Due chiacchere con… Flavio Lotti

Due chiacchere con… Flavio Lotti

di rifondazione.it -
Flavio Lotti, fra le figure storiche del pacifismo italiano è una delle persone più note fra quelle che hanno scelto di candidarsi con Rivoluzione Civile. Coordinatore per tanti anni della Tavola della Pace, la più grande rete pacifista italiana, fra i fondatori della marcia Perugia Assisi, è dal 1986  direttore del Coordinamento nazionale enti locali per la pace e i diritti umani che unisce oltre 700 Comuni, Province e Regioni. Candidato in Toscana e Umbria sta conducendo una campagna elettorale incessante e generosa come è la sua vita e la sua personalità. Si è schierato per motivazioni dettati dalla coerenza intellettuale e politica:«Penso che vada dato seguito a quanto ho sempre fatto, rispondere ai tanti appelli, alle mille iniziative e manifestazioni, alle proposte che si sono infrante contro un muro di sordità e miopia impressionante. Si tratta di fare un altro passo per quel pacifismo politico che ci anima e che ci offre la possibilità di fare i conti con questa politica che finora ci ha dominato e di sconfiggerla. Occorre costruirne una nuova che parta da una nuova cultura che affermi la costituzione universale, quella che si basa sulla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Deve essere la nostra bussola per affrontare il tempo difficilissimo che abbiamo davanti, l’epoca che stiamo vivendo e che in Italia non si è ancora compresa. Questa è l’epoca della globalizzazione, del cittadino globale come diceva padre Balducci in una cultura planetaria. Abbiamo abbattuto tutti i confini interni, questo da una parte ci espone a grandi pericoli ma rappresenta una splendida opportunità. Per questo, e spero che i risultati ci diano ragione, vorrei poter portare nelle istituzioni la necessità di costruire una politica di pace. In fondo un altro modo di continuare a fare ciò che faccio da tanti anni». È positivo il suo atteggiamento anche di fronte ad un Paese in cui le persone sono state capaci di passare nell’arco di pochi anni da straordinarie manifestazioni per la pace all’indifferenza, in una condizione di schizofrenia rispetto ad un tema così fondante:« Abbiamo consentito e lavorato perché crescesse nel nostro paese una larga cultura della pace e il ripudio della guerra è divenuto parte della coscienza più profonda, ma quello che non è ancora maturata è una cultura della pace che non può essere solo rifiuto della guerra ma deve divenire anche impegno alto, maturo e responsabile per realizzare l’alternativa alla cultura della guerra e che consideri come fondamentale l’estensione e la garanzia dei diritti. Si tratta di un lavoro culturale e politico. Da questo punto di vista – e qui la riflessione di Lotti si fa più ancora più netta – c’è stato un arretramento della sinistra o meglio del centro sinistra. Dicevano di voler cambiare l’Italia, ma mentre negli anni 80 si affermava “prima di tutto la pace” oggi si è passati a quelle che  vengono “chiamate missioni di pace”. C’è stato uno stravolgimento  non solo dei principi ma anche degli strumenti da utilizzare. Ho visto un cedimento politico, del Pd soprattutto, che ha cominciato a teorizzare il fatto che rispetto agli affari del mondo occorra una intesa bipartisan. L’idea, l’ espressione in se ha anche dignità e ragion di essere. Ma è altrettanto vero che le leadership del Pd hanno avuto un cedimento sul principio guida per cui comunque la guerra non fosse uno strumento utilizzabile. Hanno cercato una, legittimazione internazionale a tutti i costi. Così come Fini si è andato a far riabilitare in Israele per rompere col fascismo il Pd dal Kosovo in avanti ha detto che la guerra poteva essere uno strumento utilizzabile. Si tratta di un arretramento che ha provocato disorientamento in tanti cittadini tanto è che nel Pd non se ne discute e non se ne parla anche perché non trova uniformità di consenso fra i suoi iscritti». La scelta di Flavio Lotti di accettare la sfida con una lista e un movimento appena nati è stata dettata anche da queste riflessioni:« Mi sono lasciato coinvolgere in una sfida di cui erano evidentissimi i rischi, l’urgenza e la necessità. Ho accettato la proposta di Ingroia con un atto istintivo, in 48 ore, ma tutto è frutto di una