Una vita in missione aiutando chi è in fuga

Una vita in missione aiutando chi è in fuga

di Carlo Lania -

Energica ma gentile e di poche parole, quelle sufficienti a farti capire un concetto senza girarci troppo intorno. Perché le questioni di cui si è sempre occupata, uomini e donne in fuga da guerre, fame e persecuzioni, le hanno insegnato che il tempo è prezioso. Tra le persone che hanno lavorato con lei non ce n’è una che non le riconosca una estrema competenza e una grande disponibilità verso gli altri. Doti acquisite fin da giovanissima, sempre mossa da una grande curiosità e attenzione verso gli ultimi del mondo, due caratteristiche che l’hanno portata a sedere sullo scranno più alto di Montecitorio. Una scelta perfetta perché se c’è una persona da sempre attenta ai diritti delle minoranze (ora anche parlamentari) questa è proprio lei, Laura Boldrini, ex portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, adesso presidente della Camera, terza donna a ricoprire l’incarico dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti.
Marchigiana, 51 anni, una laurea in giurisprudenza e una figlia ventenne che ha già girato mezzo mondo. La sua è stata definita da qualcuno come un’elezione di rottura con il passato e certamente lo sarà. Ma in «rottura» con qualche cosa Laura Boldrini lo è sempre stata. Fin da giovane quando, come raccontò una volta in un’intervista, ruppe con il padre decidendo di partire con un’amica per il Venezuela. Voleva studiare i campesinos e lo fece, ma poi finì anche col girare per mesi tutta l’America centrale. Una passione per i viaggi che in seguito ha trovato uno sbocco naturale nel lavoro. Smessi i panni di giornalista Rai, entra alla Fao dove lavora nel Programma alimentare delle Nazioni unite. E nel 1998 diventa portavoce dell’Unhcr. Cominciano le missioni nelle aree di crisi: dai Balcani al Pakistan, dall’Afghanistan al Sudan, dall’Angola allo Zambia e al Ruanda solo per citarne alcune. «Una donna sempre in prima fila» la descrive Christopher Hein, presidente del Consiglio italiano dei rifugiati che l’ha conosciuta a metà degli anni ’90 quando entrambi si occupavano dei profughi dell’ex Jugoslavia, e che con lei ha affrontato molte delle crisi del Mediterraneo legate all’immigrazione. «Per lei il lavoro è una missione che non conosce orari né sacrifici: occuparsi dei rifugiati è come occuparsi di un parente stretto». Del resto lei stessa una volta, parlando di come la nascita della figlia abbia cambiato la sua vita, disse: «Mi ha dato una sensibilità diversa. Ogni volta che guardo un piccolo profugo vedo lei. Nascere nel posto sbagliato fa la differenza».
Sarà anche per questo che quando si è trattato di dare battaglia per difendere i rifugiati non si è mai tirata indietro. Come nel 2008, anno caldo degli sbarchi in massa a Lampedusa. E più ancora nel 2009, anno in cui il governo Berlusconi, con il leghista Roberto Maroni al Viminale, avviò i respingimenti in mare. In quelle occasioni lo scontro toccò livelli altissimi, con l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa che arrivò a definirla «disumana o criminale». Parole che scivolarono via come acqua di mare, senza farla retrocedere di un centimetro dal suo impegno. «Agli attacchi personali non ho mai risposto, si commentano da soli», disse più tardi. «Del resto non è certo il coraggio che le manca», prosegue Hein. «Laura ha ricevuto critiche pesanti, che vanno ben oltre la differenza di opinioni, non per questo si è ritirata o ha smussato i toni. Neanche con la sua casa madre, la sede dell’Unhcr a Ginevra, dove il suo modo di parlare schietto è lontano da quello che uno immagina debba essere il linguaggio diplomatico».
Quando a gennaio decise di candidarsi, lei che non è mai stata iscritta a un partito, spiegò così la sua scelta. «Credo che sia un’opportunità per portare avanti il mio impegno, anche se da un’altra prospettiva. E sono contenta di farlo nel mio paese e per il mio paese. L’obiettivo è quello di contribuire ad una società più equa, inclusiva e più contemporanea, una dimensione di cui l’Italia non può più fare a meno». Quello che non immaginava era di poterlo fare da presidente della Camera.
il manifesto 17 marzo 2013

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