Strage di Brescia, la sentenza chiude il cerchio e aiuta la ricostruzione storica

Strage di Brescia, la sentenza chiude il cerchio e aiuta la ricostruzione storica

di Federico Sinicato

Il 30 giu­gno 2001, in un’assolata gior­nata estiva Carlo Maria Maggi, medico vene­ziano e impor­tante espo­nente di Ordine Nuovo, veniva con­dan­nato all’ergastolo (insieme a Delfo Zorzi e Gian­carlo Rognoni) per la strage di Piazza Fontana.

Sap­piamo che la Corte di Assise d’Appello prima e la Cas­sa­zione poi annul­le­ranno quella con­danna attra­verso la siste­ma­tica sva­lu­ta­zione delle dichia­ra­zioni di Carlo Digi­lio, esperto di armi ed esplo­sivi del gruppo, rin­trac­ciato dal giu­dice Sal­vini a Santo Domingo, estra­dato e pro­gres­si­va­mente con­vinto a rac­con­tare “dal di den­tro” il ribol­lire della com­pa­gnia supe­ro­mi­stica delle frange oltran­zi­ste del nazi-fascismo veneto degli anni ’70.

Per­fino la defi­ni­tiva sen­tenza su Piazza Fon­tana por­tava con sé, peral­tro, la riba­dita cer­tezza della respon­sa­bi­lità nella strage di Franco Freda, Gio­vanni Ven­tura e delle cel­lule ordi­no­vi­ste venete. Anche il pro­cesso per la strage di Via Fate­be­ne­fra­telli dell’aprile del 1973, quando il falso anar­chico Ber­toli uccise cin­que per­sone sul por­tone della Que­stura di Milano nel dichia­rato ten­ta­tivo di atten­tare a Rumor (reo di non aver pro­cla­mato lo stato d’emergenza dopo Piazza Fon­tana), indicò pro­prio il gruppo ordi­no­vi­sta di Maggi come man­dante della strage ma non ritenne di avere suf­fi­cienti prove certe e spe­ci­fi­che nei con­fronti di quest’ultimo.

Erano i tempi delle eterne “trame gol­pi­ste”, peri­co­lo­sa­mente in bilico tra le mario­nette del dop­pio petto e degli ala­mari e il rela­ti­vi­smo morale degli idea­li­sti armati: delle vit­time stra­ziate dalle bombe non si occu­pava nessuno.

Sem­brava che il “san­tua­rio veneto” del ter­ro­ri­smo nero fosse invio­la­bile e che i giu­dici sof­fris­sero di “mio­pia” giu­di­zia­ria, inca­paci di cogliere nel loro insieme le cen­ti­naia di prove ed indizi accu­mu­lati nei pro­cessi, che impe­diva di met­tere insieme tutti i tas­selli di quelle sto­rie che por­ta­vano imman­ca­bil­mente dalle parti dell’isola della Giu­decca, dove abi­tava il Dott. Maggi.

Ebbene, dopo due gradi di giu­di­zio, due­cento testi­moni e più di un milione di docu­menti e ver­bali, pro­prio gli ermel­lini della Suprema Corte, il 21 feb­braio dello scorso anno, annul­lando le tanto con­te­state asso­lu­zioni di Maggi e Mau­ri­zio Tra­monte per la strage di Piazza della Log­gia, det­tero per la prima volta un fon­da­men­tale scos­sone all’incerto e timo­roso atteg­gia­mento giu­di­zia­rio nei con­fronti dello stra­gi­smo fascista.

Quella sen­tenza bac­chettò i giu­dici «affetti da iper­ga­ran­ti­smo distor­sivo della logica e del senso comune» e li invitò a non seguire «sem­plici con­get­ture alter­na­tive insuf­fi­cienti a scal­fire un com­plesso di prove di rile­vante gravità».

