Scene di lotta di classe dall’alto, un residente su 10 è povero
Pubblicato il 15 lug 2014
di Roberto Ciccarelli – il manifesto – Istat. Tra il 2012 e il 2013, quando al governo c’erano Monti e Letta, gli indigenti sono aumentati di un milione 206 mila. Oggi in totale sono sei. I poveri relativi sono più di 10 milioni. Dall’inizio della crisi la povertà è aumentata del 150%, in particolare a Sud. Tra i minori l’emergenza è drammatica: 1 milione 434 mila persone
uno stillicidio. Ieri il rapporto dell’Istat sulla «povertà in italia nel 2013» ha redatto un nuovo bollettino dal fronte della lotta di classe dall’alto. L’espressione è stata coniata originariamente dal sociologo Luciano Gallino per descrivere come il capitalismo finanziario e le politiche di austerità abbiano spostato immense ricchezze in direzione del vertice della piramide sociale, sottraendole al lavoro e alle famiglie nelle zone medio-basse.
Oggi è utile per dare una forma ad uno dei loro principali effetti: dal 2012 al 2013, l’anno di passaggio dal governo Monti a quello Letta, l’esplosione della povertà assoluta è aumentata colpendo 1 milione e 206 mila persone in più. In Italia ci sono 6 milioni e 20 mila di indigenti, il 9,9% della popolazione, un residente su 10. È un record mai visto dal 2005, da quando esiste la rilevazione di questa stima. Nel 2012 i poveri assoluti erano 4,8 milioni (l’8% della popolazione), raddoppiati dall’inizio della crisi nel 2008. Tutto questo è avvenuto mentre i governi hanno tagliato la spesa sociale da 2,5 miliardi a 964 milioni di euro.
Nel dettaglio, la povertà assoluta è aumentata tra le famiglie con tre (dal 6,6 all’8,3%), quattro (dall’8,3 all’11,8%) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1%). In attesa dei dati sul 2014, sappiamo che ha peggiorato la condizione delle coppie con figli (dal 5,9 al 7,5%) se hanno un figlio unico. Se invece sono due, le difficoltà aumentano dal 16,2 al 21,3%. È notte fonda quando i figli sono tre o più, soprattutto se non hanno raggiunto la maggiore età.
La povertà si accanisce su quelle famiglie in cui la persona di riferimento ha un titolo di studio medio-basso, ad esempio la licenza media inferiore (dal 9,3 all’11,1%). Ancora peggio se il capofamiglia ha solo la licenza elementare dal 10 al 12,1% in un anno. In questa cornice viene colpito duramente il ceto medio povero: gli operai, ad esempio (dal 9,4 all’11,8%), senza parlare di chi è disoccupato e in cerca di occupazione (dal 23,6 al 28%). E poi c’è la guerra silenziosa che vede tra le principali vittime gli anziani: dal 4 al 6,1% se sono in coppia. E poi ci sono le famiglie con almeno due anziani, colpite dal 5,1 al 7,4%. Tra gli ultrasessantacinquenni i poveri assoluti nel 2013 erano 888 mila, 728 mila nel 2012.
Il Sud è la parte del paese più colpita. Ci sono 725 mila poveri in più, complessivamente 3 milioni 72 mila persone in stato di grave bisogno. A differenza dell’andamento nazionale, dove la povertà relativa pari a 972,52 euro per una famiglia di due componenti, è rimasta nel frattempo stabile (dal 12,7 al 12,6%, con una perdita «solo» di 18 euro), nel Mezzogiorno è aumentata ancora dal 21,4 al 23,5%. In Italia ci sono 10 milioni e 48 mila persone che si trovano in questa condizione, pari al 16,6% della popolazione. Il dato più duro, e che non può essere taciuto, riguarda la povertà assoluta dei minori. Gli under 18 poverissimi sono aumentati nell’anno peggiore della crisi: nel 2012 erano 1 milione 58 mila (10,3% del totale). Nel 2013 erano 1 milione 434 mila persone (il 13,8%). Per Coldiretti, nel 2013 428.587 bambini come meno di cinque anni hanno avuto bisogno di aiuto per bere latte o mangiare. A Sud sono 149 mila, il 35% del totale, a Nord 129.420, il 30%. Il 40% di questi bambini vivono in Campania e Sicilia.
Lo scenario è quello di una «catastrofe sociale e politica». Lo sostiene Libera che con il gruppo Abele hanno promosso la campagna nazionale «Miseria ladra». La povertà ha corrotto le istituzioni fondamentali della democrazia, sostiene la campagna promossa da Don Ciotti, la politica dovrebbe abbandonare i «tatticismi» ed agire. Le soluzioni per garantire «una vita libera e dignitosa» sono radicali: sospendere gli sfratti esecutivi; destinare il patrimonio immobiliare sfitto e quello requisito alla criminalità per usi sociali e abitativi; creare il «reddito minimo di cittadinanza» nell’unico paese europeo, insieme alla Grecia, sprovvisto di questo strumento di tutela della persona; rinegoziare il debito e ripubblicizzare i servizi basici essenziali.
Un piano nazionale contro la povertà viene invocato da Vera Lamonica, segretaria confederale Cgil che chiede di trasformare la sperimentazione del Sostegno all’inclusione attiva (Sia) in una misura strutturale. Venerdì scorso, intervenendo alla presentazione di un rapporto Caritas sulla povertà, il ministro del lavoro Poletti aveva escluso un intervento immediato sul reddito d’inclusione sociale (Ris) proposto dalla Caritas. I poveri in Italia restano in attesa della costruzione di un’«anagrafe» capace di censirli.
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