
Renzi e la direzione PD: continua l’attacco al lavoro
Pubblicato il 1 ott 2014
di Roberta Fantozzi -
La direzione del Pd ha approvato la relazione di Matteo Renzi ed il documento finale sul Jobs Act. Quali sono le conseguenze di quella discussione rispetto alla delega sul lavoro e ai prossimi provvedimenti del governo?
Articolo 18: avanti con lo smantellamento.
Sull’articolo 18 si va avanti con la manomissione, nel solco di Fornero, oltre Fornero.
La controriforma Fornero ha già significativamente manomesso l’articolo 18, “spacchettandolo”. L’articolo 18 originariamente contenuto nello Statuto dei diritti dei Lavoratori, infatti era fondato su una regola semplice: laddove un lavoratore fosse stato licenziato ed una sentenza avesse riconosciuto che quel licenziamento era arbitrario, poiché non esisteva né una giusta causa né un giustificato motivo, il lavoratore aveva diritto ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro.
La controriforma Fornero del 2012 invece ha differenziato le tutele per il lavoratore che pure veda riconosciuta l’illegittimità del proprio licenziamento, sulla base “dell’etichetta” apposta dall’azienda come motivazione del licenziamento stesso. E’ evidente che si è aperta così la strada dell’aggiramento della reintegra, dando la possibilità ad ogni azienda di “scegliere” la motivazione che prevede meno garanzie per il lavoratore.
Fornero in particolare:
1. ha mantenuto il diritto alla reintegra nel caso di licenziamento discriminatorio, diritto sancito dalla legge 604 del 1966 e comunque intoccabile perché garantito dalla più generale normativa antidiscriminatoria. Un diritto tuttavia limitatissimo nella propria applicazione reale perché i casi in cui si può dimostrare il licenziamento discriminatorio (per motivi di sesso, “razza”, credo religioso, politico, sindacale ecc.) sono rarissimi, come è evidente persino statisticamente. L’onere della prova è infatti in capo alla lavoratrice o al lavoratore, che può dimostrare la discriminazione sostanzialmente solo nei casi in cui un datore di lavoro sia così poco accorto da dichiararla, con una sorta di autodenuncia.
2. ha circoscritto pesantemente la possibilità della reintegra per licenziamento disciplinare cioè relativo al comportamento del lavoratore, limitandola ai casi in cui il fatto addebitato non sussista o in cui il contratto preveda esplicitamente una sanzione più lieve. In tutti gli altri casi, che sono la stragrande maggioranza ed in cui pure il giudice riconosca che il licenziamento è illegittimo, c’è solo il diritto all’indennizzo.
3. ha limitato la possibilità della reintegra nel caso di licenziamenti per motivi oggettivi di natura economica alla “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, lasciando al giudice per altro la possibilità di scegliere tra reintegra ed indenizzo. Tale insussistenza è di fatto quasi impossibile da provare, dovendo essere per l’appunto “manifesta”, non ricavabile da un approfondimento.
Il licenziamento per motivi oggettivi di natura economica è dunque “l’etichetta” che la controriforma Fornero aveva per così dire già messo a disposizione delle aziende per poter licenziare, aggirando più facilmente il diritto alla reintegra del lavoratore. Certo, restava qualche margine di rischio: c’era pur sempre un giudice di mezzo!
Ora Renzi ed il documento del PD dichiarano di mantenere il diritto alla reintegra per i licenziamenti discriminatori (e non potrebbero fare diversamente) e per quelli disciplinari “previa qualificazione specifica delle fattispecie”, quindi intervenendo comunque nuovamente anche su di essi, e di voler invece approvare “una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro.” Renzi porta a compimento definitivo la controriforma Fornero con l’obiettivo di costruire un canale attraverso cui ci si possa disfare di lavoratori non graditi, etichettando la loro espulsione dal posto di lavoro in base a motivi economici ed estromettendo la possibilità che un giudice possa intervenire. Ovviamente, nel gioco dei ruoli e nello scontro anche simbolico dentro il Governo, Alfano e l’NCD giocano al rialzo. Ma se le cose prima dette hanno un fondamento, il punto vero è non solo che non deve essere consentita nessuna nuova manomissione, ma che il diritto alla reintegra va riconquistato, nella sua formulazione originaria e con l’estensione a tutte le lavoratrici e i lavoratori a prescindere dalla dimensione di impresa. Come provammo a fare con il referendum nel 2003, che se pure non raggiunse il quorum, raccolse undici milioni di voti favorevoli. Se Renzi, come prima Berlusconi, continua ad usare l’argomento che va contrasta “la differenziazione tra chi ha avuto diritti e chi non l’ha avuti”, di quell’argomentazione va evidenziato tutta la strumentalità, riproponendo l’obiettivo di una ricomposizione che non faccia tabula rasa delle poche garanzie residue, ma ricostruisca diritti per tutte e tutti.
