Resistenti e comunisti. Mai senza “le parole per dirlo”

Resistenti e comunisti. Mai senza “le parole per dirlo”

di Maria R. Calderoni

 Mai senza giornale. Mai senza “le parole per dirlo”. Anche se non proprio un giornale, andava bene un foglio, un volantino, un manifesto, una pagina scritta a mano e fatta circolare di nascosto, un megafono in piazza, una scritta sul muro. Bisognava esserci, farsi sentire e soprattutto farsi capire. Dal popolo. Dagli operai. Dai contadini.

Ebbene sì, mai “senza parole per dirlo”. La storia del movimento operaio, delle sue conquiste, dei suoi partiti è anche una grande storia fatta di battaglia delle idee, di informazione, di penetrazione nelle officine e nelle case, di indomita “propaganda”. Anche nei momenti più difficili, sotto il fascismo, nella clandestinità, anche quando fu necessario prendere un’arma in mano – nella Resistenza, nelle file delle Brigate Internazionali in Spagna – appunto il movimento comunista ebbe sempre la forza e la capacità di essere in campo sul terreno difficile e faticoso della comunicazione, dell’informazione,  delle “parole per dirlo”.

Per esempio. L’Iskra.

“Iskra”, «La scintilla», è il primo giornale voluto e fondato per iniziativa di Lenin, allo scopo essenziale <di divulgare e trasmettere  direttive e istruzioni a militanti e cellule>. Distribuito segretamente in Russia, nato in una tipografia clandestina di Lipsia, Il primo numero dell’Iskra” esce dalle rotative il 24 dicembre 1900. A destra del titolo il motto

” Dalla scintilla s’accenderà la fiamma”, il verso di una poesia.

Non passò inosservato. Già in  gennaio, un rapporto dell’”Ochrana”, la polizia politica zarista, segnala allarmata che <l’Iskra” circola a Pietroburgo>, debitamente avvertendo che «Vladimir Ul’janov ha ricevuto la missione di trasformare questa formula astratta in carne e ossa»; e che quindi sarebbe bene «mettere le mani su questo signore», e altresì « tagliare con urgenza quella testa dal corpo», essendo quell’Ul’janov «l’elemento attualmente più importante del movimento>.

Anche la polizia zarista era in grado di capirla, la potenza delle “parole per dirlo”. E infatti l’”Iskra” dovette chiudere, anno 1905.

 Per esempio. L’Unità.

L’organo ufficiale del Pci, fondato da Antonio Gramsci, vede il primo numero  il 12 febbraio 1924. Il titolo è voluto espressamente da Gramsci <sarà un significato per gli operai e più generale>. Nonostante difficoltà,  intimidazioni e persecuzioni, il quotidiano resiste, arriva a 261 numeri; ma nel ’25 viene sequestrato  e subito dopo, in base  alle “leggi speciali” che tolgono ogni libertà di stampa, definitivamente chiuso, insieme al giornale del Psi, l’ Avanti!. <Il fascismo non si salverà con il terrore», è l’ultimo titolo dell’”Unità” prima del sequestro.

Non si rassegna. Il 27 agosto 1927 già esce il primo numero dell’edizione clandestina, sono passati solo sette mesi dalla chiusura; la sede è a Lilla, in Francia, direttore, l’avvocato Riccardo Ravagnan. E subito dopo riappare  anche in Italia: a Torino, Milano, Roma. Una diffusione clandestina che prosegue per tutta la guerra; ed è con l’arrivo degli Alleati che, dal 6 giugno 1944, l’”Unità” riprende a Roma la sua pubblicazione ufficiale. Il nuovo direttore è Celeste Negarville, un ex operaio.

In edicola rientra solo il 2 gennaio 1945, sede in via IV novembre a Roma, direttore  Velio Spano, iscritto al PCI da vent’anni e combattente partigiano. Seguiranno subito dopo l’edizione genovese, quella milanese e quella torinese. Tra i collaboratori, Ludovico Geymonat, Davide Lajolo, Ada Gobetti, Cesare Pavese, Italo Calvino, Elio Vittorini, Paolo Spriano, Augusto Monti, Massimo Mila. Importanza delle “parole per dirlo”.

Siamo sempre nel 1945, e a Mariano Comense si tiene la prima Festa dell’Unità. E l’edizione domenicale arriva a vendere fino a 1milione di copie. Un 100 milioni di copie all’anno…

 Non si tace. Negli anni del Ventennio, l’antifascismo – comunisti in prima fila – è attivo; continua a esserci, a farsi sentire, sia con gli atti che con le parole. Giornali, opuscoli, fogli, volantini. Proibiti, clandestini, pericolosissimi, affidati al rischio e alla sfida, caparbiamente realizzati e fatti circolare; anche se manca sempre tutto, carta, ciclostili, inchiostro e vengono  stampati da temerari nascosti in casolari o scantinati, esposti in ogni momento alle delazioni e alle irruzioni della polizia.

Già, si finisce in galera  e, soprattutto durante l’occupazione nazifascista, sono assicurate tortura e anche fucilazione.

Per esempio. Il 19 novembre 1944 esce il primo numero di “Brescia Libera”, ma i due giovani che lo diffondono clandestinamente – Ermanno Margheriti e Astolfo Lunardi (non dimentichiamoli) – sono arrestati e il 6 febbraio fucilati.

No, non si tace.

Tanto per citare. Sono ben 84 le testate di formazioni antifasciste e brigate partigiane che, uscite tra il ’43 e il ’45 nella sola Italia settentrionale, sono state raccolte e catalogate dall’Isrmo (Istituto per la storia della Resistenza e del Movimento operaio).

Titoli come Il Ribelle (15.000 copie!), Non mollare, Giustizia e Libertà, Il Partigiano, Quelli della montagna, il Patriota, La Plebe, Guerriglia, Il Compagno, Giovani, La Riscossa, La Guardia Rossa, La Compagna, Il Garibaldino, il Guerrigliatore, Noi Donne, La Voce del Proletariato, Il Pioniere…

 C’era una volta “Liberazione”.

[Come ci ricorda con questo articolo molto bello Maria Rosa Calderoni oggi anche più di ieri abbiamo bisogno di un giornale. E come accadde in altre epoche, più dure e pericolose di questa, tocca farlo senza risorse (e senza un Lenin) ma solo con la passione militante. Povero, solo in rete, ma partigiano. A presto!]


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