riflessione politica e istituzionale molto lunga durata quasi 6. Sono consapevole dei problemi che siamo chiamati ad affrontare ma ho anche incontrato compagni di viaggio sulla mia lunghezza d’onda. Penso a Gabriella Stramaccioni di Libera impegnata su temi a me vicini da tanti anni. Non credo che il nostro Paese si sia mai trovato ad un punto così critico come quello che stiamo vivendo e c’è necessità di tagliare gli ormeggi  e metterci un viaggio per una strada nuova». Flavio Lotti riflette anche attorno al rapporto con i partiti che sono entrati in questo percorso e rispetto al futuro che ci aspetta:« I partiti sono consapevoli della crisi profonda che stanno attraversando ciascuno a modo proprio. Chi ha scelto di lasciarsi coinvolgere lo ha fatto condividendo preoccupazioni, speranze e resistenze, il disagio che c’è la disillusione che c’è anche nei militanti è qualcosa di molto serio, non vanno minimizzati o sottovalutati. A mio avviso questa sfida, questo movimento ha offerto, con tutti i limiti, una speranza per i tanti che  vivono smarrimento, solitudine, confusione. C’è molto lavoro da fare per il futuro. I partiti avranno molto da fare e dovranno avviare un dibattito interno. Sarebbe un grandissimo errore se prevalessero le spinte alla chiusura invece delle spinte al nuovo. Non è semplicisticamente sciogliere i partiti ma cercare insieme forme nuove della politica. Qualcosa di più avanzato di una necessaria cultura del pluralismo. Non la sopravvivenza ma la costruzione di una risposta ai problemi che le persone vivono sulla propria pelle. Si dovranno cambiare linguaggio e forme e non c’è forza che potrà passare indenne dall’esame dei propri iscritti e dei propri sostenitori, non ne possiamo più di cose vecchie, se non sappiamo dare risposte oggi veniamo spazzati via dalla vulgata del “sono tutti uguali” che incombe. Dobbiamo alimentare la speranza fra la gente. C’è una fetta che ci crede e una che vuole capire se c’è qualcosa di nuovo diverso dallo schifo da cui ci si è allontanati. Impegnarsi anche ad attaccare i manifesti ha senso se hai una passione o se sei pagato per farlo e noi dobbiamo ritrovare gli elementi di passione. Rivoluzione Civile li sta rigenerando ma non deve fare sciocchezze, non deve settorializzarsi ma mettere al centro il bene comune che non è solo il bene della sinistra. Io quest’anno ho anche incontrato gente che mi ha detto di essere di destra ma di votarci perché si fida di me. Ecco ricreare la fiducia penso sia fondamentale e vale per tutti. Penso anche al Prc, che è rimasto fuori dalle istituzioni ed è stato isolato. Malgrado questo non è riuscito a scrollarsi di dosso una immagine che non corrisponde poi alla realtà, quella di un partito diverso. Sono convinto però che tutto questo discorso giri attorno ad un punto, dobbiamo pensare meno ad una tattica e più ad una strategia, e mi scuso per il gergo militare, avere e prospettare insomma una visione». Anche il nostro candidato ha avuto  modo di misurarsi poi con una rinnovata voglia di partecipazione che non si vedeva da anni e la racconta con entusiasmo:« Non ho fatto mai comizi in questo mese. Ho sempre iniziato chiedendo ai presenti di fare domande e di stilare un ordine del giorno della discussione. E ho scoperto un grande bisogno di momenti di confronto. Non c’è stato un solo incontro, da quelli più politici a quelli con i commercianti, con gli studenti e con le varie categorie, in cui non emergeva la costante denuncia della mancanza di momenti di ascolto. La politica e le istituzioni sono vissute come assenti, distanti e le persone non riescono ad accreditarsi come soggetto degno di essere sentito. Questo è il fossato che ha permesso la crescita di Grillo. Io sto dicendo a tutti che finita la campagna voglio tornare negli stessi luoghi in cui sono stato per ridiscutere come lavorare insieme. A chi mi diceva che mi avrebbe ricercato una volta in parlamento ho ripetuto che immagino un percorso al contrario, fatto di compartecipazione reale in cui chi come noi sarà nelle istituzioni dovrà riportare quello che si decide e propone nei territori. Si tratta di spostare montagne e per spostarle bisogna essere in tanti, assumendosene le responsabilità».


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