La crisi morde e le famiglie stringono ancora la cinghia

La crisi morde e le famiglie stringono ancora la cinghia

di Riccardo Chiari -
Si riducono i redditi. Calano le spese. Complice l’inflazione va a picco il potere di acquisto. E anche la propensione al risparmio, costante storica per le famiglie italiane, batte un colpo a vuoto. La crisi nel terribile 2012 dell’austerità coatta viene radiografata dall’Istat con la consueta panoramica di dati percentuali, che registrano un impoverimento certificato anche dalla Banca centrale europea. L’interfaccia nella vita di tutti i giorni arriva invece dalle associazioni degli agroalimentari Cia e Coldiretti, pronte a segnalare come questa situazione si rifletta sulle tavole degli italiani, dove sempre più spesso si ricorre a cibi in scatola e a surgelati invece che a prodotti freschi. Con una drastica riduzione dei consumi non solo di carne e di pesce, ma anche di frutta e verdura.
Andiamo per ordine. A partire dal reddito disponibile delle famiglie, che nello scorso anno è diminuito del 2,1% rispetto al (comunque magro) 2011. L’istituto nazionale di statistica sottolinea che nell’ultimo trimestre dell’anno è stata registrata una riduzione dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti, e del 3,2% sul quarto trimestre 2011. Alla riduzione complessiva del reddito del 2,1% va poi aggiunta la variabile inflazione, che ha portato nel 2012 a un potere di acquisto delle famiglie diminuito del 4,8%. Un calo che non si era verificato dal 1990, anno di inizio delle cosiddette «serie storiche». Con l’ulteriore aggravante che la caduta del potere d’acquisto si è accentuata negli ultimi tre mesi dell’anno, con una riduzione dello 0,9% rispetto al trimestre precedente, e del 5,4% nei confronti dello stesso periodo del 2011.
Se cala il reddito disponibile e cala ancor di più il potere di acquisto, non può che diminuire la spesa per i consumi, almeno in un paese come l’Italia dove la propensione al risparmio potrebbe essere considerata l’undicesimo comandamento. I dati diffusi dall’Istat confermano la correlazione, ma indicano che la spesa per i consumi nel 2012 è calata «solo» dell’1,6%. Dunque in misura minore rispetto all’abbassamento del reddito, di un mezzo punto percentuale. Questo 0,5% impiegato per i consumi è stato tolto dal salvadanaio familiare: a riprova, l’Istituto di statistica certifica che lo scorso anno la propensione al risparmio è risultata pari all’8,2% – anche in questo caso il livello più basso dal 1990 – mentre nel 2011 era dell’8,7%.
I bilanci familiari sono stati messi sotto osservazione anche alla Banca centrale europea, naturalmente nella dimensione continentale dell’area della moneta unica. I risultati segnalano che in Italia una famiglia su sei è povera, almeno rispetto a una soglia fissata in circa 8.500 euro. In percentuale la soglia di povertà nazionale è al 16,5%, contro il 13% dell’area euro. Ma se si considera la soglia di povertà unica, quella che tiene conto dei diversi livelli di prezzi e tratta tutte le nazioni come un unico paese, la percentuale per l’Italia sale al 20% e anche per l’area euro si alza al 14,6%. Con una soglia fissata in 9.200 euro che fa risaltare le differenze fra paese e paese: in Finlandia la percentuale di famiglie povere è minima (2,1%), mentre schizza al 57,4% in Portogallo, e addirittura all’80,7% in Slovacchia.
A proposito di differenze, lo studio della Bce rimarca anche il solco esistente in Italia fra (pochi) ricchi e (molti) poveri, visto che in media le famiglie italiane hanno un livello di ricchezza analogo a quelle tedesche e francesi, nonostante che siano svantaggiate quanto a redditi medi, al nono posto nell’area euro. Al tempo stesso la Bce conferma che le famiglie italiane sono le meno indebitate della Eurozona, dove in media il 43,7% delle famiglie ha i conti in rosso (soprattutto a causa di un mutuo) con punte registrate a Cipro e in Olanda, mentre per l’Italia si registra il valore più basso (25,2%).

Il Manifesto – 10.04.13


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