ROMA 2030, una città a misura dei lavoratori: proposte per il cambiamento

ROMA 2030, una città a misura dei lavoratori: proposte per il cambiamento

roma 2030ROMA 2030

una città a misura dei lavoratori: proposte per il cambiamento

1. Tendenze economiche nell’area metropolitana romana

Il comune di Roma, con i suoi 2,7 milioni di abitanti, è il più popoloso d’Italia; se ricomprendiamo anche l’area metropolitana raggiunge i 4 milioni e 70 mila residenti[1]. Fanno quindi riferimento alla città circa i tre quarti della popolazione residente del Lazio. Gli abitanti effettivi, che comprendono anche coloro i quali non sono residenti (studenti fuorisede, immigrati irregolari e non, italiani che vi abitano per motivi di lavoro ma non vi risiedono, ecc.), sono sicuramente molto più numerosi. Come se non bastasse, Roma giornalmente assorbe un flusso enorme di pendolari, dal resto del Lazio e dalle altre regioni, di turisti e di altre persone che vi si recano per l’espletamento di tutte quelle attività legate alla sua funzione di capitale di due Stati e di centro religioso, culturale, scientifico e politico.

Ancora maggiore, rispetto a quella demografica, è l’incidenza economica di Roma, visto che il valore aggiunto della sua provincia nel 2012 rappresentava l’81,4% di quello del Lazio, in crescita rispetto all’80% del 2007[2].

La crisi economica, iniziata tra 2007 e 2008, ha colpito pesantemente anche la capitale e l’intera regione. Il Lazio in termini di valore aggiunto (a valori concatenati 2005[3]) nel 2011 era ancora al 3,9% rispetto al 2007, l’anno di picco economico pre-crisi. Un dato migliore rispetto a quello nazionale, pari a -4,4% e leggermente peggiore rispetto a quello del Nord, pari al -3,6%, in ogni caso molto meno rilevante rispetto al dato del Sud, dove la flessione è arrivata al -6,6%.

Nel Lazio, a patire maggiormente la crisi è stata l’industria nel suo complesso[4], scesa del -9,6%. All’interno del comparto industriale, però, l’andamento è molto diversificato. La manifattura scende del 13,1% e le costruzioni, tradizionale punto di forza dell’industria romana, perde il 12,9%. Viceversa, le utilities fanno registrare un segno positivo. In particolare, la fornitura di energia elettrica e gas cresce del 12,9%, mentre quella dell’acqua e le attività di trattamento dei rifiuti crescono del 5%.

Anche i servizi nel 2011 fanno segnare un calo del -2,9% rispetto al 2007. All’interno del comparto la flessione maggiore è quella del commercio (-20%) e dei trasporti e magazzinaggio (-17%). Calano anche il settore alberghiero e ristorazione (-6,6%), tradizionalmente solido a Roma, e le attività professionali, scientifiche e tecniche (-4,2%), in quanto legate all’industria e al commercio. Incrementi si registrano, invece, nel settore finanziario e assicurativo (+8,3%), nelle attività artistiche e di intrattenimento (+16,1%), nella sanità e assistenza sociale (+4%) e nell’amministrazione pubblica (+3,1%).

Purtroppo, per quanto riguarda la provincia di Roma non erano reperibili i dati concatenati, è quindi venuta meno la possibilità di effettuare un attendibile confronto storico. Tuttavia, si può vedere anno per anno l’evoluzione del peso dei singoli settori sull’economia e capire così in quale direzione si sta spostando l’economia. Nella provincia di Roma si registra una modificazione del peso dei principali settori sul totale dell’economia. In particolare, tra 2000 e 2011 scende il peso dell’industria, che passa dal 13,2 al 12,4%, ma il risultato negativo è imputabile esclusivamente al manifatturiero che crolla dal 6,2% al 4,1%, mentre le costruzioni rimangono stabili intorno al 5-5,2%. Non ci sono dati sulle utility ma è facile immaginare, anche sulla base del dato laziale, che siano cresciute compensando in parte il calo della manifattura. I servizi crescono dall’86,2 all’87,3% ma al loro interno mentre il commercio[5] registra un vistoso calo, dal 23,7 al 18,2%, e l’amministrazione pubblica[6] scende più modestamente dal 19,9 al 19%, le attività immobiliari crescono dal 12,6% al 15,5%, i servizi di informazione e comunicazione dal 6,4 al 9,4%, il settore bancario e assicurativo dal 7,3 all’8%, e l’intrattenimento e divertimento dal 5 al 6%.

La crisi, quindi, ha colpito duramente l’economia laziale e romana, ma in modo differenziato. In questo modo, il carattere terziario della città e di conseguenza, visto il suo peso relativo, della regione Lazio si è accentuato. Ma si tratta di un terziario che, seppure relativamente, cambia volto svelando alcune tendenze del capitalismo contemporaneo. A fronte di una contrazione dell’amministrazione pubblica e soprattutto del commercio si registra un incremento di finanza, e soprattutto di immobiliare, informazione e comunicazione. Ma non si tratta però solo di terziario, perché le utility (acqua, energia elettrica, gas, e rifiuti) crescono con forza, rappresentando l’unica settore industriale in controtendenza.

