
Ragionando sulle prospettive della sinistra e sul ruolo dei comunisti
Pubblicato il 14 mag 2013
di Gianluigi Pegolo -
In Rifondazione Comunista si è aperto, di fatto, il dibattito congressuale. Né poteva essere diversamente, data l’eccezionalità della situazione e gli esiti deludenti delle recenti elezioni politiche. L’urgenza dell’individuazione di una prospettiva è avvertita da tutti, ma il dibattito arranca, in alcuni casi si rischia la reticenza, in altri la riproposizione un po’ asfittica di punti di vista datati.
Pericoli e opportunità del nuovo quadro politico
La prima questione da affrontare è la previsione circa l’evoluzione dello scenario politico e sociale. Sul carattere regressivo del governo Letta-Alfano non mi pare vi sia molto da aggiungere. Se ripensiamo al precedente governo Monti, non possiamo che esprimere un giudizio molto negativo su un “governissmo” che si pone in continuità sostanziale con quell’esperienza. Né mi pare si possa pensare a una parentesi breve. Benché non si possano escludere rotture, è evidente che vi è un comune interesse fra le forze politiche che sostengono il nuovo esecutivo a rilegittimarsi in un’azione di governo, a impedire un ritorno rapido alle urne e a definire una cornice istituzionale funzionale alla ricostruzione di un bipolarismo oggi in crisi.
Sulle scelte del nuovo governo non credo vi saranno molte sorprese. L’agenda è stata già definita dai saggi nominati da Napolitano e non credo che ci si discosterà. Essa si fonda su due assunti. Una linea di politica economica che punta, entro il rispetto rigido dei dettami dell’UE, a ottenere alcuni elementi di flessibilità per contenere l’effetto negativo dell’austerità. L’attribuzione alla nuova legislatura di una funzione costituente per il ridisegno del sistema istituzionale in chiave di fatto monocamerale, con l’introduzione di una nuova legge elettorale d’ispirazione maggioritaria, con una centralizzazione decisionale a favore dell’esecutivo, con una possibile torsione presidenzialista.
Benché vi sia stato un apprezzamento molto esteso al nuovo governo, le sue contraddizioni restano comunque evidentissime. Non si tratta solo del velleitarismo di una proposta che punta a conciliare austerità con crescita, o di un disegno istituzionale che punta artificiosamente a superare il pluralismo con una torsione bipolare sempre meno credibile, ma anche del fatto che questo esecutivo nasce per un trasparente accordo fra centro-destra e centro sinistra e, quindi, non gode neppure dell’alibi della soluzione tecnica. Questi fatti rendono il nuovo esperimento insieme pericoloso e fragile, ma al tempo stesso – ecco la prima considerazione – suscettibile di offrire a una sinistra coerente un rilevante spazio di azione politica, giovandosi della crescente insoddisfazione della domanda sociale, da un lato, e della crisi del PD nel suo rapporto di massa, dall’altro.
Le difficoltà che si oppongono alla costruzione della sinistra
Il paradosso è che oggi questa sinistra, di cui tanto vi sarebbe bisogno, di fatto non c’è. Un primo equivoco nasce dalla posizione di SEL. Chi punta alla ricostruzione di una sinistra spesso guarda con speranza alla nuova collocazione di opposizione di SEL, ma non tiene conto di un elemento decisivo e cioè la sua scelta strategica di “internità” al centro sinistra. Ne deriva che se, come sembra, non si produrrà alcuna scissione nel PD, SEL è destinata a riprodurre le scelte di collocazione assunte col governo Monti e cioè un’opposizione temporanea in attesa del ritorno all’alleanza organica con il PD. Con una differenza rispetto a Monti: in questo caso gli sgarbi al governo dovranno essere più contenuti di prima, data la centralità che il PD ha nel nuovo esecutivo. Con SEL sono quindi possibili specifiche convergenze dall’opposizione, ma non al punto da definire una prospettiva strategica comune.
L’altro elemento che ipoteca la costruzione di una sinistra capace di offrire una prospettiva di alternativa è il quadro preoccupante del sindacato confederale. Il riavvicinamento fra CGIL, CISL e UIL, in presenza di questo quadro politico, non promette niente di buono. E’ prevedibile che la spinta al collateralismo al nuovo governo si accrescerà, nell’illusione che una volta spazzata via l’inossidabile neutralità dei tecnici, sia possibile ottenere qualcosa da un governo politico. Ciò che non torna in questo ragionamento sono i limiti di azione e il campo di compatibilità entro i quali il nuovo governo intende muoversi. Il “tira e molla” sull’IMU dice dell’estrema difficoltà a promuovere un’effettiva redistribuzione del reddito per via fiscale. Il tema del restringimento del welfare resta al centro della strategia di contenimento del debito. Per non parlare della questione del lavoro, rispetto alla quale le prime avvisaglie, specie in tema di precariato, non sono assolutamente tranquillizzanti.
