La scomparsa di Gianni Alasia

07 Luglio 2015

Il cordoglio della Fondazione Giuseppe Di Vittorio.

Il 2 luglio scorso a Torino, è scomparso una delle più belle figure dell’antifascismo e della sinistra italiana: Gianni Alasia. La sua vita è stata esemplare a partire della partecipazione alla Resistenza, alla sua militanza nel PSI, nel PSIUP, nel PCI e infine in Rifondazione Comunista e  al suo impegno nella CGIL che lo ha visto dal 1959 al 1975 militare quale componente della Segreteria della Camera del Lavoro di Torino insieme a  dirigenti del valore di Sergio Garavini, Emilio Pugno e di Tino Pace. Nella fase successiva la sua attività politica si è realizzata portando sempre avanti nel Consiglio Regionale del Piemonte e successivamente in Parlamento  l’interesse dei lavoratori e la affermazione della democrazia e delle istituzioni repubblicane.

La Fondazione Di Vittorio esprime il suo profondo cordoglio ai familiari.

Pubblichiamo il ricordo di Enrica VALFRE,’ Segretaria Generale Camera della Lavoro di Torino e il cordoglio dell’ANPI Nazionale

Enrica VALFRE’ Segretaria Generale CGIL Torino

Gianni Alasia ha sempre avuto un rapporto stretto con i lavoratori e con il mondo del lavoro. Centralità del lavoro. Rapporto con il sapere. Democrazia. Internazionalismo. Intransigenza politica ma attenzione ai rapporti unitari. Sono i tratti che hanno caratterizzato il suo agire sindacale e politico. Per ricordarlo userò le sue parole, quelle delle interviste, del diario, dei libri. Tante parole, raccolte perché “la vita di ogni uomo contiene elementi di interesse”; e perché la memoria è importante; “ho raccontato perché sento il dovere di testimoniare. Può essere utile. Ho scritto perché può essere utile a quanti crescono ora”.

Inizia a lavorare a 13 anni, a 14 anni è già in fabbrica, nel 1945 entra alle Officine Savigliano.“Per me l’esperienza della fabbrica è stata la più formativa che ho avuto in tutta la vita. La fabbrica per noi era una comunità, era un modo di essere comune: la fabbrica cominciava ad essere l’intreccio tra i problemi interni della lavorazione e della produzione e i problemi esterni della società”.E in fabbrica “c’era la filosofia della produzione, del produrre: eravamo fieri di questo”. In fabbrica c’era l’amore per il lavoro. La passione, la competenza. Alle Officine Savigliano diventa segretario del Consiglio di Gestione, con Gasparini e Bruno Fernex che curava anche i rapporti esterni con le istituzioni. “Noi avevamo fatto lotte aspre, ma non abbiamo mai perso il rapporto con questa dimensione istituzionale”; la nostra”era una lotta molto articolata, nel territorio e nella fabbrica”. Nel dopoguerra lotta per il riconoscimento dei consigli di gestione: alla Savigliano più di 170 tecnici lavorano per produrre un prototipo di moto. Si fanno conferenze di produzione, di settore, di fabbrica.