A questo proposito è molto interessante analizzare l’andamento degli investimenti fissi, in quanto indicatore della direzione verso cui va il capitale Nell’industria si riscontra un decremento medio degli investimenti tra 2007 e 2011 del -9,3% con un picco negativo pari al -32,1% nelle costruzioni. Viceversa, anche in questo settore gli investimenti che interessano le utilities crescono in controtendenza e in modo molto sostenuto. Gli investimento nel settore dell’energia elettrica e gas balzano a +55,4%, quelli relativi alla fornitura di acqua e trattamento rifiuti a +17,4%. L’incremento delle utilities, specie in confronto al tradizionale settore delle costruzioni, risalta non solo in termini percentuali ma anche a livello assoluto, visto che mentre nelle costruzioni l’investimento nel 2011 è pari a 605 milioni nelle utilities arriva a 1.620 milioni, ovvero il 6,3% del totale. Inoltre, è da sottolineare come a livello nazionale non si riscontrino incrementi negli investimenti fissi paragonabili a quelli che osserviamo nel Lazio.

Nei servizi gli investimenti calano del 12,1%. Ma ancora una volta siamo di fronte ad andamenti estremamente diversificati. Il turismo e il commercio registrano dei veri e propri crolli degli investimenti, rispettivamente -89.7% e -48,6%. Viceversa, si registra una esplosione degli investimenti nel settore sanitario e dell’istruzione, con rispettivamente +88,9% e +41,2%.

2. Crisi del capitale e privatizzazioni delle municipalizzate.

La crisi è strutturale. Ciò vuol dire che è determinata dalla sovraccumulazione di capitale, ovvero dall’eccesso di investimento di capitale in mezzi di produzione, che si traduce in calo del saggio di profitto, che è poi quello che interessa agli imprenditori. Di conseguenza, i settori più saturi di capitale e con tassi di profitto in discesa saranno quelli che ridurranno gli investimenti. I dati sopra esposti portano a concludere che nel Lazio gli investimenti si spostano da costruzioni, commercio e turismo, settori tradizionalmente presidiati a Roma e oggi più colpiti dalla crisi, per dirigersi verso due aree ben individuate: quella delle utilities (acqua, energia elettrica, gas, e rifiuti) e quella dei servizi relativi a sanità e istruzione. Ciò perché, le utilities, essendo di fatto dei monopoli, sono meno soggette alle dinamiche concorrenziali e al calo del saggio di profitto e garantiscono prezzi più alti e quindi utili maggiori. La sanità, e più limitatamente l’istruzione, sono altre galline dalle uova d’oro, perché il pubblico non solo garantisce lauti sovvenzionamenti ai privati che vi investono ma continua anche ad accollarsi le attività più onerose e meno vantaggiose economicamente.

Non è un caso, dunque, che i settori economici e politici che contano, a Roma e in Italia, spingano per le privatizzazioni. Il governo di Renzi e Padoan è ben deciso a procedere su questa strada, prevedendo ben 40 miliardi di privatizzazioni tra 2015 e 2018. In realtà, le privatizzazioni più appetibili dal capitale, specie dai «capitalisti de noantri», sono quelle delle utilities, in particolare delle municipalizzate e non certo quelle delle industrie manifatturiere controllate dallo Stato, che faticano a trovare acquirenti. In quest’ultimo settore, infatti, bisogna vedersela con un’agguerrita concorrenza internazionale. Non è un caso che personaggi a Roma molto influenti, come Francesco Gaetano Caltagirone (che ha creato la sua fortuna come «palazzinaro») stiano riconvertendo cospicue fette dei loro interessi in direzione delle utilities. Caltagirone in questi ultimi anni ha incrementato la propria partecipazione in Acea fino al 15,8% del capitale sociale e recentemente ha tentato, sia pure per il momento senza esito, di incrementare ulteriormente la sua quota. Ma le utilities romane e laziali non fanno gola solo ai palazzinari indigeni, sono nel mirino anche delle multinazionali straniere come la francese Suez Environnement che possiede il 12,74% di Acea.

Le privatizzazioni delle municipalizzate rappresentano un aspetto strategico in Italia e in particolare a Roma. La quota maggiore delle imprese a partecipazione pubblica, ed in conseguenza degli addetti, si trova nel Centro Italia e il Lazio, con 430mila addetti, rappresenta da solo il 45% del totale Italia (2012)[7]. Quanto possa valere la citta di Roma all’interno del dato complessivo laziale è facile immaginare.

Le privatizzazioni saranno pertanto devastanti per tre ragioni.

  • In primo luogo va sottolineato come le imprese pubbliche, nonostante le privatizzazioni del passato, rappresentino ancora una parte importante della struttura produttiva romana ed esattamente: il 27% degli investimenti, il 22% del valore aggiunto e il 21% dei salari. Le privatizzazioni determineranno una contrazione della base produttiva e occupazionale e di riflesso del prodotto interno lordo così come avvenuto dopo la fine delle partecipazioni statali.
  • Considerato l’attuale andamento del mercato azionario e la fretta (per la verità sospetta) con cui si intende procedere alle privatizzazioni, non può non insorgere poi in secondo luogo la più che fondata preoccupazione che i gioielli di famiglia possano essere svenduti per un piatto di lenticchie.
  • La vendita infine delle società più profittevoli farà certamente venir meno i lauti dividendi in favore dello Stato e degli enti locali ma altrettanto certamente non saranno le famiglie a trarne beneficio in termini di riduzione delle tariffe, dato che in Italia tutte le privatizzazioni hanno sempre portato non alla libera concorrenza ma alla tacita creazione di cartelli.

Infine, bisogna ricordare che tutto questo è giustificato con la necessità di reperire la liquidità per ridurre il debito pubblico. Le raccomandazioni europee sul debito e sulle privatizzazioni rappresentano la scusa attraverso cui il capitale europeo cerca di trovare nuovi settori profittevoli e realizzare economie di scala attraverso le acquisizioni di imprese pubbliche.

