
Taranto, Riva: è morto il re delle privatizzazioni
Pubblicato il 30 apr 2014
Paolo Ferrero e il Circolo di Fabbrica di Rifondazione Comunista dell’ILVA di Taranto –
La scomparsa di Emilio Riva ci spinge a di riflettere su alcuni passaggi fondamentali della nostra storia, per evitare di ripetere errori drammatici. Emilio Riva è stato un perfetto esemplare del capitalismo italiano: parte come self made man, costruendo nell’immediato dopoguerra un gruppo dinamico, ma compie il salto di qualità solo a partire dagli anni ’80, nutrendosi del processo di privatizzazione della grande siderurgia pubblica italiana. Nel 1987 acquisisce gli impianti di Genova e nel 1995 rileva a prezzi di saldo l’intera Ilva, diventando proprietario dello stabilimento di Taranto, il più grande siderurgico d’Europa. Impone così a enormi strutture industriali le stesse dinamiche padronali adoperate fino a quel momento negli impianti minori del gruppo. Ai quadri è richiesta fedeltà assoluta anche attraverso il ricorso al mobbing (esemplare il caso della Palazzina Laf, dove vengono reclusi i dipendenti “dissidenti”), mentre il controllo sugli operai è esercitato costantemente da una “struttura-ombra” di fiduciari direttamente legati al vertice aziendale. I ritmi produttivi vengono esasperati, con conseguenze devastanti sulla sicurezza dei lavoratori e sulla salute dei cittadini. Tutto questo viene tollerato dai governi italiani, che addirittura trovano in Riva una sponda per l’operazione di salvataggio di Alitalia: nel 2008 il patron dell’acciaio diventa così il secondo socio della compagnia di bandiera dopo Air France. I Riva intanto continuano ad accumulare ricchezze immense: in quello stesso anno l’azienda realizza un utile record di circa 900 milioni di Euro. Oggi è emerso che, a dispetto della fama che il capofamiglia ha sempre cercato di dare di sé, ossia di industriale “puro”, che lascia tutti i guadagni in azienda, Riva e figli hanno trasferito miliardi di Euro nei loro conti all’estero, sottraendoli al fisco italiano. La fortuna del gruppo dura fino all’intervento della Magistratura, che sequestra gli impianti del siderurgico tarantino e costringe il governo a commissariare l’azienda. Emilio Riva muore così alla vigilia del processo in cui è stato imputato di reati gravissimi (fra cui disastro ambientale), mentre Ilva è sull’orlo del baratro. La sua storia ci parla di una certa “razza padrona” italiana, cresciuta grazie alla collusione di gruppi politici arrendevoli e compiacenti. Riva passa a miglior vita, ma il grumo di interessi di cui lui e la sua famiglia hanno fatto parte, resta ben saldo al potere e si prepara a dare l’assalto a quello che resta del paese. Contro questo progetto, favorito dal massiccio piano di privatizzazioni che il governo Renzi si appresta ad attuare, va costruito un grande argine di popolo.
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