Ferrara, la madre di Vik: “Mio figlio, né eroe né martire”

Ferrara, la madre di Vik: “Mio figlio, né eroe né martire”

di Matteo Pedrini – redattoresociale.it -

“Vorrei che Vittorio fosse considerato un buon compagno di viaggio, che vi aiuti a scegliere quando siete al bivio tra solidarietà ed egoismo”. Così Egidia Beretta, madre di Vittorio Arrigoni, alla presentazione del suo libro “Il viaggio di Vittorio” durante la tre giorni di “Re(si)stiamo umani”

16 settembre 2014

FERRARA – Come ci si pone di fronte al testa-coda della natura, all’inversione del corso ordinario della vita? Si pensa agli alberi. Loro sono abituati a sopravvivere ai propri frutti. Capita che essi si stacchino dal ramo e restino a consumarsi in pochi giorni a un passo da chi li ha generati. Oppure capita che intraprendano un viaggio che compensa con ampiezza e intensità la sua brevità. Ecco, Egidia Beretta ricorda una quercia scalfita dall’essere sopravvissuta alla propria preziosa ghianda, investita dalla tragedia stessa di una missione ora ragione di vita: portare in giro il patrimonio umano del figlio, Vittorio Arrigoni, attivista dell’Ism (International solidarity movement) che ha speso la pur breve esistenza per i civili palestinesi, scomparso nel 2011 a 35 anni in circostanze mai del tutto chiarite. L’occasione per incontrare la madre di Vik è stato l’evento conclusivo della tre giorni sulla Palestina dal titolo “Re(si)stiamo umani” organizzata dal neonato Coordinamento Ferrara per la Palestina, svoltosi il 14 settembre allo spazio Terraviva Bio, oasi bucolica a un passo dal centro di Ferrara. La città estense ha da sempre avuto un legame a filo doppio con Vittorio Arrigoni e gli ideali che incarnava e divulgava: è infatti del 2011 la fondazione della sezione Anpi di Ferrara intitolata a “Vik”. E proprio uno dei fondatori della sezione, Luca Greco, ha moderato l’incontro con Egidia Beretta, principalmente incentrato sulla presentazione del suo libro “Il viaggio di Vittorio” (edizioni Baldini e Castoldi). “L’idea del libro è stata di un editore (Michele Dalai, ndr) che sottolineò il rapporto particolare tra me e mio figlio – racconta Beretta –. Ho tirato fuori i vecchi quaderni in cui fin dall’infanzia Vittorio scriveva di pace e di portatori di pace. A 11 anni scrisse una frase di Martin Luther King che avrebbe segnato la sua intera vita: ‘La pace è guardarsi intorno e vedere se gli altri hanno ciò che hai tu’. Tutta la sua vita l’ho vista come un unico viaggio che ha avuto per meta dedicarsi anima e corpo alla Palestina”.

La copertina del libro

Dopo l’infanzia, l’adolescenza, affrontata nel libro in maniera più rapida, “fu segnata da una grave forma di cardiopatia che lo mise di fronte a un possibile conto alla rovescia. Fu lì che maturò il bisogno di lasciare al mondo qualcosa in più di quanto avesse trovato”. E poi altri modelli, decisivi, che iniettarono sottopelle a Vittorio un preciso modus vivendi, “quando morirono i giudici Falcone e Borsellino (nel 1992 Vittorio aveva 17 anni, ndr) parlammo spesso del coraggio più forte della consapevolezza di una fine segnata”. E poi Tiziano Terzani, “in Palestina si portò il suo ultimo libro e quando morì, Vittorio gli scrisse una lettera intrisa di gratitudine profonda per avergli insegnato lo sguardo di chi guarda lontano, di chi accoglie”. E tra digressioni sulla sfera privata (“amava isolarsi e leggere, leggere e leggere…non era facile vivergli accanto”), Greco le domanda come abbia vissuto l’assenza di Vittorio durante l’ultimo attacco di Israele; la voce si rompe di nuovo, un bel respiro, poi mamma Egidia chiude gli occhi e riprende a parlare, “la sensazione è stata la stessa che provai con l’‘operazione “Piombo fuso”: le parole che mio figlio usò per raccontare quell’abominio del 2008 potevano essere utilizzate identiche anche per l’ultimo periodo di attacchi israeliani. Ma proprio in virtù della testimonianza diretta di Vittorio di 6 anni fa, questa volta il mondo ha tenuto orecchie e occhi bene aperti e i giornalisti sono finalmente entrati nei territori invasi militarmente”. Ma se il giornalista in rari casi ha libertà di descrivere ciò che accade perché “ha pur sempre un padrone”, Vittorio non esitava a “distinguere vittime e colpevoli” in quanto “il suo unico padrone era la verità”.

Quando Greco le chiede cosa sia per lei la Palestina, Egidia fissa un punto e prende un attimo di tempo, quasi a voler rispondere al netto del dolore che quello spicchio di mondo le ha portato, strappandole il figlio, “la Palestina è la mia seconda terra. È ciò che Vittorio definiva ‘la somma delle violazioni di tutti i diritti umani’”. Lo sguardo le si fa più deciso, “pensare che ancora ci sia un popolo che colonizza un altro popolo mi indigna. Mi indigna chi legittima col silenzio gli abusi di Israele. Mi indigna che un ragazzo che protesta tirando pietre, senza’altro anch’io lo farei, venga arrestato o ucciso. Mi indigna che l’occidente non voglia far valere le oltre settanta risoluzioni Onu violate da Israele. M’indigna sentire parlare di due Stati: non ci sono più confini, come si può parlare di due Stati distinti? Non ho nulla contro gli ebrei, ma contro l’impunità concessa allo Stato sionista”. In questo frangente, la rabbia della madre di Vittorio Arrigoni in quanto tale ha prevalso sulla rabbia dolorosa di una madre a cui è morto un figlio. La guardi e ti chiedi come sia possibile.

Ancora Greco cita la prefazione del libro dove Egidia scrive testualmente “Vittorio non è né un eroe, né un martire” e le domanda se possa almeno essere assurto a simbolo, “per i palestinesi mio figlio è un martire e anche per qualche francescano con cui ho avuto modo di parlare. Per loro è martire in quanto ‘testimone che ha dato la vita per i propri fratelli’. Io vorrei invece che Vittorio fosse considerato un buon compagno di viaggio (ritorna ancora una volta questa parola, ndr): che vi aiuti a scegliere quando siete al bivio tra solidarietà ed egoismo. Che vi faccia capire che una scelta è possibile. Che vi spenga le remore nel dire la verità coltivando la passione per le parole”. E sull’ormai celebre slogan con cui Vik chiudeva i suoi racconti sull’operazione “Piombo fuso”, “non so come gli sia venuto in mente di chiudere sempre la narrazione di abomini con le parole ‘Restiamo umani’. Mi suonava quasi stridente. Poi ho capito che quelle due parole erano una invocazione, soprattutto a se stesso, per conservare l’umanità, nonostante tutto. Lui stesso ha spesso avuto difficoltà nel mantenervi fede, ma ci è sempre riuscito”. Gli applausi riempiono il silenzio irreale venutosi a creare, Egidia scoppia a piangere, si alza e si mette in disparte. Intorno, gli alberi dello spazio Terraviva che ci circondano sembrano volerla abbracciare. Loro lo sanno cosa significa sopravvivere al proprio frutto. (Matteo Pedrini)


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