Una nuova stagione, nel bene o nel male

Una nuova stagione, nel bene o nel male

di Roberto Romano – il manfesto

Nel bene o nel male si apre una nuova sta­gione. La poli­tica, i pro­blemi eco­no­mici, euro­pei e ita­liani, vivono una situa­zione ine­dita. Più che ram­ma­ri­carci della per­dita della sini­stra o del centro-sinistra, delle sue aspi­ra­zioni e della sua matrice socia­li­sta, forse si è aperta una sta­gione costi­tuente della sini­stra che a diverso titolo si richiama al socia­li­smo. Inol­tre, la crisi eco­no­mica e delle sue isti­tu­zioni, più pro­fonda e lunga di quella del ’29, costrin­gerà tutti, ma pro­prio tutti, a tro­vare un equi­li­brio superiore.

Nes­suno cono­sce l’esito finale di que­sto equi­li­brio, ma pos­siamo ben dire che le attuali isti­tu­zioni, come i loro pre­cetti, non rie­scono a gover­nare la tran­si­zione. Le rac­co­man­da­zioni del com­mis­sa­rio agli affari eco­no­mici e mone­tari, Olli Rhen, circa la man­cata ridu­zione del rap­porto debito/Pil ita­liano sono il mani­fe­sto dell’inadeguatezza delle isti­tu­zioni euro­pee. La sola ipo­tesi che il governo Letta potesse aprire una discus­sione euro­pea sul Patto di Sta­bi­lità e Cre­scita ha susci­tato una rea­zione “isterica”.

La crisi delle isti­tu­zioni euro­pee è, per quanto possa sem­brare para­dos­sale, impu­ta­bile all’assenza di una pro­pria poli­tica eco­no­mica pub­blica. L’Unione euro­pea si è carat­te­riz­zata per un insieme di norme e indi­rizzi sul fun­zio­na­mento dell’economia, ma il potere “fun­zio­nale” del bilan­cio, cioè quello di con­di­zio­nare, gui­dare e sta­bi­liz­zare l’economia, è pari allo zero. L’1% del Pil euro­peo del bilan­cio (pub­blico) è inu­tile: troppo pic­colo per inci­dere sul sistema eco­no­mico; troppo con­di­zio­nato dal finan­zia­mento degli stati. A que­ste con­di­zioni il par­la­mento euro­peo non potrà mai avere un ruolo. Del resto, se non legi­fera su impo­ste e spesa a che serve un parlamento?

Se dalla crisi si esce con mag­giore demo­cra­zia, asse­gnare all’Unione euro­pea un bilan­cio pub­blico pros­simo al 4% del Pil, con una pro­pria e ampia base impo­ni­bile (Iva?), sarebbe una occa­sione unica per adot­tare delle poli­ti­che attive per la cre­scita e la sta­bi­liz­za­zione; quindi per asse­gnare al par­la­mento euro­peo un ruolo ade­guato e pro­prio: deci­dere delle scelte eco­no­mi­che di un bilan­cio euro­peo. Diver­sa­mente rimar­reb­bero le linee di indi­rizzo e i pre­cetti che cadono sui sin­goli stati ade­renti come una clava. Alla poli­tica locale non resta che adem­piere a que­sti pre­cetti. Che pos­sono essere adot­tati in modi diversi, ma il dibat­tito poli­tico interno agli stati ade­renti all’Europa non ha nes­suna agi­bi­lità. E sap­piamo che quando si perde l’agibilità poli­tica si perde il senso e il ruolo stesso della politica.

In altre parole, oggi in Ita­lia, come negli atri Paesi euro­pei, non tro­ve­rebbe spa­zio Altiero Spi­nelli, Nenni, Delors, Mit­ter­rand, Khol, o intel­let­tuali dello spes­sore di Key­nes, Einaudi, Croce. È pos­si­bile che Rhen sia più potente dei fon­da­tori dell’Europa?

