Catalogna: sinistra radicale ed egemonia indipendentista

Alessandro Pacini - Con il 77,44% di partecipazione, le scorse elezioni in Catalogna hanno registrato la maggiore affluenza alle urne della storia della provincia autonoma spagnola.

Il voto del 27 Settembre è stato il punto di arrivo di una escalation sul tema dell’indipendenza iniziata dal “Padre Presidente” Jordi Pujol (oggi sotto accusa con tutta la sua famiglia per ripetute tangenti e frodi fiscali ai danni della sua stessa comunità autonoma e della Spagna) e del suo successore Artur Mas. A quest’ultimo va il merito di aver polarizzato l’agone politico esclusivamente sul tema secessionista, nascondendo dietro di esso un piano neoliberale che ha portato la Catalogna a tagli su sanità, scuola pubblica e privatizzazioni, con gli immancabili corollari di episodi di corruzione ed infiltrazioni mafiose.

L’indipendentismo in Catalogna è un sentimento trasversale, che attraversa le ideologie politiche e le formazioni partitiche. E’ l’elemento centrale dell’agenda sociale e politica della Regione da oltre un decennio, con una egemonia crescente che impedisce ai temi “classici” ed alle battaglie di prospettiva e transnazionali della nuova sinistra europea di far presa sul sentimento della gente e di emergere con la loro drammatica urgenza. Lo dimostrano le strane alleanze in nome della agognata indipendenza dalla odiata Spagna, dove i neoliberisti della CiU (Convergencia y Unio’) si uniscono ai progressisti di sinistra della ERC per formare una lista civica con un solo punto in programma: indipendenza. Lo dimostra la CUP (Candidatura de Unidad Popular), partito anticapitalista, femminista ed ecologista che sarà pronto a sostenere la lista Junts x Si nonostante disparità ideologiche e le ripetute accuse di corruzione al partito del presidente Mas; indipendenza si o si come dicono a Barcellona.

Dal punto di vista dell’indipendentismo poco cambierà nei prossimi mesi in Catalogna: gli atti ufficiali del Parlamento catalano cozzeranno contro il muro della Costituzione spagnola e contro le sentenze del Tribunal Constitucional. Ma ciò che frenerà davvero le ambizioni indipendentiste sarà quel 52% di voti dei catalani che hanno detto no a questo processo, nonostante la maggioranza raggiunta dei seggi parlamentari.

Non vanno comunque dimenticate le elezioni generali del prossimo dicembre, dove si giocherà anche lì una importante fetta del futuro della Catalogna. A questo appuntamento l’anatra zoppa sembra essere il premier uscente Mariano Rajoy del Partito Popolare, strenuo oppositore del processo indipendentista, mentre una vittoria di Podemos aprirebbe sicuramente le porte alla riforma costituzionale, all’avvento della Terza Repubblica Spagnola con la conseguente abolizione del Re, ed infine ad un vero processo referendario sulla indipendenza catalana.

Izquierda unita e Podemos raccolgono a queste votazioni un magro 8,94% e 11 deputati con la lista Catalunya si que es Pot. Questo scarso risultato va imputato a tre fattori principali: Il primo e forse più importane è la formazione tardiva di una lista che comprendeva l’azionista principale Podemos e le altre forze della sinistra (Sinistra Unita e Verdi), che avrebbe voluto imitare la vincente esperienza del Comune di Barcellona, dove la lista Barcelona en Comù ha vinto contro la destra neoliberale, contro i socialisti e soprattutto contro le forze indipendentiste. Quella presentata alle regionali è apparsa sin da subito una operazione più di ceto politico che di unità popolare, che ha diluito in un colpo solo la forza del marchio Podemos e la sua caratteristica di movimento di base.

Il secondo è lo scarso appeal del candidato presidente, Lluís Rabell; un uomo sinceramente di sinistra, preparato e ben radicato nel territorio, ma che non brilla per le sue qualità oratorie né per l’idea di cambiamento che trasmette, soprattutto alle nuove generazioni. Questo, nell’epoca dei social media e di una società che cerca quasi con morbosità un leader che incarni il consenso, non andava sottovalutato.

Terzo ed ultimo aspetto è l’ambiguità di Podemos e della sinistra spagnola e catalana sul tema della indipendenza. Per tutto il 2014 c’è stata pressione su Iglesias e soci per strappare una dichiarazione sul tema Catalogna. La risposta, tardiva e forse un po’ imbarazzante, arriva solo quando il dibattito indipendenza si indipendenza no è già egemone in tutta Spagna ed è, seppur chiara, troppo articolata per un dibattito che ti vuole da una parte o dall’altra: Podemos è per il diritto a decidere del popolo catalano, ma preferisce che la Catalogna resti, per cacciare insieme il PP, Rajoy e la vecchia politica. Se a questo si aggiunge che il candidato presidente, il già citato Lluís Rabell, ha firmato un documento per il Si in occasione del (finto) Referendum del 9 Novembre sulla indipendenza della Catalonga, ecco che il pastrocchio è servito.

Da queste elezioni non va dimenticato il partito Ciudadanos (C’s), un partito di centro nato in Catalogna 10 anni fa, contro la indipendenza e che ha saputo approfittare della sua novità, e della spirale di corruzione che ha coinvolto il Partito Popolare Spagnolo, per proporsi come la faccia pulita, il referente politico del conservatorismo spagnolo e di un capitalismo che, perso l’appoggio di un un PP in caduta libera, cerca un referente politico al quale appoggiarsi. C’s è stato per molto tempo definito “la marca bianca” del PP, ma queste elezioni , che gli danno il 18% e 25 seggi al parlamento catalano impongono una nuova riflessione sulla sua struttura e sulle sue prospettive. Un Podemos di centro destra che Renzi non tarderà a sdoganare come modello di riferimento.

Leggendo in controluce i dati di queste elezioni, ed andando oltre la polarizzazione indipendenza si indipendenza no, si registra una crescita di tutte le forze della sinistra catalana. All’interno della lista Junts x il si ci sono 21 deputati di ERC (Esquerra Repubblicana Catalana) ai quali vanno aggiunti gli 11 di Catalunya si que es Pot e i 10 della CUP (Candidadura de Unidad Popular). Un totale di 42 deputati su 135 che, se si unissero, formerebbero il primo gruppo parlamentare. Ma questa è pura invenzione. La realtà è che Junts pel si e CUP formeranno il nuovo governo e nomineranno il nuovo presidente; e visto la già dichiarata volontà, da parte dei compagni della CUP di non voler eleggere l’uscente Mas (neoliberista), si fanno avanti nuovi nomi tra cui spiccano quelli di Junqueras (Presidente ERC), Romeva (ex eurodeputato dell’ICV) e di Forcadell (ex presidentessa della Piattaforma Omnium Cultural). Un parlamento che si sposta a sinistra, che sfida la Spagna sul piano indipendentista e dà appuntamento a Dicembre per la sfida delle politiche.

 

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