Gallino: «L’antidoto al Fiscal Compact è la partecipazione popolare»

Gallino: «L’antidoto al Fiscal Compact è la partecipazione popolare»

Roberto Ciccarelli – il manifesto

Intervista. Oggi al via la raccolta firme per il referendum «Stop austerità, sì alla crescita». Il sociologo torinese lo appoggia insieme ad una possibile iniziativa legislativa popolare. «Renzi nasconde la situazione economica. Non se ne rende conto, anche perchè aderisce al credo neoliberale dominante»

 La fles­si­bi­lità del rigore pro­duce con­fu­sione nel governo. Il sot­to­se­gre­ta­rio Del Rio ha rilan­ciato gli Union bond, un fondo fede­rale al quale gli stati con­fe­ri­scono pezzi del loro patri­mo­nio immo­bi­liare usato come garan­zia per inve­sti­menti strut­tu­rali e per dimi­nuire il debito, men­tre per il mini­stro dell’Economia Padoan «la que­stione non è all’ordine del giorno». Con il socio­logo Luciano Gal­lino, già autore del più affi­lato libro con­tro l’austerità, Il colpo di Stato di ban­che e governi (Einaudi), pro­viamo a esplo­rare le ragioni di que­sto con­flitto. «La pro­po­sta di Del Rio viene da quella Prodi-Quadrio Cur­zio di qual­che anno fa – afferma Gal­lino –In que­sto momento equi­vale a dare al vicino le chiave di casa e lapas­sword del pro­prio conto in banca, lasciando inten­dere di fare quello che vuole. La mutua­liz­za­zione del debito così intesa signi­fica cedere la sovra­nità eco­no­mica ad ele­menti incontrollabili».

Il mini­stro Padoan sostiene che per la cre­scita e la soste­ni­bi­lità del debito non biso­gna cam­biare le regole e appli­care la fles­si­bi­lità pro­messa da Renzi. È realistico?

Il rea­li­smo è fatto di numeri, regole, defi­ni­zioni. Fin­ché si parla gene­ri­ca­mente di fles­si­bi­lità, chiun­que può inten­derla come vuole. La poli­tica eco­no­mica fino ad oggi adom­brata dal governo instilla ulte­riori dosi della medi­cina dell’austerità basata sull’accrescimento dell’avanzo pri­ma­rio, la ridu­zione delle spese sta­tali che hanno sca­vato un buco enorme tra il pre­lievo fiscale dello stato e quello che lo stato resti­tui­sce ai cit­ta­dini in beni e ser­vizi. Qual­cuno del governo ha detto che occorre ridurre ancora il peso dello stato sull’economia. Data la situa­zione in cui ci tro­viamo è l’annuncio di un suicidio.

Ieri a Stra­sburgo Renzi ha detto di non volere cam­biare le regole dell’austerità, ma che serve una cre­scita che pur­troppo non ci sarà. C’è qual­cosa che non torna. Sta forse nascon­dendo la reale situa­zione dell’economia?

Direi pro­prio di si. In parte non se ne rende conto, in parte è d’accordo per­chè la men­ta­lità del suo governo è simile a quella dei governi pre­ce­denti che hanno spo­sato il credo neo­li­be­rale. Le idee per uscire dal guado non ci sono e con­ti­nuano ad insi­stere sulle solite poli­ti­che: sgravi fiscali per le imprese, qual­che euro per i con­sumi, leg­gine per modi­fi­care il mer­cato del lavoro. Così nel 2100 saremo allo stesso punto, ma in una situa­zione cer­ta­mente peg­giore. Occorre qual­che grosso pro­getto, a livello euro­peo, per un robu­sto rilan­cio degli inve­sti­menti con­nessi all’occupazione. Invece gli inter­venti a piog­gia in cui que­sto governo è spe­cia­liz­zato, come i pre­ce­denti, non hanno alcuna effetto sulla cre­scita. Pen­sare che un’azienda non assuma per­so­nale per­chè gli costa qual­che punto di per­cen­tuale in più è una pia illu­sione. In Ita­lia non si assume per­chè non si ha idea di quale pro­dotto ven­dere domani.

