Intervista a Ferrero sulle pensioni d’oro: “Sì al taglio delle pensioni d’oro ma nel modo giusto. Nel Def, Renzi sembra essersi dimenticato dei pensionati”

Intervista a Ferrero sulle pensioni d’oro: “Sì al taglio delle pensioni d’oro ma nel modo giusto. Nel Def, Renzi sembra essersi dimenticato dei pensionati”

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Per rilanciare l’economia italiana tagliare le pensioni d’oro non basta. A dirlo è il Segretario nazionale di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero, secondo il quale la manovra andrebbe accompagnata da altre grandi misure come “l’introduzione di una patrimoniale, il taglio delle spese militari, il taglio di opere inutili e dannose come la Tav in Val di Susa e il varo di un piano per il lavoro”. L’esponente di Rifondazione Comunista punta il dito contro il Def: “analizzando il documento – commenta a Realpost – sembra che per Renzi le pensionate e i pensionati non esistano”.

In tema di spending review non poteva mancare il capitolo sul taglio delle pensioni. Secondo Matteo Renzi le pensioni più alte, le cosiddette pensioni d’oro, potrebbero rivelarsi un bacino utile dove recuperare denaro per rilanciare l’economia del Paese. Cosa ne pensa della possibile manovra del neo-premier?

Il taglio delle pensioni d’oro, che proponiamo da tempo, può essere sicuramente un contributo per far ripartire l’economia del paese: noi spingiamo in questa direzione. Ma tale taglio – se si vuole fare sul serio – andrebbe accompagnato ad alcune e altre grandi misure, quali l’introduzione di una vera patrimoniale, il taglio delle spese militari, il taglio di grandi, inutili e dannose opere come la Tav in Val di Susa, il varo di un piano per il lavoro e la riconversione ecologica dell’economia. Le scelte di chi ha governato in questi anni hanno fatto tali danni che non è sufficiente certo una singola misura, ma vanno “ribaltate” le politiche attuali nel loro complesso. Bisogna togliere ai pochi che hanno molto e si sono arricchiti in questi anni – attraverso le pensioni d’oro, ad esempio – alle spalle dei lavoratori, dei pensionati e dei disoccupati e ridistribuire la ricchezza per sconfiggere la crisi, la disoccupazione e la precarietà di massa. Ad oggi, il governo Renzi non si sta muovendo in questa direzione, non ha né tagliato le pensioni d’oro né sta facendo sul serio il resto.

Da tempo in Italia si discute dell’ipotesi di gravare le pensioni più ricche  con un contributo di solidarietà per trovare le risorse necessarie a far ripartire l’economia. Secondo lei da quale cifra una pensione può essere definita d’oro e può essere chiesto un contributo di solidarietà?

Da tempo proponiamo di mettere come tetto massimo alle pensioni 5000 euro. Se si scorrono i dati, c’è solo da indignarsi: vi sono decine di migliaia di pensionati che percepiscono più di 10.000 euro, e addirittura c’è chi percepisce 40.000, 50.000, 90.000 euro al mese. Al contempo, nel nostro Paese, ci sono più di 7 milioni e mezzo di pensionati che vivono sotto i 1000 euro al mese e – poco tempo fa – il governo Monti, con la riforma Fornero, ha innalzato ulteriormente l’età pensionabile lasciando a spasso centinaia di migliaia di persone. Per questo proponiamo che il governo metta il tetto da noi indicato, e – con il ricavato – cominci a alzare le pensioni attualmente sotto i 1000 e a finanziare l’abrogazione della controriforma Fornero. Al contrario, se si legge il Def, sembra che per Renzi le pensionate e i pensionati non esistono.

Il sistema previdenziale pubblico italiano è al collasso. Dopo le manovre volute da Monti e dalla Fornero l’Inps ha continuato ad accumulare grossi debiti. Gli anziani sono preoccupati per i loro risparmi e i giovani vedono la pensione come un traguardo irraggiungibile. Crede ci sia bisogno di regolamentare diversamente il sistema pensionistico italiano?

Non è affatto vero che il sistema previdenziale pubblico italiano è al collasso; è piuttosto la giustificazione – falsa – con cui diversi governi, in questi anni, sono intervenuti innalzando l’età pensionabile. Basti pensare che il saldo tra i contributi versati e le pensioni erogate al netto delle tasse è positivo dal 1998, e che nel 2011 è stato pari a 24 miliardi di euro. I giovani sono preoccupati – piuttosto – perché la disoccupazione giovanile è superiore al 40% e perché, anche quando lavorano, sono assunti con contratti precari la cui copertura previdenziale è ridotta; gli anziani lo sono perché con pensioni sotto i 1000 euro è difficile campare. Bisogna intervenire non per modificare in peggio il nostro sistema previdenziale, ma per migliorare le condizioni di giovani e di anziani.

Matteo Renzi a Bruxelles ha affermato: “Con la manovra sulle pensioni d’oro finalmente inizieranno a pagare quelli che non hanno mai pagato”. Secondo lei sarà veramente così oppure questa nuova manovra graverà comunque sulle tasche dei comuni cittadini che già hanno dato tanto al Paese e continuano a pagare la crisi?

In primo luogo Renzi non ha tagliato le pensioni d’oro, nel Def non se ne trova traccia. Inoltre la manovra del governo non risolve la situazione di crisi in cui si trova il Paese: Renzi con una mano dà gli 80 euro al mese ai lavoratori che hanno meno di 25.000 all’anno, e con l’altra – con i tagli agli enti locali, al trasporto pubblico, alla sanità attraverso i tagli alle Regioni – leva. E non si dica che non c’era alternativa: gli 80 euro in busta paga hanno un costo complessivo di 6 miliardi di euro, mentre il governo finanzia il fondo “salva-banche” con 60 miliardi. Anche per il governo Renzi le banche contano più delle persone.

Dopo le riforme del lavoro approvate il 12 marzo dal consiglio dei ministri Matteo Renzi continua a promuovere  il suo Jobs Act. Se le decisioni di Renzi e Cottarelli in tema di spending review saranno accettate che futuro economico si prospetta per l’Italia?

Pessimo, perché non c’è nessuna idea di come si possa uscire in avanti dalla crisi. Il Job Act, presentato come l’atto che avrebbe contribuito a rilanciare l’occupazione, in realtà rende il lavoro ancora più precario e non mette un euro a disposizione contro la disoccupazione. L’unica idea di fondo che il governo sembra avere – in continuità con i governi Monti e Letta – è quella, appunto, che sta alla base della spending review: se ne esce tagliando la spesa pubblica. Ma così la crisi peggiora, come abbiamo già avuto modo di constatare.


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