L’argomentazione secondo cui le privatizzazioni permetterebbero di ridurre le tariffe dei servizi si è rivelata, come immaginabile, falsa. Anzi, le privatizzazioni determinano necessariamente un aumento dei prezzi. Infatti, il capitale privato è portato a sfruttare al massimo la condizione di monopolio ovvero la possibilità di spingere in alto il livello dei prezzi, allo scopo di innalzare il saggio di profitto, che invece negli altri settori risulta calante, a causa della sovrapproduzione e dell’aumento della concorrenza. Già nel 2010 la Corte di Conti scriveva in modo diplomatico ma esplicito: «Per quanto riguarda le utilities, c’è tuttavia da osservare che l’aumento della profittabilità delle imprese regolate è dovuto più che a recuperi dei costi, all’aumento delle tariffe che, infatti, risultano più alte di quelle richieste agli utenti di altri Paesi europei, senza che i dati disponibili forniscano conclusioni univoche sulla effettiva funzionalità di tali aumenti alla promozione di politiche di investimento delle società privatizzate[8] Le cifre confermano quanto detto fino ad ora: l’Italia, dopo una massiccia campagna di privatizzazioni, registra tra 2010 e 2014 un incremento delle tariffe del 19,1 per cento, il maggiore in Europa dopo la sola Spagna, e a fronte di una media Europea dell’ 11,8 per cento. In particolare, tra 2004 e 2014 le tariffe dei servizi elettrici sono aumentate del 48,2, quelle autostradali del 46,5 quelle dei trasporti ferroviari del 46,3 e quelle del gas del 42,9 per cento, a fronte di un aumento medio dei prezzi dell’economia del 20,5 per cento[9].

3. L’inchiesta «Mafia-capitale»: neo-liberismo e crimine organizzato

In questo quadro si colloca l’inchiesta della Procura di Roma su «Mafia-capitale»: l’organizzazione criminale che ha operato nell’ultimo decennio nella capitale.

Il primo dato su cui occorre riflettere attiene alle dinamiche di contesto evidenziate nel precedente paragrafo. E’ nelle maglie del complesso processo di esternalizzazione dei servizi comunali, progressivamente realizzatosi in questi anni, anche in funzione del taglio dei trasferimenti agli enti locali da parte dello Stato, che si è realizzata la penetrazione dell’holding criminale, capeggiata dal neo-fascista Carminati. E’ quindi la trasformazione dell’assistenza pubblica in un mercato, il «privato sociale», e la ricerca, quindi, del «profitto» sui fenomeni di marginalità sociale ad aver posto le condizioni per il malaffare.

Il crimine organizzato era, infatti, ben interessato, non a risolvere le cosiddette emergenze, dalle quali come si vedrà ha tratto lauti profitti, quanto a perpetuarle. Il business delle «emergenze» (segnatamente quella abitativa, quella migratoria e quella dei Rom) è dunque figlio delle esternalizzazione dei servizi, a loro volta derivate da una precisa gamma di politiche neo-liberiste, adottate in Italia negli ultimi decenni. [10]

Nel gennaio 2014 gli ispettori della Ragioneria dello Stato, in un rapporto, segnalavano le irregolarità degli appalti che il Comune di Roma aveva garantito a tre cooperative: il consorzio Eriches, il Consorzio casa della solidarietà e la Domus Caritatis. Per rispondere all’emergenza abitativa il Comune, attraverso delibere, convenzioni e proroghe, aveva, infatti, affidato loro quasi 30 milioni di euro l’anno, sebbene l’importo – osservava l’Ispettorato – fosse «largamente superiore al limite previsto dalla legge al di sopra del quale cui il fornitore dovrebbe essere individuato mediante una gara europea». Attraverso le procedure «straordinarie», dettate dalle «emergenze», Salvatore Buzzi – il sodale di Carminati – era quindi riuscito ad assumere il controllo di 2.965 posti letto, destinati ai più deboli della nostra società: richiedenti asilo, minori stranieri non accompagnati, famiglie italiane travolte dalla crisi, senza tetto, madri sole e rom. Come testimoniato dalle intercettazioni pubblicate sui giornali l’holding criminale di Carminati, non a caso, giudicava più profittevole lucrare sulla marginalità sociale che attraverso lo spaccio di sostanze stupefacenti.

Al sodalizio criminale, capeggiato da Carminati, non era ovviamente estranea, ne era anzi un ganglio fondamentale, una certa imprenditoria romana assai disinvolta in termini di ricerca di profitti facili. Un ruolo chiave – secondo le ricostruzioni circolate – veniva, non a caso, rivestito da Cristiano Guarnera, le cui imprese nel settore edilizio costituivano il perfetto complemento del quadro delineato. Nel 2010 la Giunta Alemanno aveva, infatti, creato un sistema di «assistenza alloggiativa temporanea anche con servizi di accoglienza», grazie al quale il Comune garantiva 24 euro al giorno a persona alla cooperativa destinataria dell’appalto, cui spettava il compito di trovare la casa e di affidarla. E’ così che Guarnera, una volta entrato nel circuito illecito degli appalti pubblici, era riuscito, tra gli altri, ad affittare quattordici appartamenti, in località Selva Candida, nell’ambito del piano per l’emergenza abitativa. In via diretta e senza alcuna procedura di evidenza pubblica sono, quindi, state coinvolte diverse imprese, il cui compito era soddisfare le esigenze connesse al piano di «emergenza abitativa», promosso dall’amministrazione comunale.

E’ utile sviluppare a questo punto alcune considerazioni.