Non si parla mai di fiscal com­pact che imporrà dal 2016 tagli al debito pub­blico per 50 miliardi all’anno per vent’anni. Secondo lei perché?

Le pres­sioni di Bru­xel­les, della Bce e della Ger­ma­nia per appli­carlo alla let­tera sono tali che non si vede come non si possa appli­carlo. Stiamo par­lando di decine di miliardi per abbat­tere il debito pub­blico ma che gra­ve­ranno sull’avanzo pri­ma­rio. Seguendo una ten­denza ven­ten­nale, nel 2013 lo stato ita­liano ha pre­le­vato dai cit­ta­dini una somma supe­riore ai 500 miliardi, resti­tuendo in ter­mini di acqui­sto di beni, ser­vizi e sti­pendi poco più di 430 miliardi. Que­sto non basta per far fronte il fiscal com­pact e si punta a dila­tare il diva­rio tra il pre­lievo fiscale e quello che lo stato resti­tui­sce ai cit­ta­dini. Per que­sto l’idea dello stato minimo è folle: i media e i governi hanno impo­sto l’idea che quella sta­tale è solo una spesa pas­siva, men­tre invece cor­ri­sponde agli stipndi degli inse­gnanti, dei medici, per i ser­vizi pub­blici. Se uno taglia 50 miliardi in nome dell’avanzo pri­ma­rio, il risul­tato è un salasso dell’economia reale. Con la con­se­guenza di abbat­tere la domanda, aumen­tare la disoc­cu­pa­zione e la deflazione.

Oggi parte la rac­colta firme per il refe­ren­dum no fiscal com­pact. Cosa ne pensa?

È molto posi­tivo. Non tanto per­chè pensi che ne usci­ranno delle solu­zioni imme­diate. L’insieme di forze e poteri che si oppon­gono al cam­bia­mento delle poli­ti­che fiscali e mone­ta­rie sono tali da non spe­rarci. Ma è impor­tante che un buon numero di cit­ta­dini si renda conto dei pro­blemi in cui siamo, oscu­rati dal silen­zio dei media.

C’è chi invece pro­pone un’iniziativa legi­sla­tiva popo­lare sullo stesso tema che potrebbe affian­carsi al refe­ren­dum. È una strada percorribile?

Più se ne parla, meglio è. La pro­po­sta fatta da Gae­tano Azza­riti su «Il mani­fe­sto» si rife­ri­sce all’iniziativa dei cit­ta­dini euro­pei (Ice) intro­dotta dall’articolo 10 del Trat­tato di Lisbona e in vigore dall’aprile 2012. Que­sto tipo di ini­zia­tiva pre­vede che i cit­ta­dini pos­sano pren­dere posi­zione su que­sto o su quel tema. Ben venga dun­que anche il ricorso a que­sto tipo di stru­menti che hanno il van­tag­gio di stare nei trat­tati. Si tratta di chie­dere qual­cosa alla Com­mis­sione ciò che si è guar­data bene dal fare: la par­te­ci­pa­zione. Così facendo è riu­scita a tenere nasco­ste le con­se­guenze dei vari trat­tati. Come si vede dalle trat­ta­tive segrete sul trat­tato Usa-Ue sul libero com­mer­cio (Ttip), uno degli aspetti inqua­li­fi­ca­bili della comis­sione a guida Bar­roso è non avere infor­mato i cit­ta­dini sulle sue con­se­guenze. Da mesi sono in corso trat­ta­tive e nego­ziati che met­tono a rischio i ser­vizi, l’agricoltura, la pro­prietà intel­let­tuale, i diritti del lavoro e molto altro. E nes­suno sa nulla. È una situa­zione inau­dita. Oggi biso­gna dare voce ai cit­ta­dini, senza però illu­dersi sui risul­tati a breve termine.


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