
Per l’Italia la ricetta resta l’austerità
Pubblicato il 23 feb 2013
di Roberto Ciccarelli -
Aventiquattr’ore dalle elezioni politiche italiane non poteva mancare la perla di saggezza del commissario europeo agli affari economici Olli Renh, l’estensore della lettera di licenziamento in 37 punti recapitata a Silvio Berlusconi a ottobre 2011, comprensiva della richiesta di aumento delle tasse universitarie, dell’estensione delle prove Invalsi agli esami di maturità, della riforma delle pensioni e del lavoro, puntualmente applicate. Rehn, che Paul Krugman ha definito austero e isterico, «austerico », si è detto fiducioso di un «ritorno moderato della crescita» a fine anno, frutto di un «graduale riacquisto della fiducia» dei mercati finanziari. Amante delle iperboli, credente nelle virtù paradossali dell’«austerità espansiva», ieri Rehn ha annunciato la crescita dell’economia della zona euro nel 2014. Una rapida ricerca in archivio permette di osservare l’apprensione crescente nella Commissione. Ad ogni annuncio della ripresa, il traguardo si sposta sempre più avanti. L’araba fenice era stata intravista già due volte nel 2010 (a marzo e a settembre), altrettante nel 2011. Quest’anno Rehn ha pensato bene di rinviarla al 2014, seguendo le indicazioni della Bce di Mario Draghi.
Sulla sua strada c’è un solo, piccolo, problema. Nel 2013 la disoccupazione in Italia resterà all’ 11,6%, l’anno prossimo salirà al 12%. Negli ultimi quattro anni la crisi ha prodotto almeno 800 mila disoccupati in più. Una confutazione più clamorosa della riforma Fornero non poteva esserci, ma di questo nel report della Commissione non c’è traccia. Mai confutare il ministro di un governo fiduciario del verbo austerico. In compenso ci hanno pensato i suoi custodi nazionali: da Berlusconi a Monti, fino alle propaggini del Pd che ha votato il governo tecnico, tutti ripetono da mesi che quella riforma è inutile per contrastare la disoccupazione. Anche il 2013 sarà un anno di recessione. Il Pil italiano calerà ancora dell’1%, dopo il 2,2% del 2012. Non accadeva dal 1993. Dopo cinque anni di tagli, quelli di Tremonti e di Monti, l’Italia è tornata indietro di 30 anni. «Stiamo preparando la strada della ripresa – ha intimato Rehn – dobbiamo mantenere questo ritmo di riforma».
«È il segno di una disperazione crescente» gli ha risposto Krugman qualche giorno fa, dopo che il grafomane Rehn ha inviato un’altra lettera ai ministri delle finanze europei per annunciare il raggiungimento di un traguardo inesistente. Il Nobel per l’economia sostiene che la disoccupazione è il prodotto dell’austerità. Un pensiero che non sfiora invece la Commissione secondo la quale «i livelli di disoccupazione restano inaccettabilmente elevati nell’Ue e ancor di più in quegli stati membri che affrontano i più grandi aggiustamenti necessari». Queste parole scandiscono la prospettiva, che attende qualsiasi maggioranza uscirà dalle urne lunedì. L’aggiustamento strutturale ha migliorato la situazione del deficit rispetto al Pil (2,9% nel 2012, sarà del 2,1% nel 2013 e nel 2014). Il disavanzo dovrebbe rientrare nella media prestabilita, allontanando l’Italia dalla procedura del default già ad aprile, a condizione che il prossimo governo rispetti i patti. Secondo il «codice Rehn» il governo italiano dovrebbe applicare alla lettera il fiscal compact votato in Costituzione: abbattere il volume del debito del 20% annuo, all’incirca 45 miliardi di euro per raggiungere la soglia del 60% stabilito dal Trattato di Maastricht. Una cura che allungherà la recessione, moltiplicando ancora la disoccupazione. Davanti a questa tragica determinazione i principali aspiranti al nuovo governo, Bersani e Fassina del Pd tremano. Chiedono di «allentare il patto di stabilità interno per avviare cantieri per 7,5miliardi di euro». Puntano al sostegno della Francia di Hollande che ha ottenuto dalla Merkel di non essere perseguitata dalle sanzioni del Fiscal Compact. L’Italia del futuro aspira ad imitare l’opportunismo francese in attesa della clemenza che i tedeschi riservano ai «cugini». Un altro esempio di disperazione nel teatrino europeo della crisi.
il manifesto 23 febbraio 2013
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