  • La prima riguarda il business dell’emarginazione sociale, ovvero le scelte politiche – improntate ai diktat neo-liberali – attraverso cui l’assistenza pubblica è stata trasformata in un mercato, in virtù del quale il privato, a differenza del pubblico, trae vantaggio dal perdurare dei problemi sociali piuttosto che dal contribuire alla loro risoluzione. La marginalità sociale – è utile sottolineare – rappresenta per i privati un vero e proprio mercato, da proteggere e valorizzare.
  • Propinataci per decenni come l’unica soluzione alle malversazioni nella gestione del welfare pubblico, il «privato sociale» è stato in realtà il cavallo di Troia attraverso cui si è sferrato un violento attacco alle condizioni di lavoro nei servizi con conseguente livellamento verso il basso dei salari e delle tutele sociali dei lavoratori. Le politiche pubbliche improntate al «New Public Management» e al cosiddetto «contracting out», mitizzate come più economiche ed efficienti, oltre a non aver realizzato mai gli obiettivi prefissati, hanno pesantemente contribuito invece al peggioramento delle condizioni di lavoro.
  • Sotto accusa non devono, quindi, finire i lavoratori delle stesse cooperative, sovente uomini e donne che grazie a questi impieghi sono riuscite a intraprendere un percorso emancipativo dopo periodi di detenzione, costretti – per necessità – ad accettare, negli anni, condizioni di lavoro comparativamente più basse della media del settore, ma le classi dirigenti e l’imprenditoria di questo paese, che in diverso ordine e grado, hanno costruito un interesse privato sull’emarginazione sociale.
  • Un velo è stato, infine, squarciato su quelle frange del movimento cooperativo che hanno fatto proprie le pratiche imprenditoriali più aggressive, e moralmente esecrabili, grazie alle quali il «socio-lavoratore» più che imprenditore di sé stesso è un dipendente privo di diritti e con un salario significativamente più basso dei livelli contrattuali.

4. La longa manus dei «palazzinari»

Dal marasma dell’inchiesta sulla cupola romana esce sostanzialmente indenne il potere forte per eccellenza a Roma: i «palazzinari». L’indice è ad oggi sostanzialmente puntato, infatti, su un sistema criminale in grado di movimentare qualche centinaio di migliaia di euro. Chi ne muove centinaia di milioni (in qualche caso miliardi, vedi costruzione della Metro C), «condiziona» più o meno lecitamente la vita politica della città (e dei suoi partiti) e l’individuazione delle assi strategiche del suo sviluppo sfruttando i meccanismi gestionali consociativi consolidatisi in questi anni, ne esce «pulito», quindi, rafforzato.

L’incoronazione dei sovrani capitolini non è cerimonia recente, ma affonda le radici in dinamiche stratificatesi attraverso decenni. I costruttori che governano Roma hanno infatti edificato un sistema di potere sostenuto da pilastri e architravi recanti le più disparate etichette politiche. La dialettica politica all’interno del consiglio comunale a Roma, per un complesso di elementi su cui non è utile soffermarsi in questa sede, è in una parte significativa una mera proiezione della dialettica reale, strutturale, esistente tra palazzinari: tra i loro interessi, diretti ed indiretti (utilities, in primo luogo), talvolta confliggenti, talvolta convergenti.

Le forze politiche romane, progressivamente, sono divenute sempre più succubi di questi interessi e delle regalie che possono dispensare loro. La politica non ha monitorato quest’onda montante, anzi ha fondato una parte importante del proprio consenso proprio sul rapporto carnale di affari e voti. La deformazione e la distorsione della rappresentanza dei diversi interessi sociali all’interno del Consiglio comunale che ne deriva sono sotto gli occhi di tutti: ad essere sottodimensionati, o addirittura cancellati, sono gli interessi dei ceti sociali deboli e del mondo del lavoro.

Incarnazione paradigmatica e paradossale di questa dinamica è l’esperienza di Roberto Carlino. Si tratta del proprietario di Immobildream, una importante società di intermediazione immobiliare. Lavora in coabitazione con il costruttore più potente di Roma e genero dell’ex segretario dell’Udc, Pierferdinando Casini, Francesco Gaetano Caltagirone. Ed è proprio con il partito centrista che Carlino sfiora l’elezione alle europee del 2009 per poi conquistare un seggio in Regione Lazio nel 2010. Ma il traguardo più importante ed incredibile lo taglia nel luglio 2010: nominato presidente della Commissione Ambiente, proprio il soggetto che si occupa di valutare l’impatto di leggi come il Piano Casa.

Lo stesso Caltagirone stava tessendo la propria tela già da numerosi anni, senza in realtà attribuire troppo peso al colore politico dell’interlocutore. Lo dimostrano gli stretti rapporti con il sindaco Veltroni, sempre pronto a garantire un occhio di riguardo ai sovrani del cemento. Già nel 2003 Veltroni aveva fornito un ghiotto assist sempre a Caltagirone: la delibera 37 del 2003 autorizzava il Consorzio Tor Pagnotta, la cui maggioranza era detenuta dal genero di Casini, a costruire un milione e centomila metri cubi su 57 ettari per un totale di circa 15mila unità abitative. Nel 2007, con la crisi edilizia già evidente ed il Piano regolatore alle porte, durante un’assemblea dell’Acer, l’associazione dei costruttori capitolini, la presenza di Caltagirone (che in genere era assente) dinanzi al sindaco servì a tracciare la rotta, ben presto definita anche nei dettagli. Il 20 novembre 2007 Veltroni e la sua giunta siglavano infatti con Acer e varie sigle delle cooperative un accordo per la realizzazione di 20mila nuovi alloggi entro il 2011.

