La democrazia predatoria del sistema maggioritario

La democrazia predatoria del sistema maggioritario

di Alfio Mastropaolo -
L’Italia non è una dittatura, gli insulti e i diktat non sono la democrazia. C’era da sperare che il collasso del bipolarismo, con le liste 5stelle, fosse l’occasione per un ripensamento.
Grillo incarna una domanda di moralità, e un sentimento di protesta nei confronti di chi ha governato per quasi un ventennio. Fondatissimi l’una e l’altro, che è troppo comodo liquidare con l’etichetta spregiativa di populismo. Ma oltremodo discutibile è lo stile di Grillo sotto il profilo democratico. La democrazia è un contenitore, che la politica riempie di contenuti. Il contenuto suggerito da Grillo è, lo si è detto, condivisibile. Ma Grillo non rispetta una regola basilare che la democrazia prescrive: rispetto reciproco e disponibilità a dialogare e accordarsi con altri. I quali, purché rispettino le regole suddette, sono tutti degni d’interlocuzione e confronto
È vero che per gran parte del ventennio il paese è stato guidato da un figuro che di tali principi s’è fatto un baffo, ma il primo segnale di cambiamento avrebbe dovuto essere proprio questo. Cambiare il modo di far politica. Che non si cambia coi blog, le riunioni in streaming (magari precedute da segreti conciliaboli) e i drastici (e doverosi) tagli alle spese della politica, ma cominciando a rispettarsi vicendevolmente. L’Italia non è una dittatura, contro cui sono ammesse mosse estreme. I diktat e gli insulti di Grillo non sono pertanto politica democratica, ma cattiva educazione. Stufi delle volgarità dei vari Berlusconi, La Russa, Bossi, Calderoli e compagnia cantando, non ci attendevamo uno stile esattamente simmetrico. La spirale della volgarità seguita invece a avvitarsi verso l’alto: Crimi e Lombardi rammentano lo Schifani dei tempi d’oro.
Il successo di Grillo non è frutto del caso. Marco Revelli lo chiama tsunami. Ma come gli ultimi tsunami sono in larga parte imputabili al dissennato cambiamento ambientale prodotto dall’uomo, così il successo di Grillo e del suo singolare modo di far politica ha solide radici nelle scelte che la politica di questo paese ha fatto molto tempo fa. Nessuno intende assolvere il berlusconismo, né il Pd, che ha pure le sue brave responsabilità. Né il governo Monti e i guasti che ha perpetrato. Ma le ragioni sono assai più profonde e stanno nella scelta fatta a suo tempo d’imporre al sistema politico una forzata ristrutturazione bipolar-maggioritaria.
Nel disegnare le istituzioni della Repubblica i Costituenti avevano preso atto del carattere composito della cultura politica nazionale. Le istituzioni erano finalizzate a attenuare gli scontri e favorire compromessi. Non era un meccanismo perfetto. Anzi, era pieno di difetti. Ma per almeno un quarto di secolo l’Italia ha conosciuto una stagione di sviluppo senza uguali. Poi il meccanismo si è logorato, per varie ragioni. I partiti erano troppi, troppe le correnti; il personale politico era cresciuto in maniera esponenziale; la colonizzazione dell’economia pubblica era diventata spietata, ecc. ecc.. Eppure, la Repubblica seppe resistere alla terribile stagione del terrorismo. Superata la quale è però precipitata in un’estenuante paralisi, accompagnata da un vertiginoso degrado della moralità pubblica.
Forse sarebbe stato possibile uscirne con qualche accorta messa a punto della macchina istituzionale: soglia di sbarramento, riduzione dei parlamentari, superamento del bicameralismo, fiducia costruttiva. Si preferì imboccare tutt’altra strada, inizialmente a beneficio di Craxi-Ghino di Tacco. Si creò un clima d’opinione per cui era tempo che l’Italia divenisse una democrazia maggioritaria. Era una democrazia matura. Perché attardarsi nelle defatiganti e immorali mediazioni tra partiti? Etichettata la democrazia dei partiti come “consociativa” e “spartitoria”, gli intellettuali di servizio, per suprema irrisione, le attribuirono persino una stretta parentela col fascismo: quasi che partito unico e multipartitismo fossero la stessa cosa.
Le svolte istituzionali sono sempre problematiche e dipendono dalle circostanze. Una cosa erano legami tra i partiti creati dalla lotta di liberazione e l’incertezza sui futuri verdetti elettorali. Altra cosa un contesto in cui ognuno pensava, pur non riuscendoci sempre, a riscrivere le regole a suo vantaggio. Non sorprende che la svolta occorsa tra il ’92 e il ’94 sia stata tanto avventurosa quanto devastante. Bipolarismo sì, ma in frantumi. E dopo la democrazia spartitoria una ben più ignobile democrazia predatoria, che ha prodotto il ventennio più disastroso della storia nazionale.
Nella democrazia predatoria chi vince prende tutto. Il paese gli appartiene. Berlusconi ha ampiamente provato quanto lontano si possa andare. C’era da sperare che il collasso del bipolarismo, provocato dagli elettori di Grillo, fosse occasione di ripensamento, e invece Grillo è pure lui prigioniero della prospettiva predatoria, benché non paia nutrire le ambizioni affaristiche di Berlusconi: o lasciate fare il governo a noi, o niente. Sente il vento nelle vele e vuol cogliere l’attimo. Anzi, per alimentare il vento, sospinge i suoi contendenti ad accordarsi tra loro.
Le istituzioni non si trapiantano come nulla fosse. Quelle che funzionano da una parte, possono far danni da un’altra. Chi con superficialità ha promosso la riconfigurazione maggioritaria della democrazia italiana ha gravi responsabilità. Solo che adesso la sfida è invertire la tendenza. I partiti non ci sentono, ma molti segnali indicano che gli italiani sono stufi di risse bipolari e gradirebbero un confronto politico civile e costruttivo. La sfida è urgente. Anche perché, allo stato degli atti, quale che sia la legge elettorale, il risultato di nuove elezioni ha forti probabilità di non essere molto diverso dall’ultimo. Insomma, o si dimenticano insulti e ultimatum, per riscoprire le virtù del rispetto reciproco, del dialogo e del compromesso, o dopo lo tsunami non crescerà più filo d’erba. La democrazia tollera anche aspri conflitti, ma pretende la buona educazione.

Il Manifesto – 03.04.13


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