L’unità nazionale che scontenta tutti

L’unità nazionale che scontenta tutti

di Gaetano Azzariti -

Dopo la manifestazione «senza precedenti per la sua gravità» dei deputati del Pdl davanti e poi dentro il tribunale di Milano, dopo la tensione provocata dagli accertamenti fiscali ordinata dai giudici nei confronti del leader del centrodestra, il Presidente della Repubblica non poteva tacere. Le modalità prescelte e le parole usate hanno però suscitato diffuse perplessità. Napolitano non ha ottenuto il consueto ampio consenso. Vale la pena cercare di capire perché. Il comunicato del Quirinale che è seguito all’incontro con il Comitato di presidenza del Csm è certamente lo specchio della drammatica situazione politica in cui versa l’Italia.
Un intervento che ha come scopo esplicito quello di stemperare le tensioni ormai giunte al limite del costituzionalmente sopportabile. Ed è ben comprensibile che il Presidente della Repubblica si adoperi per garantire il permanere di «un clima corretto e costruttivo nei rapporti tra giustizia e politica», nonché – in questa confusa fase politica – intervenga per assicurare che siano portati a termine «gli adempimenti istituzionali che stanno venendo a scadenza»: dalla nomina dei presidenti delle Camere, a quella del suo successore, sino alla più delicata formazione di un nuovo governo. Bisogna però anche dire che – almeno questa volta – lo scopo non è stato raggiunto e, forse, era prevedibile l’esito. Napolitano in quest’occasione ha ritenuto di non potersi schierare nella lotta che vede contrapporsi il Pdl e i giudici, rivolgendo il suo appello e le sue “reprimende” tanto agli uni (ricordando che la «legalità è un imperativo assoluto (…) cui nessuno può considerarsi esonerato») quanto agli altri (che devono «guardarsi dall’attribuirsi missioni improprie»), ma in tal modo è riuscito a irrigidire – anziché ammorbidire – tutte le parti coinvolte, esasperando anche le altre forze politiche.
I giorni seguenti il comunicato, le reazioni negative sono prevalse. I processi a Berlusconi non potevano che proseguire (né certo per Napolitano era possibile interferire sul loro svolgimento: tant’è che s’è limitato ad auspicare un indeterminato «senso del limite e della misura») e questo ha dato il destro al Pdl di alzare ulteriormente i toni polemici. L’imbarazzo della magistratura è evidente e la decisione di non aprire una discussione in sede di Csm appare solo un modo per limitare i danni. Persino il centrosinistra s’è sentito in dovere di battere un colpo, con dichiarazioni di inusitata forza polemica. Inutile dire che il M5S è stato invitato a nozze e non ha perso occasione per denunciare ancora una volta lo stato comatoso della politica, senza distinzioni. Un intervento presidenziale che ha persino aperto un nuovo e inaspettato fronte polemico con la Repubblica, quotidiano che ha sempre sostenuto le scelte di Napolitano e ora in esplicito disaccordo. Ma allora perché quel comunicato, inutile allo scopo, se non addirittura dannoso?
Tra le righe c’è una spiegazione, nella parte più controversa della dichiarazione presidenziale. Napolitano scrive che è necessario garantire al leader del Pdl di «partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale» che si è venuta a determinare dopo le elezioni del 24 febbraio. Dunque, oltre all’elezione del nuovo capo dello Stato, in particolare, è alla formazione di un nuovo governo che si pensa; una questione indubbiamente assai complicata e di diretta competenza del Presidente della Repubblica. D’altronde Napolitano già in passato ha mostrato un’estrema sensibilità alle ragioni della governabilità. Non so dire se quel comunicato abbia rappresentato «un premio ai sediziosi» (così la Repubblica), ma è certo che, secondo gli auspici di Napolitano, la partecipazione di Berlusconi alla risoluzione della crisi dovrebbe ora osservare un senso di misura se non vuole – come si legge nel comunicato quirinalizio – esporre «la Repubblica a gravi incognite e rischi». Una richiesta esplicita all’ineffabile leader dello schieramento «che è risultato secondo, a breve distanza dal primo» di favorire una soluzione della crisi che sia nel segno dell’unità nazionale. Così almeno a me pare.
il manifesto 17 marzo 2013

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