Cinquant’anni fa la morte dello “scomodo” Togliatti

Cinquant’anni fa la morte dello “scomodo” Togliatti

di Piernicola Di Girolamo* -

Sono passati 50 anni dalla morte di Palmiro Togliatti. Da quel 21 agosto il mondo è cambiato in maniera radicale.Tutti i riferimenti politici, culturali, ideologici, geopolitici sono andati in frantumi, sì che le vicende di cinquanta anni fa sembrano talmente lontane da non avere senso neppure per gli storici. Sono scomparsi i partiti della prima repubblica, è finita la guerra fredda, l’Urss non esiste più, è scomparso il “monolite” socialista che nel bene e nel male segnò l’orizzonte del dirigente comunista e di milioni di uomini. Oggi sta però sta scomparendo, sotto i colpi di confuse maggioranze parlamentari che nascondono – a voler essere buoni – un pericoloso vuoto di progettualità e di cultura politica, quella Costituzione nata dalla lotta di liberazione, cui tanta parte ebbe nella elaborazione e nella stesura il partito di Togliatti. Per questa ragione sembra pericoloso e segno negativo dei tempi, il silenzio che avvolge questo anniversario, un tempo atteso appuntamento di riflessione. Ma non c’è solo il silenzio.Con singolare tempismo, inservibile il vecchio arsenale da guerra fredda, l’attacco e la “demolizione” del ruolo di Palmiro Togliatti nella storia d’Italia, si appuntano ora sul capolavoro tattico e strategico del dirigente comunista, il “partito nuovo” che poteva contare sul formidabile lascito teorico e strategico di Antonio Gramsci, paventando congiure e appropriazioni indebite al fine di potersi legittimare nell’Italia liberata, lui, Togliatti semplice strumento, burattino nelle mani di Stalin. Storie di quaderni spariti, tradimenti, documenti manomessi – sostenuti da un apparato mediatico che sostituisce Bloch con Simenon – hanno preso il posto dell’indagine storica, della contestualizzazione, della riflessione, del necessario distacco per comprendere la tragicità e la durezza del secolo appena passato. Anche se il nuovo non sembra promettere niente di buono. Ma la rimozione nasconde qualcosa di molto pericoloso per il futuro della democrazia italiana. Parafrasando il grande storico R. Koselleck gli uomini non riescono a rapportarsi con il passato, a porgli domande di “senso”, quando non hanno più capacità di pensare e a progettare il futuro, quando non riescono più a ragionare sul proprio destino. Il non attardarsi in visioni corporative, la funzione nazionale della classe operaia, le alleanze, l’attenzione per i “destini dell’uomo”, il dialogo con la cultura e con i cattolici (sono appena stati dati alle stampe due volumi dedicati ai rapporti tra il segretario comunista e Giovanni XXIII e all’epistolario inedito), la politica come interesse generale e come servizio, la pace, la tenace quotidiana ricerca del dialogo, la fermezza di principi, ebbene tutto questo offre sufficiente materiale di riflessione per comprendere rimozioni e memorie “rasate” e i pochi disperati tentativi di trarre dalla lezione togliattiana come quella degli altri padri della Repubblica, le idee, la forza per quella rivoluzione intellettuale e morale, capace di spezzare il pensiero unico, affinchè la politica ritorni a dirigere e a correggere ingiustizie e sperequazioni, perché si abbia un futuro. Non saranno le tanto invocate quanto confuse riforme – termine che tutto dice e tutto nega – ad indicarci la strada per uscire dalla crisi ma la strada maestra della Costituzione Repubblicana. Ma forse qui sta la risposta a tante dimenticanze a cominciare da quel che accadde quel 21 agosto 1964 in Crimea.

* (Università degli studi di Teramo)

da Il Centro, 21 agosto 2014


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