I nuovi schiavi: 3 euro all’ora e via il passaporto

I nuovi schiavi: 3 euro all’ora e via il passaporto

di Adriana Pollice – il manifesto -

L’ultima assem­blea c’è stata dome­nica scorsa in una sala par­roc­chiale di Sant’Antimo: i lavo­ra­tori migranti del distretto del tes­sile dis­se­mi­nato nell’hinterland a nord di Napoli, tra Grumo Nevano, Casan­drino e la stessa Sant’Antimo, si stanno orga­niz­zando per riven­di­care con­di­zioni di lavoro umane. Sup­por­tati dall’associazione 3Febbraio denun­ciano di ope­rare in stato di schia­vitù: 14 ore di lavoro al giorno senza pausa dalle 6.30 alle 20.30 dal lunedì al sabato, la dome­nica dalle otto di mat­tina alle cin­que di pome­rig­gio, una paga che non supera mai i 3 euro all’ora e il seque­stro del pas­sa­porto, una sot­tra­zione di libertà di fatto. La pro­du­zione di capi a basso costo non ha subito fles­sioni ma la crisi è uti­liz­zata per ridurre il com­penso ora­rio. Si tratta di ope­rai ben­ga­lesi, ma anche paki­stani e indiani, inse­diati nella zona da circa 20 anni. Lavo­rano in pic­cole sar­to­rie negli scan­ti­nati dei palazzi, senza un’adeguata area­zione e uscite di sicu­rezza, ammas­sati in 25, 30 per fabbrica.

Non solo ita­liani, i padroni spesso sono ben­ga­lesi o paki­stani, arri­vati in Cam­pa­nia con i capi­tali per avviare l’attività. Pro­du­cono per grandi mar­chi (MotiviCamo­milla) e gli inter­me­diari sono tutti ita­liani. I migranti con i gua­da­gni da fame, 250/300 euro al mese quando ven­gono pagati, devono poi affit­tare una casa, che signi­fica dai 300 ai 500 euro al mese, più della loro paga e biso­gna pure fare eco­no­mie per spe­dire qual­cosa a casa. A Sant’Antimo migranti e l’associazione 3Fhanno una sto­ria di lotte con­tro lo sfrut­ta­mento: già nel 2010 gli ope­rai si ribel­la­rono; allora gli inter­me­diari che com­mis­sio­na­vano i capi non paga­vano o paga­vano con molto ritardo le sar­to­rie. La loro pre­senza sul ter­ri­to­rio cata­lizza ed è in grado di orga­niz­za­rare ope­rai dell’abbigliamento, fino a San Giu­seppe Vesu­viano e Palma Cam­pa­nia. Tifur era uno sti­ra­tore, è tra quelli che hanno deciso di fare causa al datore di lavoro: «Ho ini­ziato a metà dicem­bre 2011 e sono stato man­dato via il 30 aprile 2013. Mi ha cac­ciato per­ché avevo chie­sto quello che mi spet­tava. Il mio padrone in patria è pro­prie­ta­rio di 200 appar­ta­menti, qui pro­duce abiti per firme famose. Quando gli chie­devo quello che mi spet­tava diceva che non aveva soldi». Ma può suc­ce­dere anche quello che è capi­tato a Sohel: «In un anno ho avuto 3mila euro. Circa 250 euro al mese, per 15 ore di lavoro al giorno. Ho pagato 10mila euro per venire in Ita­lia: li ho dati alla stessa per­sona che poi mi ha preso a lavo­rare, al mio con­na­zio­nale». «Abbiamo avviato cause di lavoro per un cen­ti­naio di ope­rai, impie­gati in quat­tro sar­to­rie – spiega Gian­luca Petruzzo di 3Febbraio -. Ma denun­ce­remo anche per ridu­zione in schia­vitù gli impren­di­tori ita­liani e ben­ga­lesi, chie­dendo al pre­fetto che siano con­cessi a tutti i fir­ma­tari i per­messi di sog­giorno per motivi uma­ni­tari, così come pre­vi­sto dall’ex arti­colo 18 della legge 40 sull’immigrazione». Il rischio è che i pro­prie­tari chiu­dano tutto, spa­rendo senza pre­av­viso. Il 21 feb­braio i lavo­ra­tori saranno in piazza a Sant’Antimo per la festa della lin­gua del Ban­gla­desh, intanto pre­pa­rano un docu­mento per invi­tare gli ita­liani alla resi­stenza comune, per­ché anche per la mano­do­pera locale il ricatto lavoro con­tro paghe da fame è diven­tato realtà.


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