Prendere atto di questo quadro preoccupante a sinistra non significa, tuttavia, rinunciare alla prospettiva della costruzione di una sinistra di alternativa. Nel corso degli ultimi anni questa proposta è stata oggetto di sperimentazioni (dalla FdS, alla stessa lista Ingroia) deludenti. Ciò nonostante, sarebbe un grave errore derubricarla oggi dall’agenda politica perché essa rappresenta il punto di arrivo necessitato. Basta dare uno sguardo alle esperienze in corso negli altri paesi europei per rendersi conto che tale prospettiva è non solo ineludibile, ma anche possibile. Nell’affrontare il caso italiano, tuttavia, occorre cogliere la modalità specifica con la quale questa potenzialità alternativa oggi si offre.
Contraddizioni e potenzialità nel campo della sinistra di alternativa
A me pare che si debbano prendere atto di alcuni elementi, che qui richiamo sinteticamente.
a) Il campo di una sinistra di alternativa è oggi contraddistinto da una considerevole eterogeneità. In primo luogo sul piano del conflitto. In assenza di un’apprezzabile mobilitazione del sindacato confederale, le iniziative di lotta solo in alcuni casi assumono connotazioni generali, mentre molto spesso si configurano come iniziative locali, anche se significative. Esiste quindi un problema rilevante di unificazione delle esperienze di lotta e delle pratiche sociali.
b) La crisi della politica contribuisce non poco ad alimentare in tale campo una diffidenza nei confronti delle forze politiche e la mitizzazione del sociale. Questi atteggiamenti se costituiscono una sollecitazione al rinnovamento delle forze politiche, costituiscono però anche degli elementi rilevanti di ambiguità che rendono più difficile (e non meno) la costruzione di nuove soggettività.
c) La centralità che assume la crisi nella determinazione dei comportamenti sociali e l’indebolimento dell’egemonia liberista aprono nuove possibilità per l’affermazione di punti di vista critici (dalla domanda di de-mercificazione (si pensi al tema dei beni comuni e dei servizi), alle nuove istanze in tema di democrazia e partecipazione, alla riscoperta di una dimensione di classe). Non esiste, tuttavia, una cultura politica unificante.
d) I processi aggregativi avviati, spesso segnati da propensioni settarie, da tentativi di precipitazioni organizzative, da non sempre dichiarate finalità elettorali, evidenziano tutta la loro parzialità. A ciò si aggiunge l’esito deludente di alcuni processi oramai compiuti (FdS, Lista Igroia) in cui ai vizi elettoralistici si aggiungono le evidenti disomogeneità politiche.
Il percorso da attivare
Da queste brevi considerazioni derivano due conseguenze:
1. in primo luogo che, data la destrutturazione dell’attuale sinistra sociale e politica, il pensare a una rapida precipitazione nella costruzione di una nuova soggettività di sinistra è quantomeno azzardato. Essa è destinata a dar vita a soggetti fragili che si rompono di fronte alle prime difficoltà politiche e che, in ogni caso, non hanno massa critica necessaria. Né l’approccio spontaneistico, che dall’auto scioglimento dei vari soggetti fa discendere la possibilità di costruzione di una nuova forza emendata dagli errori passati e capace di grande innovazione, mi pare plausibile.
2. In secondo luogo che qualsiasi percorso implica la centralità dei contenuti e delle pratiche sociali, rispetto alla ricerca del contenitore e alle relative soluzioni organizzative. Pertanto, centrali nell’immediato sono: la scelta di collocazione politica, e cioè l’autonomia dal PD e dal centro sinistra e l’opposizione al “governissimo”; l’assunzione di una piattaforma di lotta (centrata, sul piano sociale, sul rifiuto della logica dell’austerità e quindi sulla contestazione dei vincoli europei e, sul piano istituzionale, sulla difesa della Costituzione e il rilancio del tema della democrazia); una pratica sociale che punti alla costruzione di movimenti di massa su alcuni temi.
Su quest’ultimo punto a me pare siano ormai mature, per livelli di coscienza ed estensione delle pratiche sociali, la costruzione di esperienze di massa su tre questioni:
• Il rilancio della lotta per il lavoro e il reddito. Qui la base programmatica è in larga misura definita e il soggetto naturale di riferimento è la FIOM e il sindacalismo di base. I temi vanno dal blocco dei licenziamenti, alla riduzione dell’orario, all’utilizzo degli ammortizzatori sociali, all’introduzione di un reddito di cittadinanza, a un vasto intervento pubblico per il rilancio dell’economia e la sua eco-compatibilità.