Da que­ste pre­messe nasceva il nuovo pro­cesso davanti alla Corte mila­nese desi­gnata dalla Cas­sa­zione. Gli impu­tati: Carlo Maria Maggi, nel suo ruolo di capo indi­scusso del gruppo ter­ro­ri­stico e depo­si­ta­rio dell’esplosivo uti­liz­zato in Piazza della Log­gia il 28 mag­gio del 1978 e Mau­ri­zio Tra­monte, infido e reti­cente infor­ma­tore sti­pen­diato del Sid, dop­pio­gio­chi­sta e oppor­tu­ni­sta. Astuto tanto da inven­tarsi la figura di ine­si­stenti fun­zio­nari di poli­zia per coprire la sua reti­cenza ed evi­tare di autoac­cu­sarsi di aver par­te­ci­pato alle riu­nioni pre­pa­ra­to­rie della strage e cinico al punto da recarsi in piazza per con­trol­lare quanto sarebbe suc­cesso (come qual­che testi­mo­nianza lasce­rebbe intendere).

Quando mar­tedì sera, dopo un’altra gior­nata estiva afo­sis­sima, la Pre­si­dente della Corte di Assise d’Appello ha pro­nun­ciato la con­danna all’ergastolo per entrambi gli impu­tati la com­mo­zione è salita silen­ziosa e for­tis­sima nel cuore e nella testa dei fami­liari delle vit­time pre­senti in aula: ferme, come ha detto Man­lio Milani, a quella indi­men­ti­ca­bile mat­tina del 28 mag­gio di 41 anni fa. Que­sta sen­tenza, se la Cas­sa­zione la con­fer­merà, chiude il cer­chio aperto 14 anni fa pro­prio a Milano ritro­vando final­mente il filo delle respon­sa­bi­lità che si era andato per­dendo nei mean­dri degli archivi giudiziari.

Man­lio Milani che, come Pre­si­dente della Casa della Memo­ria di Bre­scia, ha sem­pre svolto una straor­di­na­ria opera di serena ricerca del senso pro­fondo di quei dan­nati anni di stragi chiede a tutti di ripar­tire da qui, da que­sta cer­ti­fi­cata col­pe­vo­lezza pro­ces­suale, per ini­ziare un per­corso di più chiara con­sa­pe­vo­lezza che con­senta un giorno di chiu­dere quelle ferite.

Ho già avuto occa­sione di scri­vere che l’accertamento giu­di­zia­rio delle respon­sa­bi­lità per le stragi fasci­ste degli anni ’70 avrebbe, pro­ba­bil­mente, una deci­siva influenza sulla neces­sa­ria con­di­vi­sione della recente sto­ria nazio­nale. La gene­ra­zione dei ragazzi che dal ’69 si schierò pro o con­tro Val­preda, scelse la ribel­lione demo­cra­tica alla cappa dei governi demo­cri­stiani o, al con­tra­rio, si rin­tanò a medi­tare ven­dette nel mito delle armi e della purezza della razza, è oggi la gene­ra­zione del potere nei media, in poli­tica e all’università.

Il man­cato rico­no­sci­mento di quelle colpe pesa ancora oggi, legit­ti­ma­mente, su tutti coloro che a vario titolo hanno scelto di stare dalla parte sba­gliata, impe­dendo sia una rico­stru­zione con­di­visa della sto­ria ita­liana che un con­fronto poli­tico sereno sce­vro da sovra­strut­ture pregiudiziali.

Non escludo che tra le pie­ghe di que­sta sen­tenza si possa tro­vare anche qual­che ulte­riore sti­molo per riac­cen­dere un faro anche sul 12 dicem­bre del ’69 strage per la quale la Pro­cura di Milano ha smesso ormai da anni di inda­gare. Eppure, pro­prio la pazienza e la per­vi­ca­cia dei magi­strati bre­sciani ha con­sen­tito di rian­no­dare le tante tracce che hanno por­tato alla verità: è scan­da­loso accet­tare che Piazza Fon­tana rimanga un buco nero come nella foto­gra­fia del salone della Banca che tutti gli anni i gior­nali ripro­pon­gono a commemorazione.

Augu­ria­moci, dun­que, che que­sta sen­tenza avvii un per­corso vir­tuoso libe­rando tutti dai sem­pre oscuri rife­ri­menti ad un pas­sato inno­mi­na­bile o misco­no­sciuto e ridando alle vit­time di quelle inu­tili trame il diritto di sen­tirsi cit­ta­dini a tutti gli effetti.

* avvo­cato dei fami­liari delle vit­time delle stragi di piazza Fon­tana e piazza della Loggia

fonte: il manifesto


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