Il trucco per aggirare la Carta

Il trucco per aggirare la Carta

di Giuseppe Aragno ::

Il nodo viene al pettine e il pasticcio berlingueriano di una «scuola a tre gambe» – Stato, Enti locali e «privato partitario» – si rivela per quello che è: un trucco per aggirare la Costituzione. Per coprire scelte ignobili, si levano di solito nobili bandiere, e non fa meraviglia se a difesa delle dissennate e arbitrarie decisioni che ne sono derivate in tema di finanziamenti alle scuole, scende in campo una peregrina dottrina: un principio costituzionale va interpretato in relazione alle discussioni avvenute in sede di formulazione, avendo ben presente il contesto storico, culturale e politico in cui fu sancito. Testo definitivo, contenuto e persino significato linguistico, cedono così il passo a letture di parte e non c’è più certezza. Per quanto riguarda il terzo comma dell’articolo 33, per il quale domenica c’è a Bologna un referendum che fa tremare quanto ancora sta in piedi del Pd, la formulazione è lapidaria: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Piaccia o no, la prescrizione è inequivocabile: fatevi tutte le scuole private che volete, quattrini pubblici non ve avrete perché lo vieta la Costituzione.
Applicando, però, il metodo nuovo degli scienziati cattolici e di una imprenditoria che fiuta l’affare e vede nella formazione privata la gallina dalle uova d’oro, è facile puntare il dito: chi si ferma al senso letterale dell’articolo, non tiene nel debito conto il contesto e la discussione da cui scaturì l’articolo. Se lo facesse, l’inviolabile posto di blocco, guardato a vista da cinque inequivocabili paroline dei padri costituenti – «senza oneri per lo Stato» – sarebbe finalmente aggirato e l’altolà non avrebbe più senso. A piazzarle lì, come un macigno sulla via del business, infatti, sostengono i cattoliberoaffaristi in veste di ermeneuti, fu la banda malandrina dei laici: il repubblicano Pacciardi, il comunista Marchesi, l’azionista Codignola e quell’anima persa di Corbino, liberale che ancora non s’era pentito per Porta Pia e il papa costretto a rinunciare al potere temporale. Basta leggere gli atti della Costituente per capire come stanno le cose. Quando il dibattito giunse al dunque e fu chiaro che c’era chi puntava ai quattrini e chi alle coscienze da manipolare, il Paese nuovo, quello che aveva fatto la Resistenza armata contro il fascismo, decise per una volta di tener testa fino in fondo alla conservazione e non capitolò. Certo, se oggi si desse peso prevalente alle strumentali proteste del democristiano Gronchi, ex Sottosegretario all’Industria nel primo governo Mussolini, la lettura sarebbe diversa. È un fatto, però: i «sinistri figuri» che s’erano levati in armi contro il duce non stettero al gioco di questo tiepido «antifascista» che, nel fuoco della guerra di liberazione, s’era limitato a qualche abboccamento clandestino con De Gasperi sotto il manto protettivo del Vaticano. Si lasciò spazio a ogni tesi, come si doveva, ma la discussione non poteva durare in eterno e, senza sottoscrivere alcun impegno, Codignola tagliò corto: «è stabilito che non c’è diritto costituzionale a chiedere tale aiuto». Il concetto era quello iniziale – fate, se volete, ma solo se potete – e il testo non mutò di una virgola: «senza oneri per lo Stato».
Se si volesse leggere la Costituzione in base al contesto storico e al metodo dei neosofisti, d’altra parte, non sarebbe difficile per i laici ricavarne vantaggi. Una prova? Non occorre sforzarsi. Basta partire dall’articolo uno. Sarà pur vero, infatti, che «l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro» ma, nell’acceso dibattito, Basso e Amendola, a nome di socialisti e comunisti, avevano proposto una definizione molto più classista: «repubblica dei lavoratori». Che si fa dei padroni se passa il principio del contesto storico? E che si fa con la costituzionalizzazione dei Patti del Laterano? I fautori del «nuovo» sanno che nella discussione sull’articolo 7 Labriola fu davvero durissimo, come attestano gli atti dell’Assemblea: «Non esiste realtà di equivoco», dichiarò. «Con queste parole si affermano due cose: che lo Stato deve avere, e quindi ha, una religione; che questa religione è appunto la cattolica». In quanto a Calamandrei, fu, se possibile, ancora più pesante: «Il principio della eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, della libertà di coscienza, della libertà di insegnamento, il principio della attribuzione esclusiva allo Stato della funzione giurisdizionale, tutti questi principi costituzionali sono menomati e smentiti da norme contenute nei Patti Lateranensi». Così stando le cose, che si fa con la Chiesa? Si dice a papa Francesco che il Laterano non entra nella Costituzione?
Chi mira a rendere legale il finanziamento illegalmente assicurato dallo Stato alle scuole private si provi pure a dimostrare che il contesto prevale sul testo nell’interpretazione della legge, però sia chiara a tutti la conseguenza: in base allo stesso principio, la Chiesa dovrà rinunciare alla sua invadente presenza nella nostra vita politica.

GIUSEPPE ARAGNO

da il manifesto


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