Malaffare e inefficienza

Malaffare e inefficienza

di Sandro Medici -

C’è un versante laterale in questa storiaccia di tangenti romane, forse non proprio centrale ma di certo avvilente assai. È che questi quarantacinque filobus acquistati dalla Breda, sia pure comprensivi del sovrapprezzo di una mazzetta nera, nessuno ancora li ha visti in giro: sembra stiano chiusi (e neanche tutti) in qualche deposito. Non soltanto, dunque, l’appalto è stato infettato dalla corruzione ma non è neanche servito per migliorare l’infernale mobilità della città. Verrebbe da dire che anche nel malaffare ci vuole un po’ di efficienza. E invece niente, ladri e cialtroni.
Fa impressione assistere a questo ennesimo inciampo nell’illegalità in cui viene a ritrovarsi il Campidoglio targato Alemanno. Non è che l’ultimo. Tutti (o quasi) gli amministratori nominati dal sindaco risultano indagati o almeno sospettati di nefandezze varie, dalle allegre gestioni di aziende e bilanci alle illecite assunzioni clientelari di centinaia di compari e camerati. Diversi consiglieri della sua maggioranza risultano sotto inchiesta per illeciti consumati nella loro funzione istituzionale. E la sensazione diffusa e ormai anche fondata è che la destra romana sia seriamente contaminata da una cultura politica che rende coincidenti e/o sovrapponibili la funzione istituzionale con il sistema degli affari. Una gestione del potere che interpreta le decisioni sulla spesa pubblica come un’occasione predatoria. A conferma che le imprese di Francone Fiorito detto batman non siano state un’incidentale quanto incresciosa circostanza. Ma siano invece il sintomo di una patologia vorace e ingorda.
Ieri sera il sindaco ha cercato di apparire il più sereno possibile per sostenere che lui non c’entra, non sa nulla di questo appalto, altri se ne sono occupati, altri ne hanno gestito la procedura amministrativa. Nonostante le mascelle tormentate, ha cercato di rassicurarci sostenendo che mai tangente sia atterrata «nella segreteria del sindaco» (come invece uno dei faccendieri indagati sostiene). Che sia o meno come s’è sforzato di affermare, resta più d’una sensazione che quella rete di camerati di cui s’è via via circondato abbia svolto e forse svolga ancora il lavoro sporco per conto terzi. Non è insomma possibile che, uno dopo l’altro, i vari fedelissimi inviati a capitanare aziende e società, tra incriminazioni, sospetti, dimissioni e chissà cos’altro, si siano ritrovati a dover rispondere del loro oscuro operato.
Prendiamo l’ultimo arrivato sulle cronache giudiziarie, quel Riccardo Mancini amministratore delegato della potentissima Eur Spa. «Siamo una macchina da guerra», andava dicendo con quella spocchia sfacciata e arrogante, fisiologica evoluzione della sua pregressa milizia littoria. Ora se n’è andato via di corsa: una ritirata scomposta, precipitosa. Appena annusato che l’inchiesta giudiziaria aveva ricostruito il circuito tangentizio, le triangolazioni tra l’azienda bolognese, la pattuglia di intermediari e il probabile approdo politico, ha abbandonato la sua «macchina da guerra» e presto si dichiarerà prigioniero politico. Non sfugge a nessuno in città che Mancini sia uno dei principali collettori finanziari della destra. E in quanto fiduciario indiscusso del sindaco, uomo di raccordo tra il potere economico e il fronte politico. Uno come lui per conto di chi credete che agisca?
L’inchiesta andrà avanti, forse alcuni passaggi si chiariranno meglio, le accuse verranno o meno dimostrate, e insomma si vedrà. Aleggia tuttavia quest’insopportabile puzza di decomposizione politica. Tra qualche mese, in un modo o in un altro, Alemanno lascerà il Campidoglio. E sarà l’epilogo di un’ingloriosa esperienza amministrativa, che lascerà una città peggiorata e dolente, ferita perfino nella sua dignità.
il manifesto 27 gennaio 2013

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