Nel 1951 viene licenziato per rappresaglia. Dopo qualche anno di lavoro nel partito socialista, nel 1959 diventa segretario della Camera del Lavoro di Torino.I problemi da affrontare sono molti: la caduta di iscrizioni al sindacato, la dequalificazione del lavoro, la difficoltà a comprendere un mondo del lavoro cambiato, la nascita della fabbrica fordista, la migrazione meridionale. La CGIL di Torino è atipica nel panorama nazionale.Il suo gruppo dirigente, di cui Alasia fa parte, è un gruppo coeso, compatto, che promuove rinnovamento nelle scelte e nella prassi; è una coesione che non esclude contrapposizione e conflitto, ma permette la rivendicazione convinta dell’autonomia sindacale dai partiti e l’attribuzione al sindacato di una specificità di ruolo consistente nella difesa del lavoro operaio e delle condizioni di vita dei lavoratori; proprio perchè autonoma la CGIL avvia un rapporto di collaborazione con gruppi sociali non operai: medici, giuristi, studenti universitari.La CGIL di Torino dialoga con i Quaderni Rossi di Panzieri; il primo numero nel settembre 1961 è prodotto in collaborazione con i sindacalisti della camera del lavoro e indaga la ripesa della conflittualità nelle aree industriali del Piemonte.La CGIL torna in fabbrica per conoscere le condizioni di lavoro, “sono gli anni in cui abbiamo fatto milioni di questionari per far rispondere gli operai sulla loro condizione”“il nostro ancoraggio era sui problemi – assumere i problemi di fabbrica come riferimento fondamentale era una forte garanzia;se nei luoghi di lavoro non ci siamo ci pensa il padrone, sul piano salariale, normativo, dei rapporti interni;è necessario ricondursi alle istanze di base, alle commissioni interne, per portare avanti il processo unitario di rinnovamento del sindacato, cercando non artificiose contrapposizioni politiche, ma piuttosto affermazioni di capacità sindacale, di comprensione dei problemi, di originalità delle soluzioni”.

La CGIL di Torino è attrice della ripresa delle vertenze; scommette su un potenziale di lotta, come quando nel 1962 dichiara uno sciopero alla fiat a cui aderiscono 300 persone: saranno poi 7000/60000/100000 – matura una nuova classe operaia; è la CGIL del dialogo con la CISL (soprattutto la FIM) avanzata e anch’essa atipica. Alasia sarà sempre attento ai rapporti unitari, con la CISL, la UIL, anche con le ACLI. Nel 1962 svolge un’inchiesta alla Sobrero est di Gassino e distribuisce un volantino unitario, molto criticato perché chiedeva l’iscrizione al sindacato, ad uno qualunque tra CGIL, CISL, UIL, purchè ci si iscrivesse.