Ma Caltagirone non era l’unico imprenditore edile vicino all’allora sindaco, altro amico importante era infatti il costruttore Claudio Toti, patron del Basket Roma, con cui Veltroni condivideva ogni domenica la tribuna del Palazzetto dello Sport ma anche della Lamaro che vinse l’appalto per la Città dei Giovani a Ostiense e che edificò massicciamente alla Bufalotta e in zona Magliana.

Gianni Alemanno concentrò invece la maggior parte dei suoi sforzi nelle ultime fasi della legislatura emanando 64 delibere urbanistiche finalizzate alla costruzione di 70mila nuovi alloggi. Fu l’acme di un percorso in cui le colate di cemento vennero approvate con specifici atti in Campidoglio, prima fra tutti la delibera con cui nel gennaio 2012 fornì piena attuazione al Piano Casa monstre dell’allora governatrice Renata Polverini, garantendo ai costruttori la possibilità di intervenire più rapidamente e camuffando la speculazione dietro la maschera della riqualificazione urbanistica. Ma, scolpite nella memoria della città, restano le sue parole per definire il nuovo piano per le case popolari. «Servono 25.700 alloggi, di cui 6.000 in edilizia agevolata e 19.700 in housing sociale. E serve anche offrire ai privati terreni edificabili in cambio di nuove metropolitane». Le zone individuate per i nuovi alloggi erano: Casal Monastero, Dragoncello, Pian Saccoccia, Tragliatella, via Lucrezia Romana, Cerquette. Tutte accomunate da un unico denominatore: giungle di cemento completamente avulse e scollegate dal resto della città e prive dei servizi essenziali. In parallelo venivano lautamente finanziati i progetti di sovvertimento urbanistico (masterplan, waterfront, ex Fiera di Roma) e di costruzione di grattacieli (l’area dell’ex velodromo dell’Eur) che le cronache dei mesi scorsi hanno immortalato come miniere di tangenti e malaffare.

Intrecci tra «palazzinari» e politica che sono arrivati a includere organicamente anche quella sinistra un tempo di lotta e poi di governo. In questo senso è emblematica la vicenda di Luca Parnasi, capace di tessere solidi rapporti con la sinistra istituzionale e soprattutto di fagocitare con acciaio e calcestruzzo l’intero quadrante est di Roma. Si tratta di operazioni titaniche, a partire dal grattacielo in stile newyorkese da 263 milioni di euro che avrebbe dovuto ospitare, tra l’Eur e il Grande Raccordo Anulare in zona Castellaccio, la nuova sede della Provincia di Roma. Il trasloco dei dipendenti procede a rilento e poi si blocca, la destinazione è ancora da chiarire, ma poco importa perché, nel frattempo, e sempre da quelle parti, Parnasi ha continuato a capitalizzare le sue entrature politiche. Lo scorso 22 dicembre il Comune di Roma, tramite la delibera 163/2014, ha qualificato «di interesse pubblico» il progetto urbanistico ‘Stadio della Roma a Tor di Valle’. Ma la denominazione ufficiale rappresenta il classico specchietto per le allodole perché su circa un milione di metri cubi di cemento previsti, soltanto il 14% servirà per la nuova struttura sportiva. Il resto sarà riservato a edifici commerciali e finanziari, almeno stando a quanto suggerito dal progetto stesso, che ruota intorno alla costruzione di centri direzionali e per lo shopping all’interno di un Business Park da 318.702mq. Pare, però, che tutti abbiano dimenticato le indicazioni inviate dall’Autorità di Bacino del Tevere: l’area presenta elevato rischio idrogeologico. Ma il problema, evidentemente, sarà valutato soltanto quando si concretizzerà l’emergenza, come hanno mostrato tutti i precedenti di questo genere. Nel complesso il guadagno della Eurnova Srl, la società di Parnasi che ha siglato il progetto con l’As Roma a stelle e strisce, oscillerebbe tra i 500 e gli 800 milioni di euro, a seconda delle quotazioni che si preferisce utilizzare. Introiti che costituiscono soltanto la prima mattonella di un investimento a più ampio raggio. Lo stadio comporterà ovviamente nuovi servizi e infrastrutture che determineranno un apprezzamento fisiologico di tutta l’area, con rendite immobiliari moltiplicate per gli uffici venduti o affittati dal lungimirante Parnasi. Ma, probabilmente, il Comune non è dello stesso avviso dato che ha «interesse pubblico» il progetto.

Ma qual è il denominatore comune alle due operazioni condotte dal rampante Luca? La contiguità, poi tradottasi in accordi milionari, con giunte di centrosinistra. L’affare del Castellaccio è stato ideato nel 2005 dalla giunta provinciale allora guidata da Enrico Gasbarra che, assieme all’assessore al Bilancio Antonio Rosati, organizzò un mandato esplorativo per individuare una nuova sede. Nel 2007 viene certificata l’offerta migliore: quella inviata da Europarco Srl di Parsitalia. E nel 2009, sotto l’amministrazione di Nicola Zingaretti, il consiglio approva la delibera ‘Esercizio di opzione di ‘acquisto’. Nell’ottobre 2010, infine, viene firmato il contratto di acquisto di cosa futura, cioè del palazzo non ancora terminato. La vendita è stata poi completata e formalizzata nel dicembre 2012. La vicenda dello stadio a Tor di Valle, come raccontato, è storia recente, orchestrata con il contributo determinante della giunta comunale guidata da Ignazio Marino.

