Ungheria. 15 emendamenti costituzionali che bruciano: Orban ci ripensi

Ungheria. 15 emendamenti costituzionali che bruciano: Orban ci ripensi

di Mauro Caterina -
È nuovamente emergenza democratica in Ungheria (semmai fosse finita). L’Europa ha energicamente invitato il parlamento ungherese e il governo di Viktor Orban a riflettere seriamente sui 15 emendamenti costituzionali che verranno approvati lunedì prossimo, chiedendo formalmente di posticipare la votazione in aula. «Sono preoccupato per la compatibilità delle modifiche costituzionali con il principio dello stato di diritto, come stabilisce lo Statuto del Consiglio d’Europa», ha dichiarato Thorbjorn Jagland, segretario generale del Consiglio d’Europa.
Se gli emendamenti verranno approvati, Orban metterà definitivamente a tacere la Corte costituzionale che nei mesi precedenti aveva dichiarato incostituzionale una serie di leggi approvate in fretta e furia dal governo. In particolare la Corte aveva bocciato: 1) la legge che diminuiva l’età pensionabile dei giudici; 2) introduzione del crimine di «senza dimora»; 3) nuova legge elettorale con obbligo di pre-registrazione in apposite liste; 4) legge contro la libertà di culto; 5) riforma universitaria.
Siamo nell’atrio principale dell’Università Corvinus di Budapest, dove c’è il solito via vai di studenti. Lo scorso dicembre in migliaia hanno invaso le strade del centro per protestare contro la riforma dell’università e i tagli all’istruzione operati dal governo Orban. «Il nostro premier aveva detto che questa riforma avrebbe garantito l’accesso agli studi universitari a quelli di noi meno abbienti – spiega uno studente – invece hanno aumentato solo le tasse, e chi non può permettersi di pagarle riceve un prestito dallo stato con la clausola di dover rimanere in Ungheria per i prossimi 10 anni dopo la fine degli studi». «Non è così che si impedisce la fuga dei cervelli – sottolinea un altro -. Invece di inventare contratti capestro, il premier dovrebbe pensare alla crisi economica che perdura dal 2008 e creare opportunità di lavoro per il futuro». Un’altra studentessa ci chiede invece di non essere ripresa con la telecamera perché potrebbe essere «molto volgare nell’apostrofare le scelte politiche del governo». Si chiama Lilit e le sue ragioni vanno al di là delle proprie “simpatie” per l’attuale esecutivo magiaro. Suo padre lavorava al ministero dell’economia, almeno fino al 2010, anno in cui Fidesz, il partito nazionalista guidato da Orban, vince le elezioni. Pochi mesi dopo il nome del padre di Lilit compare nella lista degli “epurati”. A fargli compagnia diverse centinaia di colleghi ministeriali (più o meno il 40% ) messi alla porta per fare posto ai peones del partito. Per gli estimatori, la cosa giusta per ripulire l’amministrazione pubblica da corruzione e “incrostazioni comuniste”. Per i detrattori, l’inizio della valanga autocratica che sta letteralmente facendo a pezzi le istituzioni del Paese.
La tempesta perfetta, dunque, comincia nel 2010. Fidesz prende il 53% dei consensi mentre i socialisti dell’Mszp crollano al 19,3%, tallonati dai neonazisti di Jobbik col 12,2%. Ma la legge elettorale prevede un premio di maggioranza del 15%, cosicché Fidesz si ritrova di colpo a controllare i 2/3 dei seggi al Parlamento. E nel sistema unicamerale ungherese, ciò significa che il governo monocolore di Orban può cambiare anche la costituzione. E così sarà. La prima mossa di Orban è quella di disinnescare il potere di veto della corte costituzionale, ampliando il numero di giudici e riscrivendo le regole per la nomina. Poi piazza i suoi uomini nella commissione elettorale e mette le mani sull’Autorità per i Media, cercando di imbavagliare la stampa.
«Orban ha deciso di distruggere le basi fondamentali della nostra democrazia – ci spiega Agnes Vadai, capogruppo parlamentare del partito d’opposizione Coalizione Democratica (Dk) -. Libertà di parola, di stampa, di religione, sono concetti che quasi non hanno più significato in Ungheria. Noi come partito di opposizione stiamo facendo di tutto per opporci – rivendica – e anche l’Unione europea è stata critica nei confronti del governo ungherese, ma il primo ministro ha detto che lui ha i 2/3 della maggioranza e se ne frega di quello che pensano i burocrati di Bruxelles».


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