La centralità della fabbrica è l’elemento trainante ma“noi abbiamo scoperto in quegli anni che se c’era una centralità della fabbrica… l’uomo però non vive di sola fabbrica, ma anche di condizioni esterne alla fabbrica ed abbiamo cercato (riuscendoci in larga misura) di stabilire questo parallelismo tra rivendicazioni in fabbrica e rivendicazioni nella società, delle condizioni di sussistenza e di riproduzione storica della classe operaia. La qualifica in fabbrica è anche scuola, è anche formazione professionale; il salario è anche difesa del potere del salario.”Alasia coordina in CGIL le attività di relazione con gli studenti; da questa esperienza matura la rivendicazione contrattuale unitaria delle 150 ore, strumento di crescita culturale, per l’appropriazione collettiva da parte dei lavoratori di strumenti di conoscenza, di intervento e di controllo tanto sul processo produttivo interno alla fabbrica come sul rapporto fabbrica-società; nel 1972 le 150 ore sono introdotte nel contratto dei metalmeccanici; nel 1974 15 categorie le inseriscono nel contratto; nel marzo 1974 viene organizzato un corso unitario per insegnanti; Alasia scrive che l’azione sulla scuola avveniva su più fronti: la richiesta del tempo pieno; la necessità di avere più scuola, prima ancora che di avere una scuola diversa: c’erano 50.000 bambini e solo 7000 posti nella scuola materna; la denuncia della natura classista della scuola accompagna la richiesta di una legge quadro per l’educazione degli adulti nella scuola statale. Nel luglio del 1974 la Camera del Lavoro di Torino scriveva “ministro e padroni sanno che l’uso del diritto allo studio da parte dei lavoratori va contro i loro interessi perché intacca l’autoritarismo nella scuola e nella fabbrica”. Alasia affronta il tema della democrazia, a partire dalla necessità di eleggere i delegati di reparto; rileva i limiti della prassi assembleare: “l’assemblea” dice “realizza la consultazione democratica, ma non è ancora elaborazione diretta e diretta assunzione di responsabilità. Esprime rapporto di consenso o dissenso sulle proposte e giudizi del sindacato. Ma fra consenso ed assunzione di responsabilità c’è differenza.” “Sono i delegati di reparto che hanno un rapporto democratico con i lavoratori. La designazione si accompagna al controllo, alla verifica, ad un rapporto ed una circolazione sempre presenti. Valorizza l’assemblea operaia, porta avanti con maggiore coerenza le sue decisioni, supera il carattere di genericità e di anonimato che si riscontrano nelle manifestazioni plenarie”. L’intreccio tra lavoro e sapere è fondamentale, a partire dalla sua biografia; di suo padre dice che era “un muratore colto”; e ricordando l’infanzia in campagna dagli zii dice “si taceva e si pensava”… si pensava. Ad un sindacalista non basta il comizio, serve approfondire, capire; così la CGIL di Torino organizza un’iniziativa all’Unione Culturale per presentare 10 volumi sui mutamenti tecnologici in fabbrica…e si presentano poche persone… perché studiare, approfondire, costa tempo e fatica. Dice della sua esperienza nel sindacato “ho avuto la grande fortuna di lavorare con un collettivo operaio irripetibile: tutti operai colti che studiavano la fabbrica, la società ed andavano a fondo delle cose; insieme a questi una generazione di intellettuali nuovi: insegnanti per una scuola diversa; giuristi; medici”. Nel 1974 è tra i fondatori dell’istituto piemontese gramsci, di cui diventa segretario. Lo costituiscono 80 intellettuali, la CGIL, la CISL. La presidenza è formata da Bobbio, Napoleoni, Spriano, Libertini e Pace. L’obiettivo è fondare un istituto di ricerca, di incontro e di fusione tra cultura accademica e cultura militante, condizione operaia; è organizzato in 3 sezioni “organizzazione del lavoro” – “multinazionali” – “storia del Piemonte”. Con Tino Pace è tra i fondatori della Fondazione Nocentini per un progetto unitario degli archivi e dei centri studio sul mondo del lavoro. Gli anni in cui è segretario della Camera del Lavoro sono gli anni dell’internazionalismo, della solidarietà, della dimensione globale dell’impegno del movimento operaio ed antifascista. I rapporti con la Spagna sono molto stretti (sulla Spagna scrive un libro, la solidarietà il filo rosso che lo guida). A Barcellona c’erano 80.000 operai che dipendevano da fabbriche di Torino (Hispano Olivetti; Seat Fiat; Pianelli e Traversa; Michelin; Pirelli). Si costruisce un tentativo, pur se in condizioni diverse (in Spagna c’era il franchismo) di rapporto strutturale. Vengono costruite piattaforme rivendicative affini e coordinate le tempistiche delle lotte.Viene inviata una delegazione a Barcellona per approfondire i problemi legati alla scuola. A Candia nel 1974 viene organizzato un convegno unitario su Spagna e franchismo. Dal 1972 al 1974 è consigliere per la CGIL del Comitato Economico Sociale della Comunità Europea. Nel 1975 termina la sua esperienza presso la Camera del Lavoro di Torino. Nello stesso anno viene eletto consigliere regionale e nel 1976 diventa assessore al lavoro, all’industria, all’artigianato ed alla formazione professionale: è un periodo di crisi fortissima, cadono interi settori produttivi (siderurgia, cartaio, auto ed indotto). Sono in crisi 830 stabilimenti, il numero di ore di cassa integrazione è il più alto dalla Liberazione – i fallimenti nel 1976 sono il 18% in più dell’anno precedente. Alasia tenta il recupero produttivo della Venchi Unica (2000 operaie senza lavoro – 17 offerte di gruppi finanziari per acquistarla). Anche su questa vicenda scriverà un libro. Firma quasi 100 accordi. Convoca le parti, lavora quasi in simbiosi nella gestione quotidiana dei problemi con i sindacati (con Lattes, con Avonto), tiene i rapporti con il governo di Roma, cerca imprenditori disponibili a rilevare le fabbriche in crisi, si “sfinisce” con i pochi strumenti regionali a disposizione. Fa approvare una legge di sostegno all’artigianato Anche nella successiva esperienza parlamentare dà voce al mondo del lavoro: parla sette volte in aula: a partire proprio dalla richiesta di copertura con la cassa integrazione di 800 stabilimenti in Piemonte che ne sono privi.