L’impatto di queste operazioni è stato dirompente, arrivando a tirare in ballo il mondo dell’editoria e altri imprenditori di rango. Mentre Parnasi chiudeva l’affare con la Provincia, «il Messaggero» lanciava una sferzante offensiva a colpi di inchieste e approfondimenti, snocciolando numeri e legami torbidi. Come è ben noto, l’editore del quotidiano di Via del Tritone è il succitato costruttore Francesco Gaetano Caltagirone che utilizzò il quotidiano di sua proprietà per cercare di impallinare il politico che aveva supportato l’avversario in affari: Zingaretti è stato per anni bersaglio di sciabolate stampate sulle pagine del «Messaggero». Lo stesso imprenditore, nel giugno 2013, annusò il vento e negli studi di «Otto e Mezzo» tradì il genero Casini e sfoderò un deciso endorsement a sostegno di Renzi. L’analisi potrebbe proseguire senza sosta, agganciando sempre nuove componenti a questa filiera politico-imprenditoriale. Ma la questione nodale resterebbe comunque immutata: ogni spostamento del capitale orienta rigorosamente il ceto politico. Gli effetti sono immortalati dai numeri: il Palazzo della Provincia, ancora deserto, è costato 263 milioni. Per l’emergenza casa, in tutto il 2014, il Comune di Roma ha erogato 42 milioni di euro per assistere 1860 nuclei famigliari e un totale di cinquemila persone.

Numeri che si inseriscono all’interno di un quadro di espansione edilizia selvaggia: a Roma il 30% delle abitazioni è abusivo. Mentre l’emergenza casa divampa nelle viscere della città, le istituzioni scandiscono il ritmo del dramma a suon di cifre e ricorrenze. «Nel 2015 verranno superati i 7 mila sfratti», ha sentenziato il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, al termine dell’audizione sul decreto «Milleproroghe» a commissioni riunite, Affari Costituzionali e Bilancio, alla Camera. Certificata quindi l’ennesima tappa di un percorso che «nel 2013 ha registrato l’esecuzione di 6299 sfratti e che nei primi sei mesi del 2014 ha raggiunto quota 3500». A completare il puzzle le cifre snocciolate dall’Agenzia Diritti del Comune di Roma, che scrive: «Drammaticamente i dati dell’emergenza abitativa nella nostra città parlano di 17.000 sfratti tra quelli eseguiti, in esecuzione e da eseguire; le stime parlano di 1 sfratto ogni 240 famiglie a Roma, ovvero 1/5 delle famiglie romane». Le ragioni di questo trend sembrano evidenti. «La mancanza di una politica di assistenza per chi subisce le conseguenze degli sfratti e il completo stallo nell’incentivazione dell’edilizia residenziale pubblica e nell’assegnazione di case popolari». Tutto questo mentre, calcola uno studio realizzato dalla Cgil, sono circa 50mila le famiglie in attesa di una sistemazione, a fronte di 120mila abitazioni sfitte.

5. Considerazioni finali: le proposte dei comunisti

Roma – come evidenziato nel primo paragrafo – è diventata l’esemplificazione delle tendenze più parassitarie e devastanti del capitalismo in epoca di crisi, gli assi su cui si muove sono due: finanza e immobiliare, da una parte, e saccheggio dei beni e delle aziende pubbliche, dall’altra. Per reclamizzare una città globale da 12 milioni di turisti l’anno, da una parte vanno tenuti alti i livelli dei valori immobiliari, da usare come cespiti per la speculazione finanziaria, dall’altra vanno sostenute le privatizzazioni delle utilities, per mantenere un saggio di profitto adeguato. In questo quadro la politica capitolina, supina agli interessi dominanti e senza una vera presenza di sinistra, ha funzionato e continua a funzionare da notabile.

L’inchiesta sul «mondo di mezzo» (fascisti, affaristi e imprenditoria criminale) – a ben guardare – ha, in ultima istanza, determinato l’eliminazione di una parte di quegli intrecci e di quei costi improduttivi che le classi dominanti, «il mondo di sopra», non è più intenzionata a sostenere nella crisi. I meccanismi politico-economici, espressione del neo-liberismo, che hanno consentito alle organizzazioni criminali di prosperare non sono stati toccati. A pagare, come accade sistematicamente da venticinque anni a questa parte, sono in primo luogo i lavoratori romani, gli abitanti delle periferie, il «mondo di sotto», il cui salario diretto ed indiretto (utilities) è in costante diminuzione.

Una proposta politica per la città di Roma deve essere in grado di aderire a questo livello di analisi, i comunisti devono quindi indirizzare la loro politica contro la rendita ed il profitto che strangolano la città, verso la lotta contro la sanità privata e per quella pubblica e contro le privatizzazioni delle municipalizzate. L’obiettivo deve essere arrivare al loro blocco e al loro rilancio, affinché recuperino efficienza e forniscano alla collettività quei servizi di cui ha bisogno e che rappresentano parte consistente del salario indiretto: assistenza sanitaria, trasporti pubblici, verde, nettezza urbana, ecc. Occorre contestualmente puntare sugli investimenti pubblici diretti quale volano per rispondere alla domanda di servizi e qualità della vita della grande periferia romana. In conclusione l’azione di «moralizzazione» della politica cittadina deve realizzarsi a favore del «mondo di sotto» e non a scapito di esso. Per farlo bisogna dare una svolta allo sviluppo della città, nel senso di una programmazione che faccia prevalere l’interesse pubblico su quello privato e che colpisca, dunque, la speculazione aprendo un nuovo discorso sul problema dell’equilibrio tra la città e il territorio.

