Diritto allo studio, diritto al lavoro

DIRITTO ALLO STUDIO DIRITTO AL LAVORO

Nel 1973 il contratto nazionale dei metalmeccanici introdusse una novità rivoluzionaria, che stabiliva il diritto allo studio per i lavoratori. 150 ore venivano sottratte all’orario di lavoro e destinate alla frequenza pomeridiana o serale di corsi, che si concludevano con un esame per il diploma di terza media, si fecero qua e là anche nelle scuole superiori in via sperimentale.

I corsisti uscivano un’ora prima dal luogo di lavoro per recarsi a scuola, dove incontravano altri lavoratori, altre esperienze, altri mondi. Ben presto quasi tutti i contratti nazionali delle altre categorie ottennero questo diritto, che divenne un fenomeno di massa, educò alla lettura e allo studio decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici, ma anche molte/ insegnanti a misurarsi con problemi spesso sconosciuti, di altri mondi, in un rapporto dialettico che modificò la loro concezione della relazione tra chi insegna e chi impara, poiché spesso avveniva una inversione di ruoli. Questa conquista straordinaria mise in stretta relazione i due diritti, poiché lavoratori più istruiti sapevano lottare con più forza per migliori condizioni di lavoro e di vita, s’introdusse l’idea che la divisione sociale del lavoro si può cambiare con tempo liberato per la conoscenza, la cultura, la fruizione delle arti.

Conquiste nel solco della Costituzione Repubblicana, che allora si tendeva ad attuare e non a stravolgere e nella quale il diritto al lavoro e quello allo studio s’integravano nell’articolo tre, dove si stabilisce che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli……….che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Con il ”job’s act” e la “buona scuola”, ci troviamo di fronte ad un rovesciamento di questo paradigma. Lo dimostra l’alternanza scuola lavoro, dove si sottraggono ore di studio per “il rapporto con il mondo produttivo” o meglio per l’addestramento a un lavoro precario e non pagato. In questi giorni alcune organizzazioni di studenti hanno indetto scioperi e manifestazioni contro lo sfruttamento, che si è verificato in recenti esperienze e molti di loro hanno subito, facendo lavori di bassa manovalanza, con la complicità del ministero, la connivenza di alcune istituzioni scolastiche, dirigenti e anche insegnanti.

In molti casi invece, specialmente nei licei, si è cercato di limitare il danno, con una gestione tesa a tutelare ragazze e ragazzi da forme becere di sfruttamento e da esperienze del tutto estranee al loro percorso di studio.

Non è emerso però, almeno nei media, l’altro aspetto significativo di questa misura palesemente ideologica dell’alternanza, cioè la sottrazione di ore di lezione, 200 per i licei, 400 per i tecnici e professionali, che ha ridotto nel triennio superiore le già scarse ore disponibili per le discipline dei curricoli.

La scuola del neoliberismo porta dunque a un regresso, un capovolgimento appunto dello spirito delle 150 ore e della Costituzione, che promette ai/alle giovani e alla società un futuro che ritorna al passato, quando una scuola classista stabiliva i ruoli sociali e educava al rispetto e all’obbedienza della realtà in quanto tale, solo che oggi invece di richiamarsi ad una volontà divina, ci si richiama a quella del mercato.

Loredana Fraleone

Resp. Scuola Università Ricerca PRC/SE

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