Non c’è proprio niente di buono nella sconfitta

Non c’è proprio niente di buono nella sconfitta

di Paolo Favilli

Non sono d’accordo con l’analisi del risultato elettorale proposta dall’articolo del professor Ùgo Mattei. Lo considero un risultato disastroso, ma non è per spiegare i motivi di tale dissenso che scrivo al manifesto una breve riflessione. Norma Rangeri sta cercando di fare di questo giornale uno spazio di discussione a sinistra; una discussione che pur in presenza di dissensi anche radicali, non assuma caratteri distruttivi. Il suo articolo va nella direzione contraria.
«Rivoluzione civile e la coorte di micro-organizzazioni politiche che la sorreggevano – afferma – ha fatto la fine che meritava», visto il suo «giustizialismo» e le sue componenti di «duri e puri». Anche la morte, a suo parere certa, di quella parte della sinistra, è uno degli esiti positivi del risultato elettorale. Insomma, come mi è successo di leggere nella tipica prosa tra futuristica e neodannunziana di un blog grillino, meno male che vi siete suicidati altrimenti vi suicidavamo noi.
A parte il fatto che la storia è piuttosto complessa, e che le lunghe continuità ci consigliano di andare cauti sui giudizi di «fine» e di «morte», le pare che i suoi assiomi (non ragionamenti) sprezzanti ed insultanti favoriscano una discussione sul problema che ci sta a cuore, cioè quello della costruzione/ricostruzione della sinistra? Io, ad esempio, non considero un particolare successo, in tale prospettiva, l’elezione di una quarantina di parlamentari di Sel. Si tratta, tra l’altro, di un successo ottenuto con il 3% dei voti che si sono trasformati in molti seggi solo per una legge elettorale al cui confronto la legge truffa del ’53 si configurava come un modello di correttezza per la rappresentatività democratica. Ma, a parte ciò, penso, che per la rappresentanza parlamentare di Sel sarà quasi impossibile giocare un ruolo autonomo rispetto al Pd.
Ora, se esprimessi questo giudizio nella formula attribuita a Bertinotti: cioè che la «tattica di Vendola» non è altro che la manifestazione di una concezione del partito come «ufficio di collocamento», formulerei il giudizio precedente o mi troverei in una dimensione argomentativa del tutto diversa? Chi decide quali sono le realtà politiche ed organizzative atte a «ricominciare a tessere la tela»? Lo decide lei prof. Mattei? E certo con «i morti» non è possibile discutere.

PAOLO FAVILLI

da il manifesto


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