Alcune proposte:

  • BLOCCO DELLE CONCESSIONI EDILIZIE NELL’AREA METROPOLITANA DI ROMA FINO AL 2030.

Per aggredire la speculazione immobiliare occorre avanzare proposte radicali, che vadano cioè alla radice del problema. La prima, la più importante, è la moratoria – fino al 2030 – contro il cemento nell’area metropolitana di Roma, si proceda dunque ad blocco immediato delle costruzioni commerciali e residenziali. Contestualmente bisogna operare affinché siano ridotte le cubature nel Piano Regolatore, abolite le deroghe e la nozione di «diritti edificatori» e innalzati gli oneri concessori (fino all’effettiva copertura dei costi di urbanizzazione) e il contributo straordinario di valorizzazione urbanistica sino al 100%. Per salvaguardare e valorizzare l’Agro romano vanno, quindi, bloccate le edificazioni su terreni agricoli e assegnare in affitto i terreni pubblici a cooperative di giovani che vogliano coltivarli.

  • INTERVENTI STRUTTURALI CONTRO IL DISSESTO IDROGEOLOGICO

La condizione di straordinario disagio che i romani vivono ogniqualvolta il maltempo affligge la città pone con assoluta urgenza il tema della salute del territorio. L’area est, sud e centrale della città, più in particolare, richiedono immediati interventi contro il dissesto idrogeologico. Da questo annoso problema, e dalla conseguente saturazione della rete fognaria, derivano gli allagamenti, i disagi per la mobilità (interruzione linee metro e ferrovie locali, deviazioni e riduzione dei percorsi degli autobus), i black out elettrici, tutti i fenomeni cioè che mettono in ginocchio la città. La rete di raccolta delle acque piovane risulta infatti inadeguata a causa del mancato rispetto delle zone di espansione naturale del Tevere: l’urbanizzazione del bacino del fiume e la relativa cementificazione, rendendo impermeabili enormi superfici del territorio, non consente più l’assorbimento delle piogge, ragione per cui, anche a fronte di eventi atmosferici di scarsità intensità, la città subisce danni enormi. Non resta, quindi, che mettere in sicurezza il territorio, arrestare la cementificazione, programmare e investire nella manutenzione e nella salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo partendo da un piano straordinario per la pulizia delle fogne e dall’adeguamento e modernizzazione della rete stradale.

  • PER IL DIRITTO ALL’ABITARE

Abbattendo i valori immobiliari si possono gettare le basi concrete per una politica cittadina sulla casa, restituendo una parte importante del salario indiretto dei lavoratori attraverso il recupero ed il riuso a scopo abitativo delle proprietà pubbliche (alloggi IPAB, etc.) , l’acquisizione a prezzo di costo degli alloggi sfitti, o in alternativa la loro requisizione. A questi provvedimenti dovrebbe seguire l’abolizione della legge 431/’97, una legge sulla casa fondata con ogni evidenza sugli interessi della rendita, e una gamma di provvedimenti finalizzati all’assegnazione di alloggi in locazione a canone calmierato per le giovani coppie con reddito medio-basso. Vanno infine bloccati gli sfratti per morosità incolpevole e portati alla luce e tassati i gli «affitti in nero».

  • RI-PUBBLICIZZAZIONE DEI SERVIZI COMUNALI

Il superamento del dominio del mercato sui servizi comunali è l’altro tema cruciale su cui fondare una concreta risposta alle dinamiche di potere imperanti nella città di Roma. In primo luogo vanno, dunque, bloccate le privatizzazioni delle municipalizzate, restituendo contestualmente potere all’organo di rappresentanza cittadino (consiglio comunale) e a quelli periferici (municipi). AMA, Acea, Atac sono il vero boccone su cui il «mondo di sopra» vuole mettere le mani, utilizzando magari i guadagni della speculazione immobiliare e finanziaria o avvalendosi del sostegno economico di quelle aziende multinazionali che hanno già palesato il loro interesse. Al blocco delle privatizzazioni in atto deve corrispondere il ritorno in mano pubblica dei servizi comunali già privatizzati, consentendo attraverso bandi e procedure di evidenza pubblica l’assunzione dei lavoratori attualmente impiegati nelle aziende in questione. In quest’ottica va dunque promossa la riunificazione tra Atac e Tevere TPL e la realizzazione di un’azienda unica regionale del trasporto pubblico, per garantire razionalità organizzativa, riduzione dei costi ed efficienza del servizio.

  • PER UN NUOVO MODELLO PUBBLICO DI GESTIONE DEI SERVIZI

La rivoluzione nella mobilità urbana, negli asili nido, nella gestione dei rifiuti e in quella di acqua ed energia è possibile solo se si costruisce un nuovo modello di gestione pubblica di tali servizi, strappandoli tanto alla clientela politica quanto al mercato. Per farlo occorre riformare drasticamente la governance delle aziende della Città Metropolitana trasformando le SpA in aziende speciali, abolendo completamente i Consigli di Amministrazione (e i loro enormi costi) e attribuendo direttamente al Consiglio Comunale i poteri di indirizzo e controllo. Tutte le cariche direttive debbono essere assegnate tramite la formula del concorso pubblico internazionale, sottraendole così allo spoil system.