Precari, demansionati, videosorvegliati.
Ovviamente nella sua relazione, Renzi ha utilizzato a piene mani la retorica di chi non ha avuto diritti, secondo l’antico adagio del “divide et impera”, per mettere i lavoratori precari contro chi ha un contratto a tempo indeterminato. Ma oltre a quanto già detto, quella retorica sui diritti per chi è precario, è davvero insostenibile. Di che cosa stiamo parlando? Renzi ha rivendicato pienamente nella propria relazione il decreto Poletti: la possibilità che un’azienda assuma a termine per tre anni, anche con più contratti dalla durata brevissima, senza “causale”; l’altrettanta possibilità, al termine dei 3 anni , per ogni impresa di non rinnovare il contratto, assumere un’altra persona, e via con un nuovo giro di giostra. Ovviamente nel caso di una donna che decida di fare un figlio, basterà non riassumerla, a proposito di norme contro le dimissioni in bianco!
Né ci si può lasciare ingannare dalla reiterata dichiarazione di voler introdurre il salario orario minimo per i lavoratori non contrattualizzati. Il salario orario minimo ha un valore di contrasto al lavoro povero e di ricomposizione del mondo del lavoro se è agganciato ai minimi della contrattazione collettiva nazionale. Altrimenti il salario orario minimo può essere l’istituzionalizzazione del lavoro povero. Se queste non fossero le intenzioni del governo perché prevedere l’estensione dei voucher, forma estrema di lavoro “usa e getta” con l’eliminazione del tetto di 5.000 euro annui previsto finora?
Né l’attacco che il Jobs Act porta ai diritti del lavoro si ferma a questo. Ricordiamo la gravità della volontà di intervenire sulle norme dello Statuto che impediscono il demansionamento e la videosorveglianza dei lavoratori. Meno salario, ma in compenso più telecamere!
Ricordiamo la previsione di privilegiare la legislazione “premiale” al posto delle sanzioni per le violazioni delle norme di protezione del lavoro: l’incentivo di fatto a comportamenti illegali poiché basta mettersi in regola dopo, se per caso un Ispettore del Lavoro scopre un illecito, certi del fatto che non ci saranno conseguenze.
E che cosa significa il TFR in busta paga se non che soldi che sono già dei lavoratori vengono dati oggi riducendo il reddito di domani, per “compensare” salari che si faranno sempre più miseri perchè il ricatto della precarietà ed il taglio dei diritti, continuerà ad erodere la capacità di contrattazione?
Il governo Renzi e la sua maggioranza vanno avanti nella destrutturazione dei diritti del lavoro. Fanno compiti che l’Europa di Merkel, Junker e Draghi hanno indicato. La svalorizzazione del lavoro è tra questi, in omaggio al neomercantilismo tedesco imperante, quello che prevede in particolare per i paesi periferici, l’ulteriore compressione di diritti e salari perché le merci siano più “competitive” sui mercati esteri, salvo che se tutti riducono i redditi da lavoro non si capisce chi dovrebbe acquistarle quelle merci. Quello che perciò continua a comprimere i consumi interni ed ad avvitare la crisi su se stessa. Mentre in omaggio al Fiscal Compact, è in gestazione una nuova pesante manovra di attacco al welfare e privatizzazione dei beni comuni.
Il governo Renzi acuisce la crisi economica e produce l’imbarbarimento sociale. Facciamo ripartire il conflitto nelle tante piazze di quest’autunno: quelle degli studenti, contro il TTIP, della CGIL e dei sindacati di base, nella manifestazione nazionale della Lista Tsipra del 29 novembre. Perché un’Altra Europa e un’Altra Italia è possibile.
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