Nel 2008 ha partecipato ad un convegno in questo salone, sull’analisi di Di Vittorio della sconfitta alle elezioni delle commissioni interne del 1955 in Fiat; ha concluso il suo intervento dicendo: “Dobbiamo essere capaci di intervenire nei momenti di produzione ma anche nella società come avvenne nei momenti più felici negli anni delle lotte per le riforme quando ci si impegnava a contrattare per migliorare tutti gli aspetti della condizione operaia. Ricordo le trattative territoriali, i consigli di zona che cercavano di sottrarre la questione delle riforme al rischio di essere un requisito esclusivo dei vertici sindacali nel rapporto con i ministeri” “dobbiamo portare il sindacato più vicino ai lavoratori per risolvere i loro problemi” “costruire strutture intercategoriali che si preoccupino di verificare sul territorio i bisogni dei lavoratori e di contrattare con gli enti pubblici per poterli soddisfare” un contributo alla conferenza di organizzazione di allora e parole attuali e utili oggi.

Ciao Gianni. Siamo vicini alla tua famiglia.

La CGIL di Torino ti saluta e ti ringrazia.

Ci lasci le tue parole, la tua storia di uomo di sinistra che ha dedicato la vita all’emancipazione del lavoro.

 

Il cordoglio della Presidenza  e  della Segreteria nazionale  ANPI

L’ANPI Nazionale si unisce commossa al dolore dei familiari, degli amici e dei compagni per la morte di GIANNI ALASIA, che ha speso l’intera esistenza per gli ideali alla base della nostra convivenza civile. Libertà, democrazia, diritti non rappresentavano per lui astratti concetti, ma concreti e vivi punti di riferimento e orientamento per agire all’interno della società. E tutta la storia del suo impegno – nel mondo del lavoro, come per la sua Torino – affonda le radici nell’esperienza resistenziale vissuta negli anni cruciali della formazione.

Era del ’27, Gianni, dunque uno di quei ragazzi nati e cresciuti solo nel segno del fascismo, della sua retorica e propaganda. Scelse però senza indugi da che parte stare durante l’occupazione nazifascista dell’Italia e col nome di battaglia “Astro” entrò nelle Formazioni Matteotti, 3ª Brigata della Divisione “Bruno Buozzi”, partecipando alla Liberazione della sua città. E Torino ha rappresentato per tutta la vita il teatro della sua azione sindacale, politica, intellettuale: segretario della Camera del Lavoro per quasi un ventennio, consigliere comunale e provinciale, assessore regionale al lavoro e industria, eletto alla Camera dei Deputati nella IX legislatura per il Partito comunista. Poi, dopo la “svolta della Bolognina”, tra i fondatori di Rifondazione Comunista e vera e propria anima de movimento in Piemonte.

La scrittura era forse la sua passione più grande. Sperimentata non solo nei saggi sulla storia delle lotte operaie, ma anche negli interventi lucidi, puntuali, acuti sui giornali della sinistra. E infine – varcata la soglia degli ottant’anni – nel suo nostalgico e mai retorico esordio nella narrativa col quale ci ha lasciat l’ultima, attualissima metafora: il concetto di un’umanità “allargata”, unico, omeopatico antidoto alla xenofobia e al razzismo.

Addio Gianni, addio “Astro”.

fonte: fondazionedivittorio.it

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