vuole, infatti, politica e politici sporchi e trasversalmente corrotti. Sugli untori, sui corruttori, viceversa, al biasimo per i singoli non è corrisposta alcuna pubblica imputazione per una classe imprenditoriale cittadina storicamente adusa a tali comportamenti. 33

50 Walter D. Burnham, The Turnout Problem, in A. J. Reichley (a cura di), Elections American Style, Washington (D.C.), Brookings Institution, 1987, p. 133, cit. in: A. Testi, Trionfo e declino dei partiti politici negli Stati Uniti, cit., p. 4. Testi, nel rifarsi al politologo americano si limitava – il volume è del 2000 – ad avvertire il rischio che un tale scenario si realizzasse: a parere di chi scrive esso può dirsi realizzato. Secondo Burnham – aggiunge Testi – «l’erosione della base di massa del sistema politico fu una conseguenza della tensione fra capitalismo e democrazia; era desiderata dalle classi dirigenti per superare l’ostacolo che una società mobilitata e partecipante poneva alla costruzione del consenso all’accumulazione capitalistica»; Ibidem, p. 88.

51 E.E. Schattschneider, Il popolo semi-sovrano, cit., pp. 158-159. Per un’attenta disamina dell’ipotesi «presidenzialista» in Italia, da intendersi come approdo della transizione istituzionale in corso nonché come risposta alla crisi dei partiti politici, si veda: Gianni Ferrara, Oltre il parlamentarismo?, in www.osservatorioaic.it, 2013.

52 E.E. Schattschneider, Il popolo semi-sovrano, cit., p. 157.

53 Ibidem, p. 157. Tenendo come riferimento le elezioni europee del 2014 sono circa venti milioni (41,32%) gli italiani che non hanno votato, cui possono sommarsi schede bianche, nulle e disperse che sono pari all’8,31%, per un totale del 49,63% pari a circa 22 milioni di cittadini collocabili nell’area dell’astensionismo.

54 Ibidem, p. 157. Analoghe considerazioni sono svolte da Mastropaolo, per il quale «grave è la condizione di privilegio che le democrazie odierne assicurano ai ceti abbienti». «La politica democratica attuale – aggiunge – esclude più di quanto non includa. E, guarda caso, esclude in primo luogo quei ceti che erano un tempo la base sociale dei partiti di sinistra. Che non sembrano abbastanza consapevoli della penalizzazione elettorale che subiscono in virtù della disaffezione del loro elettorato tradizionale. Che non si riconverte verso destra, come qualcuno ama sostenere, ma si deprime e si estranea». Alfio Mastropaolo, Dopo i partiti: fare politica con altri mezzi?, in «Democrazia e Diritto», 3-4/2009, p. 20.

 lenin roma


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