Le policy euro­pee hanno segnato la geo­gra­fia demo­cra­tica e poli­tica di tutti i paesi. Se non c’è agi­bi­lità, senza un con­sesso euro­peo all’altezza della sfida strut­tu­rale che si attra­versa, le pul­sioni e l’immaginario dei cit­ta­dini è lasciato a per­sone (i poli­tici) che vivono solo il pre­sente. Facil­mente la poli­tica diventa popu­li­sta (assenza di futuro) e il pre­sente può pren­dere tante pie­ghe quante sono le pul­sioni e i soprusi che, a torto o ragione, sen­tiamo come insopportabili.

For­tu­na­ta­mente solo in Ita­lia abbiamo dei lea­der di par­tito extra­par­la­men­tari, su cui sarebbe il caso di inter­ro­garsi, ma l’oscillazione del voto è pari solo all’oscillazione della rab­bia. Prima Ber­lu­sconi, poi Grillo, ora Renzi, sono lo spec­chio fedele dell’agibilità poli­tica euro­pea lasciata agli stati: tanti slogan.

Se in Europa è soprav­vis­suta una par­venza di socia­li­smo, non discu­tiamo (ora) di quanto sia socia­li­sta, l’elezione di Renzi, la divi­sione del cen­tro destra, per­sino la “comi­cità” di Grillo, sono un chia­ri­mento poli­tico neces­sa­rio e per alcuni versi libe­ra­to­rio. Nes­suna di que­ste scelte ha delle radici nel Nove­cento, sia essa popo­lare o pseudo socia­li­sta. Eppure uno spa­zio di pro­getto e di governo ine­dito forse la sini­stra non lo ha mai avuto così grande. Pur­troppo le pro­po­ste poli­ti­che, come i pro­getti di poli­tica eco­no­mica, sono per lo più una rispo­sta al males­sere più o meno diri­mente: red­dito di cit­ta­di­nanza, cassa inte­gra­zione, costi della poli­tica, denun­cia dei soprusi, diritto alla casa e via discor­rendo. Tutte giu­ste richie­ste e sacro­sante bat­ta­glie, ma la sfida che dovremmo affron­tare viag­gia su un’altra dimen­sione, è sfida di progetto.

Wil­liam Beve­ridge con­si­de­rava il lavoro come il fon­da­mento dello stato sociale; Key­nes ragio­nava di domanda effet­tiva; la prima demo­cra­zia cri­stiana decli­nava lo stato come agente eco­no­mico. Per chi si sente socia­li­sta pos­siamo ripren­dere una idea forte del par­tito labu­ri­sta inglese: dalla culla alla tomba. E una forza poli­tica della sini­stra non deve impe­gnarsi a denun­ciare la povertà. La dif­fe­renza tra destra, popu­li­smo e sini­stra è nella capa­cità di pro­porre solu­zioni ai pro­blemi, all’interno di un per­corso pro­gres­sivo di cambiamento.

Il nostro impe­gno deve pro­get­tare il cam­bia­mento delle isti­tu­zioni del capi­tale (euro­peo e nazio­nale). La crisi è di strut­tura. Non si tra­sci­nerà nelle forme e nei modi cono­sciuti. La forza delle idee è più potente degli inte­ressi costi­tuiti (Key­nes). Si tratta di ripren­dere il senso, oppure con­di­vi­dere un senso comune. Diver­sa­mente anche le forze sociali saranno schiac­ciate dal pre­sente. Per que­sto il con­gresso della Cgil avrebbe potuto avere un respiro pari al libro bianco per il lavoro e il piano del lavoro, ma se que­sto non è stato pos­si­bile è anche per­ché il paese e le forze poli­ti­che non hanno un pro­getto per il futuro. Tut­ta­via sap­piamo che esi­ste que­sta ela­bo­ra­zione e, con l’aria che tira, non è poco.

In Ita­lia si è avviata la chia­ri­fi­ca­zione poli­tica della destra, del cen­tro e del rifor­mi­smo libe­ri­sta. Manca solo la sinistra.


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