
Il Parlamento tra Cupio Dissolvi e Cupio Servendi
Pubblicato il 24 apr 2013
di Alfonso Gianni -
Pomeriggio di una giornata uggiosa nell’aula di Montecitorio, al sicuro dai ripetuti scrosci di pioggia, va in scena una sorta di seduta psicanalitica di gruppo, alla Massimo Fagioli per intenderci. Il Presidente rientrante Napolitano sferza tutti i presenti con violenza concettuale inconsueta. Giunge ad accusare soprattutto la parte politica da cui proviene di non avere saputo neppure approfittare della forza maggiorata che derivava loro da una legge elettorale truffaldina che gli stessi non hanno voluto modificare. Se volessimo riassumere, senza violentare di tanto il pensiero presidenziale: “Tranne me, siete tutti degli incapaci”. Questi ultimi, tranne alcune lodevoli eccezioni, in piedi ad applaudire freneticamente e a battere il petto, preferibilmente quello del vicino di banco.
Questo è il triste epilogo, l’umiliazione finale per le istituzioni rappresentative, di una vicenda condotta all’insegna del cupio dissolvi, in particolare da parte della coalizione Italia Bene Comune, sfaldatasi alla sua primissima prova. Dal cupio dissolvi al cupio servendi è stato un attimo. E ci tocca anche sentire esponenti del gruppo dirigente del Pd a parole dimissionario, insistere sul carattere preveggente della scelta di Napolitano presidente per la prima seconda volta nella storia d’Italia.
Ma il problema non si ferma qui. Napolitano oltre che Presidente della Repubblica è di fatto anche super premier del governo. Non altrimenti possono essere interpretate le parole del suo discorso di lunedì. Il passo obbligato è un governo di larghe intese. Il cuore del programma è la traccia – peraltro priva di qualunque originalità – lasciata dai dieci (presunti) saggi che, ad esempio, sui temi del lavoro propongono addirittura di restringere i limiti per l’utilizzo del lavoro a termine (ossia quei fragilissimi paletti della pessima riforma Fornero che pure non piacevano alla Confindustria). O così o me ne vado, dice Napolitano. D’altro canto sono le stesse cose che il Presidente ha detto ai segretari del Pd, del Pdl e di Scelta civica quando sono giunti al Colle con il cappello in mano ad invocare il suo intervento salvifico.
Molti hanno usato il termine di “monarchia costituzionale”, quasi che la Costituzione su cui Napolitano ha giurato fosse una sorta di Statuto Albertino. Al di là delle facili ironie – fondate però su un’amara verità – è certo che sarà ancora più difficile evitare la spinta al presidenzialismo che emerge da tutta questa vicenda. In fondo, così purtroppo ragionano anche i più restii a questa soluzione, è forse meglio avere un regime presidenzialista dichiarato, codificato e validato da un voto popolare, che non uno implicito e surrettizio, costruito sulle macerie del sistema partitico e delle regole della democrazia così come è disegnata dalla attuale architettura costituzionale. Non è il “colpo di Stato” vagheggiato dall’impulsivo Grillo, ma certamente è un’ulteriore modificazione regressiva della costituzione materiale, un prolungamento indefinito nel tempo dello stato di eccezione, un ulteriore sfarinamento delle modalità di organizzazione e di azione dello stato nazionale democratico.
Sì, perché dietro questa vicenda vi sono le scelte della nuova governance europea, in base alla quale Rodotà non doveva e non poteva essere eletto, pur avendo le migliori caratteristiche, per il semplice fatto che il suo pensiero e le sue scelte si collocano al di fuori del pensiero unico in formato Ue, come del resto gli ha ricordato l’”amico” Scalfari (dagli amici mi guardi Iddio che ai nemici ci penso io…).
Ha relativa importanza perciò il nome del nuovo premier che Napolitano sceglierà, essendo il percorso del governo, o governicchio che sia, già abbondantemente tracciato. Il che era sostanzialmente prevedibile molto prima dell’inizio della campagna elettorale, cioè dal momento in cui, anziché andare alle elezioni, Monti, su input di Napolitano e con il suicida consenso di Bersani, assunse la carica di presidente del Consiglio.
Non resta che costruire una larga opposizione sociale e una coerente opposizione politica alle azioni di un governo che sono iscritte nelle politiche rigoriste della Ue della cui efficacia dubita persino il Fmi.
L’appuntamento della manifestazione indetta dalla Fiom per il 18 maggio è perfetto per dimostrare che l’Italia del lavoro, dei diritti e dei beni comuni, malgrado sia priva di una rappresentanza politica, non accetta quelle politiche.
da Huffingtonpost.it
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti