Lucio Magri: «il fardello dell’uomo comunista»

Lucio Magri: «il fardello dell’uomo comunista»

Il 2 marzo 1919 si apriva a Mosca il congresso di fondazione della Terza Internazionale. L’Internazionale Comunista si sciolse nel giugno 1943. Pubblichiamo un estratto dal libro di Lucio Magri “Il sarto di Ulm” in cui, prima di esaminare la complessa e originale storia del partito comunista italiano, traccia un bilancio della vicenda del comunismo tra le due guerre mondiali. Fortunatamente disponibile anche in edizione economica il libro di Magri è uno strumento fondamentale di conoscenza e riflessione sulla storia dei comunisti nel Novecento. Non possiamo che consigliarne la lettura. 

1. Nell’ultimo quindicennio dell’Ottocento, e fino alla vigilia della Prima guerra mondiale, è emerso, in Europa ma non solo, un nuovo soggetto sociale, politico, culturale ben definito. Esso aveva alle spalle una lunga e travagliata gestazione: straordinari momenti di insorgenza rivoluzionaria (il 1848, la Comune) conclusi da altrettanto brucianti sconfitte, aspri e mai del tutto superati conflitti ideologici (anarchici, neogiacobini, socialisti utopisti ecc.); varie esperienze pratiche (sindacali, cooperativistiche, comunitarie); il tutto inserito e modellato in contesti nazionali molto diversi tra loro. Alla fine però era emerso un protagonista indiscutibilmente egemone, il socialismo di orientamento marxista, organizzato in partito, e collegato a sindacati, cooperative, giornali, riviste, su scala nazionale e con espliciti e impegnativi legami internazionali: la Seconda internazionale. Sui suoi legittimi genitori non ci sono dubbi possibili. Esso è nato da un incontro storicamente determinato. Da un lato una nuova classe, che lo sviluppo economico rapidamente produceva e rapidamente escludeva, ben definita nel rapporto tra capitale e lavoro salariato. Questa classe andava proprio allora concentrandosi nella grande industria, era capace di rivendicazioni e lotte collettive, e al tempo stesso (avendo dietro di sé la Rivoluzione francese) non era più plebe indistinta e rassegnata, poiché aveva “una confusa coscienza dei propri diritti sociali e politici. Dall’altro lato un pensiero forte, il marxismo, che a “sua volta aveva radici nell’eredità insieme riconosciuta e criticata della cultura moderna, offriva a quel nuovo soggetto sociale non un generico sostegno, ma strumenti intellettuali robusti per comprendere le ragioni strutturali delle sue sofferenze, per decifrare e immettersi in un’interpretazione generale della storia, per dare fondamento e plausibilità a un progetto di trasformazione generale del sistema e lo chiamava quindi a darsi un’organizzazione politica e ad assumere il ruolo di futura classe dirigente. Tale incontro non fu privo di ostacoli e controversie, ancora dopo le aggregazioni organizzative e anche tra coloro che pur si dichiaravano sinceramente marxisti. Controversie teoriche (dal «marxismo della cattedra» influenzato dal meccanicismo positivistico o dall’eticismo kantiano, all’economicismo tradeunionista); controversie politiche (sul suffragio universale, sull’importanza del Parlamento, sul colonialismo, sulle questioni operaie). Su tutto questo non occorre soffermarsi, perché esiste una vasta letteratura, ma soprattutto perché le controversie non impedirono a quel soggetto in formazione di definire comunque, anche a prezzo di qualche mediazione e di qualche ambiguità, un’identità culturale e di darsi un indirizzo politico unitario.

Utile invece, perché oscurato da successive e più aspre divisioni e oggi quasi dimenticato, è ricordare l’esito cui quel tentativo arrivò nel periodo del suo decollo, cioè la sua straordinaria ascesa, su ogni versante, nel corso di poco più di vent’anni, e i risultati ottenuti, molti dei quali permanenti. Conquiste politiche: allargamento sostanziale in molti importanti paesi dell’accesso al voto, spazi di libertà di parola, di stampa e di organizzazione, pur pagando cruente repressioni, carcerazioni, esili. Conquiste sociali: riduzioni dell’orario di lavoro, diritto alle «coalizioni dei lavoratori», cioè alla contrattazione collettiva, primi passi di assistenza sanitaria e previdenziale e di tutela di donne e bambini, istruzione elementare obbligatoria. Crescita organizzativa (in Germania quasi un milione di iscritti) e crescita elettorale (intorno al 1910 la socialdemocrazia raggiunse, in Germania ma non solo, oltre il 35% dei voti e divenne il primo partito in Parlamento). Infine successi culturali: il marxismo penetrò nelle università (oltre che nelle fabbriche, nelle carceri e fino in Siberia), formando gruppi dirigenti di grande valore e imponendo ai maggiori intellettuali che lo avversavano di confutarlo, ma prendendolo sul serio. Anche qualche insorgenza rivoluzionaria, contro stati autoritari, sconfitta ma non inutile, come in Russia nel 1905, o vincente, come in Messico. Una così sorprendente e rapida ascesa era connessa a un’unità di fondo che, al di là dei dissidi passati o di quelli in gestazione su alcuni punti, era sufficiente a definire un’identità, a mobilitare grandi speranze in grandi masse. Non c’era socialista, per quanto riformista e gradualista, che non credesse alla necessità e alla possibilità di un superamento del sistema capitalistico come obiettivo finale del suo impegno. Non c’era socialista, per quanto rivoluzionario e impaziente, che “negasse la necessità di una permanente e strutturata organizzazione politica, con una precisa connotazione di classe, e come sede per formare una coscienza di classe. La parola socialista e quella comunista non si presentavano quindi in quel contesto divergenti, tanto meno incomponibili, designavano anzi la differenza e la complementarietà tra una fase di transizione, più o meno lunga, e un approdo cui quella transizione doveva portare.

Basta il semplice restauro della memoria di quella fase fondativa a dirci qualcosa di importante su tante sciocchezze che tormentano la discussione dei nostri giorni. Soprattutto quanto sia stato fondamentale il contributo del movimento operaio marxista alla nascita della democrazia moderna, nei suoi caratteri essenziali e distintivi: sovranità popolare, nesso tra libertà politica e condizioni materiali che la rendano esercitabile. Quanto sia stato importante il nesso tra organizzazione, pensiero strutturato, partecipazione di massa per fare di una plebe, o di una moltitudine di individui, un protagonista collettivo della storia reale. Infine, quanto sia parimenti assurdo supplire oggi a un vuoto di analisi e di teoria riverniciando dietro nuovi nomi idee già logore e battute un secolo fa, come l’anarchismo; o usare parole antiche, come socialdemocrazia, per indicare idee o scelte del tutto diverse da ciò che erano nate per indicare.

(continua)

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