• Il secondo terreno è quello dei servizi pubblici e dei beni comuni. A questo livello il patrimonio lasciato dall’iniziativa referendaria oggi può essere ripreso in una “costituente dei beni comuni” che deve però guardare anche al grande tema della difesa dei servizi pubblici. Un campo sul quale si concentrerà, con ogni probabilità, l’offensiva del nuovo governo.
• Infine, è matura la costruzione di un movimento per la difesa della Costituzione e la sua attuazione, per il ripristino del principio “una testa, un voto”, con il varo di una nuova legge elettorale proporzionale, per l’assunzione a livello istituzionale del tema della democrazia partecipativa. Proposte come quella della “convenzione democratica” lanciata da Rodotà e Azzariti possono, a tale proposito, rappresentare un’utile indicazione.
La costruzione di un campo della sinistra di alternativa, autonomo dal centro-sinistra e suscettibile anche di trasformarsi in proposta politica ed elettorale implica, quindi, un percorso complesso, politico e sociale, che mette insieme la tessitura d’interlocuzioni, la costruzione di esperienze comuni, la partecipazione a movimenti di massa.
Il ruolo “non accessorio” di un partito comunista
Quale deve essere il compito dei comunisti in tale situazione? La premessa da cui io parto, è che, nonostante la drammaticità della situazione, esiste nel paese non solo una domanda di cambiamento, ma anche di una critica di fondo al capitalismo. L’interesse verso una critica radicale di sistema, in questo senso, si può cogliere nelle nuove generazioni, in ambienti intellettuali, nella qualità delle nuove domande sociali, nelle esperienze più avanzate del mondo del lavoro. Insomma una domanda di comunismo, per quanto incerta, esiste ed è alimentata dalla crisi. Non solo, un partito comunista organizzato e dotato di una cultura politica non effimera è essenziale in un contesto in cui, a livello politico, nel fronte dell’alternativa mancano soggetti sufficientemente strutturati, mentre la debolezza delle culture politiche è evidente anche in molti settori di movimento. La presenza dei comunisti in questa fase storica non può quindi essere considerata accessoria e, anzi, io credo essa sia – all’opposto – essenziale, un “motore” fondamentale per la rigenerazione della sinistra.
Ciò ribadito, anche i comunisti devono interrogarsi sui loro limiti. Per esempio non è più sufficiente vivere di rendita su una storia gloriosa, anche perché alcune vicende, in particolare il coinvolgimento in alcune esperienze di governo, hanno eroso non poco la credibilità costruita in tanti anni. Infine, i comunisti sono attraversati come ogni altro partito politico, da una critica di massa alla separazione fra politica e società. Si tratta di una critica ingenerosa? In parte sì, ma qualche cosa di vero c’è. Per esempio, l’impegno non sempre adeguato a livello sociale. I processi decisionali interni eccessivamente verticalizzati che vanno a scapito di un’effettiva democrazia. La eccessiva commistione fra ruoli di partito e ruoli istituzionali. Ma più di tutto, la mancata trasformazione del partito in quell’intellettuale collettivo capace di interpretare la società per cambiarla, molte volte evocato ma mai praticato effettivamente.
E’ in quest’ambito che il tema del rilancio del partito va affrontato, con la consapevolezza che non basta guardare alla sinistra da costruire, ma occorre farsi carico del partito, adeguandolo, rinnovandolo e consolidandolo, dimostrando anche il coraggio di una profonda discontinuità. Qui si apre anche la questione dell’aggregazione delle forze comuniste e anticapitaliste. A tale proposito, sarebbe tuttavia ingenuo non tener conto dell’esito negativo della FdS con ciò che questo ha comportato anche in termini di rapporti fra PRC e PdCI. E’ però vero che quell’esperienza pone tutti di fronte alla necessità di un bilancio e di una riflessione e da questa è utile ripartire.
A me pare, per esempio, che processi unitari eminentemente organizzativi, senza basi politiche solide, non portano da nessuna parte. Inoltre, che il richiamo a un’identità comune non è sufficiente se non vi sono reali convergenze sulla linea politica e sulle pratiche sociali. Ciò premesso, il punto fondamentale dal quale partire è la relazione fra la rappresentanza della domanda sociale e la mediazione politica. E qui il nodo sta, in particolare, sulla relazione con il PD e con il centro-sinistra, perché non si può eludere il fatto che è su questo che la FdS è implosa. Gli sviluppi della situazione e in particolare la nascita del governo Letta-Alfano, lasciano pochi dubbi sul fatto che la collocazione naturale dei comunisti non possa che essere di piena autonomia da questo centro-sinistra e che il loro compito, come nel resto dell’Europa, sia quello di costruire una nuova sinistra non omologata che esprima una linea alternativa di uscita dalla crisi. Se su questo obiettivo generale vi fosse sintonia, non c’è ragione per non promuovere un percorso unitario anche ambizioso.
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