Brasile: da Lava-Jato all’illegalità

Brasile: da Lava-Jato all’illegalità

di Wanderley Guilherme dos Santos

Pubblichiamo la traduzione di un intervento di Wanderley Guilherme dos Santos, scienziato politico brasiliano di consolidata e riconosciuta competenza, sul suo blog Segunda Opinião ripreso, fra gli altri,  dal sito Conversa afiada (17 marzo 2016)

DA LAVA-­JATO ALL’ILLEGALITA’ 

L’operazione Lava-Jato è iniziata (17 marzo 2014)  come inchiesta su un cartello di imprese concessionarie associate per fini criminosi ad alti burocrati e politici e si è trasformata prima in intimidazione latente contro qualunque pratica politica e alla fine nella evidente determinazione di annullare la vita civile e politica dell’ex presidente Lula da Silva. Essa ha avuto successo nella costruzione di una tacita coalizione che include i mezzi di comunicazione, i partiti di opposizione e personaggi ben identificabili pronti ad accertare e difendere qualunque illegalità che procuratori e poliziotti federali commettano  con l’obiettivo finale di arrestare l’ex presidente della Repubblica e scalzare Dilma Rousseff dalla presidenza. L’origine dell’illegalità si colloca nelle dichiarazioni del candidato presidenziale sconfitto, senatore Aécio Neves, che ha rifiutato la legittimità della vittoria della presidente Dilma Rousseff (26 ottobre 2014 e insediamento 1° gennaio 2015) e ha guidato il proprio partito, PSDB (Partitdo da Social Democracia Brasileira),  in un permanente sabotaggio della governo del Paese. Noto corrotto anche in base alle delazioni della Lava-Jato, tuttavia inspiegabilmente protetto dalle autorità responsabili, ha pubblicamente sostenuto tesi eversive  dell’ordine legale con dichiarazioni irresponsabili e senza fondamento probatorio. Ad esso si sono aggiunti diversi segmenti di opposizione, superando la linea di tolleranza democratica e aderendo allo strascico sabotatore, sostituendo il linguaggio parlamentare e formale  con insulti e offese ostative a qualunque dibattito produttivo.

brasile manifestazioni

Gradatamente l’operazione Lava-Jato si è trasformata in occulta fabbrica di ricatto politico, con sufficiente potere di arbitrio per tradurre una telefonata o un promemoria scambiato fra politici in colloqui del tipo “allora, non dimenticare quell’affare” o “siamo d’accordo così”, in esplosive evidenze di accordi indecenti. Senza un attimo di cautela, tutta la stampa e la maggioranza dei partecipanti alla coalizione di giustizieri santificano l’abuso dell’autorità, con pezzi di giornalismo e analisi ad hoc di inedita volgarità professionale. Attingendo agli innegabili risultati positivi raggiunti, il gruppo di lavoro della magistratura e il suo corifeo hanno costruito un percorso di azioni di chiaro calcolo politico, con dichiarazioni ora audaci, ora contrarie ai fatti, e già predisposti alla truculenza, senza timore delle  critiche pubbliche, con silenzi ottenuti in parte con la complicità della opposizione truculenta, in parte come risultato di ricatto subliminare e latente.

Il malriuscito tentativo di arresto (sequestro)  dell’ex presidente Lula, il 4 marzo 2016, ha dato luogo ad un interrogatorio grossolano all’aeroporto di Congonhas,  in cui le domande erano assolutamente non solo banali, ma già avevano avuto risposte più volte dall’interrogato: domande su barchette, su un appartamento in nome della impresa OAS, ma che i giustizieri dicono che è di Lula,  sui conti dell’Istituto Lula; mentre ciò che sarebbe rilevante è la percentuale di  mezzi illeciti dei donatori  che è stata  destinata a  istituzioni e persone altre. (…) Inoltre il delegato inquisitore in varie occasioni ha con melliflua gentilezza buttato una buccia di banana ricordando a Lula che poteva non rispondere, se avesse voluto, in quanto non era obbligato. Ora, l’unico titolo (pubblicato), il giorno seguente, è stato: Lula tace per non essere incriminato. E’ a questo che era servita la farsa dell’interrogatorio in aeroporto.

L’intercettazione della presidente della Repubblica Dilma Rousseff (16 marzo 2016), di responsabilità diretta del giudice Sérgio Moro, e la divulgazione preferenziale attraverso il sistema dei mass media Globo non permette altra interpretazione: tentativo di interferenza nel processo politico nazionale, con  incitazione alla convulsione sociale. La sua azione, associata alla permanente propaganda del sistema Globo di radio, televisione e internet, incitando al disordine, anche attraverso analisi e commenti incompetenti su materia giuridica di elevata gravità, interpretando dogmaticamente notizie frammentarie e, in fine, mentendo ripetutamente, comprovano che il paese è entrato nell’illegalità, che il giudice Sérgio Moro, contaminato da adesioni a partiti, ha perso il senso della legalità giuridica, e che il sistema Globo di comunicazione è incompatibile con l’ordine costituzionale.

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