Qualità dei servizi, sottratti alla logica del profitto e finalizzati alla sola utilità sociale, e qualità del lavoro non possono che andare di pari passo. Occorre garantire dunque salari dignitosi a chi svolge attività fondamentali. Un segnale importante potrebbe essere dato proprio in questo frangente in riferimento ai lavoratori della cooperativa «29 giugno». L’inchiesta «Mafia capitale» ha, infatti, messo a nudo la fragilità del sistema dei servizi fondata sulle esternalizzazioni: costano di più, dequalificano e diminuiscono la remunerazione del lavoro di chi eroga le prestazioni, peggiorando la qualità dei servizi. In questo senso è necessario dare dei segnali chiari e delle risposte in controtendenza.

  • TASSA PATRIMONIALE SULLE GRANDI RICCHEZZE

Roma è una città ricca ma segnata da una profonda disuguaglianza: pochi hanno tanto, tanti hanno poco. Il 10% dei cittadini romani possiedono, infatti, più del 50% di tutta la ricchezza: è ora di tassarli! Tramite una specifica autonomia impositiva, la Città Metropolitana dovrà tassare la rendita, traendone risorse da redistribuire alla cittadinanza e rompendo il blocco di potere economico della speculazione edilizia e i suoi storici legami con la politica romana. Si deve disincentivare, attraverso un’apposita imposta, l’«aggiotaggio delle case», cioè il mantenimento di appartamenti sfitti o invenduti, che serve a tenere alto artificialmente il prezzo degli alloggi. Va, quindi, istituita un’ imposta di scopo (patrimoniale comunale) sulle proprietà immobiliari, con particolare riguardo per quelle di proprietà del Vaticano e delle Fondazioni bancarie. Alla patrimoniale va accompagnata una riforma del fisco locale, ripristinando un principio di progressività delle imposte comunali (IRPEF, IMU e TASI) e ricontrattando il debito ed i relativi interessi con la Cassa Depositi e Prestiti.

  • RIUTILIZZO DELLA CITTA’ E RICONVERSIONE ECOLOGICA

Di fronte ai tagli orizzontali al welfare e al carovita occorre sostenere il riutilizzo a fini sociali di spazi in abbandono o sottoutilizzati prevedendone anche in questo caso l’acquisizione a prezzo di costo o in alternativa la loro requisizione per realizzare ambulatori sociali, spacci popolari di generi alimentari, centri di ascolto per donne, scuole popolari per stranieri e non, palestre popolari. Vanno infine previste agevolazioni fiscali per i soggetti che promuovono la riconversione ecologica di aree dismesse e la riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati (capannoni, case, fabbriche).

  • NO ALLE GRANDI OPERE: OLIMPIADI E STADIO DI CALCIO

Non vi è stato gioco olimpico recente che abbia generato profitti diretti: questo primo dato la dice lunga sull’utilità di svolgere una manifestazione del genere in una città già devastata dal malaffare. Va peraltro rilevato che la maggior parte degli impianti sportivi creati cessano di operare un minuto dopo la cerimonia di chiusura. Ad essere nuovamente valorizzati sarebbero dunque gli interessi dell’imprenditoria a discapito della qualità della vita della cittadinanza. No dunque alle olimpiadi a ROMA! Analogamente dietro il progetto per la realizzazione del nuovo stadio di proprietà della società calcistica AS Roma si cela una mega speculazione edilizia, attraverso cui le famiglie Parnasi e Armellini contano di acquisire – col beneplacito del sindaco Marino che ha fornito loro la certificazione di pubblico interesse – il diritto a edificare un intero nuovo quartiere. Il valore dei terreni in questione, grazie allo stravolgimento del piano regolatore, viene quindi moltiplicato. Si tratta, quindi, di un progetto che, oltre ad essere realizzato in un’area palesemente inidonea perché a giudizio dell’Autorità di bacino del Tevere ad elevato rischio idrogeologico, comporterebbe per il quadrante sud-ovest della città solo risvolti negativi.

Per dare corpo alle analisi e alle proposte fin qui avanzate è necessaria una mobilitazione unitaria di tutte le forze politiche e sociali della sinistra cittadina. Il tema della democrazia reale va, infatti, collocato e sviluppato sul terreno del conflitto. Per rovesciare la logica autoritaria delle attuali istituzioni locali, occorre rafforzare e costruire luoghi di contro potere democratico e popolare. In questa direzione vanno impiegate quindi le migliori energie e idee per il cambiamento della città di Roma.


[1] Oecd stats.extracts, Regions and cities.

[2] Tutti i dati sull’economia del Lazio e della provincia di Roma citati sono tratti dal data base dell’Istat.

[3] I valori concatenati, cioè riferiti a un anno base (in questo caso il 2005) permettono di eliminare l’influenza dell’inflazione e fare confronti tra anni diversi.

[4] L’industria complessiva è costituita da manifattura, estrazioni minerarie, costruzioni e utility (acqua, elettricità, gas, trattamento rifiuti).

[5] Il dato contiene anche ristorazione e alberghi.

[6] Il dato contiene anche sanità e istruzione.

[7] Istat, Le partecipate pubbliche in Italia, 22 dicembre 2014.

[8] Corte dei Conti, Obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione delle partecipazioni pubbliche, Roma, 10 febbraio 2010.

[9] Ufficio studi CGIA di Mestre su dati Eurostat.

[10] Sotto il profilo amministrativo è utile soffermarsi su un secondo aspetto molto significativo: l’affidamento delle suddette attività sociali alle cooperative, oggetto dell’inchiesta, è avvenuto in assenza di ogni benché minima procedura di evidenza pubblica, cioè in via diretta. Una scelta attraverso cui, a dispetto delle novelle su concorrenza e merito, si sono consolidati e portati a sistema quei meccanismi clientelari e parassitari tipici delle relazioni, a Roma, tra politica e imprenditoria.


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