Buone notizie dalla Grecia: ma ora viene il difficile

Buone notizie dalla Grecia: ma ora viene il difficile

di Bruno Steri -

Le elezioni politiche in Grecia, che hanno visto Syriza – la formazione guidata da Alexis Tsipras – sfiorare il conseguimento della maggioranza assoluta dei seggi parlamentari, rappresentano un vero e proprio spartiacque non solo nell’ambito della politica ellenica ma per la stessa prospettiva dell’Unione Europea nel suo complesso. Per la prima volta, un Paese che è parte dell’Eurozona si troverà ad avere un governo di coalizione sostenuto da una maggioranza che si dichiara in rotta di collisione con le politiche cosiddette “di austerità” sin qui applicate da Bruxelles (e Berlino) e sostanzialmente subite, seppur con qualche brontolio, dagli altri partners.

 In fondo, a confermare tale valutazione è la stessa scelta “hard” di scegliere come partner di governo il partito della destra nazionalista ANEL , certamente assai indigesto per i suoi orientamenti su immigrazione e diritti civili, ma nel contempo molto più radicalmente in contrasto con le politiche della Ue di quanto non lo siano altre forze politiche dislocate sul versante di centro-sinistra. C’è del vero nel sintetico giudizio dell’editorialista di un grande quotidiano nostrano: “La contrapposizione tra destra e sinistra ha ceduto il passo a un’altra, più urgente, tra stomaco pieno e stomaco vuoto”. Una volta mancata per un soffio la maggioranza assoluta e vedendo confermato il rifiuto di un’alleanza da parte del KKE (il partito comunista greco), si è optato per una scelta che confermi la nettezza del messaggio in direzione di Bruxelles: basta con l’austerità! Non a caso, si può ben capire perché una tale inaspettata e anomala alleanza preoccupi l’establishment Ue, intenzionato per il momento a evitare toni drasticamente ultimativi e ansioso di disinnescare la bomba greca gettando sabbia sul suo congegno. Non può peraltro sorprendere che sia proprio la Grecia a prefigurare un possibile punto di rottura nel processo di costruzione di questa Europa del capitale finanziario: alla rigidità dei vincoli monetari e di bilancio e alla contestuale inflessibile imposizione delle famigerate “riforme strutturali” si sono contrapposti infatti il limite di sopportazione e il conseguente sussulto di dignità di un popolo sottoposto a un vero e proprio pianificato massacro sociale. I cittadini greci in grande maggioranza hanno così riversato il loro consenso ad una forza politica che si è posta con nettezza all’opposizione delle politiche neoliberiste, rifiutando di interloquire con i partiti che avevano sin qui accettato supinamente i diktat della Troika (i socialisti del Pasok da un lato e i conservatori di Nuova democrazia dall’altro) e prospettando alla sua gente la fine di un incubo.

Ovviamente, il difficile comincia adesso. La UE è disposta ad aprire il tavolo della trattativa, onde evitare un’uscita della Grecia dall’Ue (con lo spauracchio di un eventuale effetto domino); ma lo è a partire dal “rispetto degli impegni presi” sul fronte dei pagamenti e dalla prosecuzione/intensificazione dei programmi di (contro)riforme “lacrime e sangue”. Dunque, disponibilità a concessioni sul terreno di un prolungamento dei prestiti e dei termini di pagamento del debito contratto (allentamento delle scadenze e rivisitazione dei tassi), ma niente “strappi” radicali su restituzione del debito nonché impegno sul terreno degli orientamenti “virtuosi” (rigore dei conti) tendenti a ridurlo. Insomma, niente di nuovo sotto il sole neoliberista, solo un’attenuazione che consenta un margine per gli interventi più urgenti (in un Paese in cui si muore per impossibilità di disporre di salvavita). Non è questo il programma che Tsipras ha offerto agli elettori greci: il grido “l’austerità è morta, basta con le politiche neoliberiste!” con cui si è celebrato il suo successo elettorale non può ridursi a un pannicello caldo. Qui la quantità fa qualità. Tsipras sa bene di non poter derubricare il tema del debito: di una messa in questione del pagamento del debito stesso, per la Grecia giunto a 322 miliardi di euro (175per cento del PIL) anche grazie alle politiche imposte da Bruxelles, o quanto meno di una sua profonda ristrutturazione, almeno per la parte (il 70per cento) di pertinenza di istituzioni pubbliche (Fondo europeo Salva Stati, Bce, FMI). Se si vuole invertire il segno delle politiche sociali e reperire le risorse da destinare alla qualità della vita del grosso della popolazione, occorre una brusca inversione di marcia. Non si tratta di opzioni socialmente neutre, si tratta di scelte nell’ambito di un conflitto di classe che ha dimensioni continentali. Questo odierno è un passaggio a valle del quale una mediazione al ribasso potrebbe esser pagata (non solo dai greci) assai cara politicamente. Anche per questo oggi Syriza e il popolo greco hanno bisogno di tutti noi, in particolare di noi comunisti.


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