18 dicembre, Giornata d’Azione Globale per i Diritti delle e dei Migranti, Rifugiati e Sfollati
Pubblicato il 18 dic 2014
di Stefano Galieni -
«Guarda che co’ sti immigrati famo più sordi che co la droga». Più o meno questo il testo della intercettazione che evidenzia come, nell’inchiesta Mafia Capitale, chi ha intenzione di fare lauti profitti ha da tempo compreso come tutto quello che ruota alle emergenze connesse all’immigrazione rappresentino un immenso business. Centri di accoglienza o di detenzione o per richiedenti asilo, appalti, convenzioni, posti di lavoro precari da affidare ad un privato sociale in cui spesso emerge grande opacità, investimenti mastodontici per la lotta agli ingressi irregolari, per le operazioni di intervento in mare, per finanziare con armi, mezzi e uomini, con lo scopo di limitare gli arrivi. Tutto è vissuto nella logica perenne e immutabile dell’emergenza, quella che permette di utilizzare deroghe, di avere meno controlli pubblici, di distribuire a pioggia risorse provenienti per lo più dalla Comunità Europea mantenendo nel contempo le persone accolte in condizione di grave disagio sociale. Ma si tratta di una emergenza voluta. Oggi 18 dicembre, si celebra la giornata mondiale dei diritti dei migranti. Oggi perché il 18 dicembre del 1990 le Nazioni Unite approvarono in assemblea plenaria una Convenzione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. Da allora la Convenzione è divenuta operativa perché ratificata da numerosi Paesi ma da nessuno degli Stati soggetti a fenomeni di immigrazione, da nessun Stato membro dell’Unione Europea. Si tratta di un testo moderato ma che offre delle garanzie minime di salario, lavoro, trattamento e di protezione avverso le espulsioni ma che i nostri civili governi non intendono ratificare e far rispettare. Romperebbe in gran parte le condizioni di emergenza, così come farebbero saltare le logiche emergenziali, l’abolizione della Bossi –Fini (ferrovecchio inutile anche per i padroni), la riforma per i diritti di cittadinanza, l’estensione del diritto di voto, norme più nette, magari sancite da una legge quadro, per i richiedenti asilo. Si toglierebbe l’acqua a chi intende continuare a navigare nel mare grande della speculazione sul disagio e si disarmerebbero le pulsioni razziste che vivono e crescono in Italia come nel resto del continente. Non si tratterebbe di leggi che privilegiano gli stranieri, come spesso si sente dire nella vulgata, ma di mettere le persone in condizione di non dover più avere necessità di assistenza, di offrire gli strumenti per creare inclusione sociale di cui tutti trarremmo beneficio. Imporre controlli salariali e combattere il lavoro nero, ad esempio, porterebbe benefici tanto ai lavoratori autoctoni che ai migranti e non ci si ritroverebbe più come nel recente passato a scoprire le rivolte dovute allo sfruttamento nei campi. Imporre una gestione sistemica dell’accoglienza eviterebbe di far arricchire quelli che di giorno gestiscono finte cooperative e di notte organizzano le ronde o le aggressioni contro gli ospiti dei centri. Leggi decenti sul mercato del lavoro, non produrrebbero divisioni fra “noi” e “loro” ma comuni intenti, anche di lotta. Ma da questo punto di vista gran parte delle istituzioni sono sorde, prese dalla logica delle grandi intese per cui nulla si può mutare troppo, alcuni equilibri, come la Bossi Fini che un giorno ricorderemo come legge barbara, sono assi portanti di tale alleanza. Lo sono anche oggi che il mercato del lavoro è cambiato, che dall’Italia fuggono tanto i ragazzi italiani che gli immigrati, padri, madri e figli, perché vedono che questo Paese non offre futuro. Un fallimento per chi è venuto da noi pensando di trovare una prospettiva migliore di vita e di potersi inserire per dare una mano, una vittoria per chi, in nome dell’arricchimento, autoctono o no che sia, ha modo di fare ciò che vuole, tanto dall’emergenza è aiutato e sostenuto. La parola d’ordine dovrebbe essere solo questa: “L’emergenza non esiste” è una utile invenzione per creare tensioni, disparità e arricchimenti illeciti. Molti di noi lo affermavano prima ancora che uscisse l’inchiesta romana. Ma se c’è da dedicare questa giornata a qualcuno forse è anche il caso di ricordare quei 40 mila desaparecidos, uomini, donne e bambini, morti in mare negli ultimi 20 anni nel tentativo di raggiungere l’Europa. Si li chiamiamo Desaparecidos, perché per la maggior parte di loro non ci sarà mai una tomba o un fiore, resteranno scomparsi in una guerra folle come tutte le guerre, vittime innocenti della ricerca di una via di fuga alla fame, alle devastazioni ambientali, alla povertà, alle dittature, ai conflitti. Per loro, i diritti dei migranti, sono affondati nelle acque profonde del Mediterraneo
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