Quelle sere a Charlie Hebdo, creatività e buon alcool

Quelle sere a Charlie Hebdo, creatività e buon alcool

di Mario Dondero

La sede del giornale era una luogo speciale, aperto ad amici, lettori, intellettuali. Negli anni 70 Mario Dondero era di casa. Il suo ricordo di Wolinski, Cavanna e Reiser

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Geroge Wolinski nella redazione di “Charlie Hebdo” © Mario Dondero

Que­sta tra­ge­dia pari­gina riporta in primo piano il ruolo della satira poli­tica nella vita pub­blica. La satira poli­tica in Fran­cia ha una grande tra­di­zione, rap­pre­sen­tata in primo luogo dal Canard Enchainé, nato nel 1915 per con­tra­stare l’ultranazionalismo e lo chau­vi­ni­smo che in tempo di guerra si dif­fon­de­vano nel paese. Il titolo della pub­bli­ca­zione, che signi­fi­cava Il gior­nale inca­te­nato(Canard, cioè ana­tra, è un’espressione ger­gale per dire gior­nale), si con­fron­tava con quello del gior­nale di Cle­men­ceau, L’homme dechainè (l’uomo libe­rato dalle catene), testata estre­ma­mente patriottarda.

Il Canard Enchainé è un set­ti­ma­nale tut­tora attivo e anche molto letto, che si pre­senta in modo del tutto diverso da Char­lie HebdoChar­lie Hebdo ha una sua veste incon­fon­di­bile e anche un pub­blico del tutto dif­fe­rente. Char­lie Hebdo, gior­nale cau­stico e irri­ve­rente, venne fon­dato nel 1969 con un nutrito gruppo di eccel­lenti dise­gna­tori che com­pren­deva Wolin­ski, Rei­ser, Gébé e Cabu. Char­lie Hebdo ripren­deva un pro­getto ini­ziato nel 1960 da Phi­lippe Ber­nier (il pro­fes­sor Cha­ron) e da Fran­cois Cavanna, con un men­sile che si chia­mava Hara Kiri, jour­nal bête et mechant. La squa­dra dei pri­mordi com­pren­deva già Rei­ser, Wolin­ski, Fred, Gébé, Cabu e Roland Topor, altra grande figura di straor­di­na­rio arti­sta. Il gior­nale ebbe una vita dif­fi­cile: fu inter­detto due volte, nel 1961 e nel 1966, per pre­sunti oltraggi.

Il col­lante che teneva insieme i redat­tori di Char­lie Hebdo era la pas­sione per l’ironia e la dis­sa­cra­zione, oltre a una straor­di­na­ria unità di intenti. Fu un ita­liano, il mila­nese Sta­letti, che rap­pre­sen­tava in Ita­lia alcuni impor­tanti dise­gna­tori fran­cesi, a intro­durmi in quel luogo spe­ciale che era la reda­zione di Char­lie Hebdo. Si era agli inizi degli anni set­tanta e Char­lie eser­ci­tava già da tempo, attra­verso le vignette e gli scritti dei suoi redat­tori, la sua acuta cri­tica dei costumi e della poli­tica fran­cesi. Non credo sia mai esi­stita una comu­nità di gior­na­li­sti altret­tanto con­vi­viali. Per sva­riati anni, soprat­tutto per i forti legami di ami­ci­zia con Geroge Wolin­ski, di cui piango la scom­parsa, Cavanna e Rei­ser, ho fre­quen­tato quella reda­zione, soprat­tutto di sera, nei giorni di chiu­sura. Fran­cois Cavanna che in seguito scrisse Les Ritals, uno straor­di­na­rio libro dedi­cato all’immigrazione ita­liana, era il redat­tore capo. Pur­troppo se ne è andato nel 2014. Phi­lippe Ber­nier, detto il pro­fes­sor Cha­ron, pit­to­re­sco e fan­ta­sioso per­so­nag­gio, era il diret­tore non­ché l’editore di que­sta pub­bli­ca­zione che ope­rava in con­ti­nua guer­ri­glia con i poteri forti. Durante le riu­nioni i momenti più diver­tenti, addi­rit­tura esi­la­ranti, erano le sedute foto­gra­fi­che fina­liz­zate a rea­liz­zare imma­gini per la coper­tina. Gli attori erano gli stessi redat­tori e magari ospiti o bel­lezze di pas­sag­gio. Di ospiti ce ne erano spesso molti, amici e let­tori del gior­nale, intel­let­tuali di grido e gente comune. L’atmosfera era di costante alle­gria, men­tre si intrec­cia­vano tutte le pro­po­ste e le idee. Qual­che volta nasce­vano dei dis­sensi, ma il tono gene­rale era il buon umore che del gior­nale è sem­pre stato il mar­chio di fabbrica.

C’era sem­pre un ricco buf­fet, a base di squi­siti paté e di eccel­lenti for­maggi, in un clima vera­mente unico di libertà crea­tiva. Il con­sumo alco­lico era ovvia­mente piut­to­sto alto e sem­pre di prim’ordine.

Gli uomini e le donne (pochis­sime, a dire il vero) che com­po­ne­vano la reda­zione erano figure di grande fascino, la loro com­pa­gnia era molto gradevole.

Dal 1969 in poi il suc­cesso di Char­lie Hebdo è andato cre­scendo, soprat­tutto nel mondo gio­va­nile. Rien­trato in Ita­lia alla fine degli anni ’90 non ho più avuto modo di fre­quen­tare quelle alle­gre riu­nioni. Ricor­dando il clima che vi regnava mi ven­gono i bri­vidi a pen­sare alla spa­ven­tosa sor­presa che hanno avuto i pre­senti quando hanno fatto irru­zione tra di loro gli assas­sini per com­piere l’inimmaginabile. Sì, per­ché i redat­tori di que­sto gior­nale erano uomini paci­fici, com­bat­tenti per un’idea liber­ta­ria. Redi­ge­vano in effetti un gior­nale auto­de­fi­ni­tosi “stu­pido e cat­tivo” che fusti­gava il mal­co­stume e scan­da­liz­zava i ben­pen­santi, ma erano ancor sem­pre uomini sen­si­bili e generosi.

A riprova di quanto veri­tiera fosse que­sta mia impres­sione è il ricordo dei fune­rali di Jean-Marc Rei­ser, dise­gna­tore fan­ta­stico e grande uomo, il 7 novem­bre 1983. C’era una grande folla intorno alla fossa, nel cimi­tero di Mont­par­nasse. Quando Fran­cois Cavanna lan­ciò nella tomba un ritratto di Rei­ser sor­ri­dente, ci fu un momento di grande com­mo­zione. Men­tre pugni di terra copri­vano la bara, tutti i redat­tori riu­niti di que­sto gior­nale bête et mechant ave­vano gli occhi rossi.

il Manifesto


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