Electrolux – Morandin (L’Altra Europa con Tsipras): «La lotta paga ma i lavoratori sindacalizzati pagano pegno. L’Europa freni le delocalizzazioni e faccia una politica unita contro il dumping»

Electrolux – Morandin (L’Altra Europa con Tsipras): «La lotta paga ma i lavoratori sindacalizzati pagano pegno. L’Europa freni le delocalizzazioni e faccia una politica unita contro il dumping»

di Paola Morandin, capolista de L’Altra Europa con Tsipras nel collegio Nord Est, operaia Electrolux -

Con la firma sui testi dell’accordo Electrolux al Ministero dello sviluppo economico e la formalizzazione presso la Presidenza del Consiglio dell’intesa tra sindacato e la multinazionale, uno dei leader mondiali nella produzione di elettrodomestici, si chiude una delle vertenze  industriali più lunghe, combattute  e importanti dell’ultimo decennio nel nostro Paese.

Seguiranno nei prossimi giorni assemblee in tutti gli stabilimenti e voto dei lavoratori.

Sei mesi di scioperi, presidi, incontri,  interventi istituzionali e una costante attenzione pubblica e mediatica hanno fatto da coro a questo scontro, partito dall’intenzione di Electrolux di avviare la delocalizzazione ad est Europa delle attività e delle produzioni presenti in Italia. Con relativo svuotamento industriale e occupazionale delle aree dove insiste la presenza Electrolux

Il primo piano presentato dalla Società a metà gennaio 2014, dopo il primo annuncio del  novembre 2013, prevedeva sia importanti delocalizzazioni delle produzioni, che drastici tagli del salario, per mantenere le residue capacità produttive.

A questa proposta e prospettiva, vi è stata una reazione ferma e comune di tutti i lavoratori degli stabilimenti italiani, che occupano oltre 6000 dipendenti. Tra novembre e aprile ci sono state oltre 150 ore di sciopero e 100 giorni di presidio delle , con un periodo ad inizio febbraio di 15 giorni di blocco totale delle merci.

Le proteste e l’attenzione mediatica internazionale hanno messo in difficoltà il marchio, che è stato costretto a rivedere il suo primo piano draconiano e proporre un piano più soft con rinuncia alle chiusure e ai tagli salariali, chiedendo in cambio una minor pressione nei presidi.

Un ruolo attivo e di sostegno ai lavoratori lo hanno svolto le istituzioni locali, sindaci e presidenti di regione e soprattutto i media. Il governo è intervenuto, tardivamente e solo negli ultimi mesi.

La conclusione  determinatasi in queste ore vede, da un lato l’importante risultato di aver bloccato per almeno un triennio la delocalizzazione di gran parte dei prodotti e persino definito un aumento degli elettrodomestici in Italia, con investimenti  di processo e di prodotto, prima non previsti, se escludiamo lo stabilimento di lavatrici di Porcia, che pur non chiudendo, come programmato inizialmente, vedrà ridursi del 40% della propria produzione e la relativa occupazione, tutelata per ora dall’intervento dei contratti di solidarietà.

Nel contempo il sindacato ha ottenuto la tutela dei redditi dei lavoratori. Non vi sono tagli salariali.

Dall’altro la multinazionale ha incassato degli sgravi contributivi collegati ai contratti di solidarietà (circa 6.000.000 di euro in tre anni), soldi della fiscalità generale;  un pesante peggioramento delle condizioni di lavoro, attraverso un aumento dal 5 al 10%  (a secondo degli stabilimenti) dei pezzi da produrre nelle catene di montaggio (si vorrebbe produrre in 6 ore ciò che si produceva in 8 ore), dove gli operai lamentano già da tempo una pesante condizione prestativa. È sugli operai delle linee di montaggio, i più sindacalizzati, che pagano il conto del recupero della produttività.  Lavoratori che diventano svantaggiati e senza possibilità di ricollocazione. Circa 1/3 dei lavoratori hanno malattie muscolo scheletriche certificate dall’usura, dovute all’intensità lavorativa, condizione che con le nuove Pressioni prestative che produrranno un danno esponenziale agli operai delle linee. Infatti finiscono in reparti “confino”, dove lavorano una settimana su tre, le altre sono collocate a carco dell’INPS – contratti di solidarietà.

È su queste criticità che nello stabilimento di Susegana le RSU unitariamente hanno espresso una criticità sull’accordo e la convinzione che sulle condizioni di lavoro e di salute è sbagliato cedere quando le prestazioni  sono oltre il limite sostenibile dagli esseri umani.

È evidente come questa multinazionale, come tante altre, giochi sulla scacchiera europea e internazionale, aggredendo i lavoratori e le istituzioni nazionali e regionali, attraverso la minaccia o peggio lo spostamento delle produzioni tra stati, dove si offrono l migliori condizioni, ottenendo ogni volta vantaggi economici e peggioramento delle condizioni complessive dei lavoratori oltre che destrutturando diritti e tutele sindacali.

Nell’accordo appena firmato hanno tagliato il 60% delle agibilità sindacali degli RSU, impoverendo così la capacità di tutela dei lavoratori nel momento della maggiore aggressione, interna ed esterna.


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY






IT25W0538703202000035040300 presso BPER Banca o IT16C0760103200000039326004 presso PosteItaliane S.p.A.