Il manifesto, intervista a Grassi: «Un’altra Rifondazione è possibile. Unità a sinistra e cambio di leader»

Il manifesto, intervista a Grassi: «Un’altra Rifondazione è possibile. Unità a sinistra e cambio di leader»

di Daniela Preziosi – il manifesto – Non sono molti a esul­tare per un even­tuale ritorno al pro­por­zio­nale. Ma certo fra chi esulta ci sono i comu­ni­sti del Prc, esclusi da due legi­sla­ture dal par­la­mento, e impe­gnati da venerdì 6 nel loro con­gresso, a Peru­gia. Dove rilan­ce­ranno l’idea di una «Syriza ita­liana». Sulla quale il partito è unanime, o quasi. «Una Syriza italiana va benissimo, come quello che sta avvenendo in Europa – Francia, Spagna, Germania, Portogallo, tranne che in Italia» spiega Claudio Grassi, area Essere comunisti. «Il punto è chiedersi perchè qui non avviene».

Andiamo con ordine. Per il segretario Ferrero alcuni di voi, come lei, sono più preoccupati dell’unità a sinistra che della collocazione politica. Traduco: volete riacciuffare un rapporto con il centrosinistra.

Se Ferrero intendesse l’unità con il Pd sarebbe un falso clamoroso. Se invece intende l’unità con altri pezzi di sinistra, è vero: credo che si debba provare a fare una sinistra alternativa. Nel resto d’Europa i comunisti hanno anteposto quello che unisce a quello che divide. Così sono nate aggregazioni che pesano dal 10 per cento in su. Noi invece anteponiamo quello che divide a quello che unisce. E stiamo al 2 per cento. Dobbiamo cambiare qualcosa.

Cosa deve cambiare il Prc?

Se vogliamo elencare le differenze tra noi e il resto della sinistra, l’elenco è infinito. Ma le esperienze che pure Ferrero prende ad esempio non fanno così: nel Front de Gauche francese convive il Pcf, che ha una tradizione alleantista, con Christophe Aguiton, di Attac. Se non facciamo convivere posizioni diverse in un solo soggetto, la Syriza italiana non nascerà mai. Per questo nel Prc ci vuole un ricambio, anche di gruppo dirigente.

Ci avete già provato con la Federazione della Sinistra. Ma è esplosa prima del voto.

No, Fds era un cartello elettorale ed è fallito perchè non lo si è trasformato in un soggetto politico dove contassero gli iscritti e gli elettori. Contavano solo le decisioni dei gruppi dirigenti.

Ma oggi con chi la fa, l’unità a sinistra? Ferrero dubita anche sul Pdci che in passato ha inseguito l’accordo con il Pd.

Cinque anni fa in Francia il movimento di Jean-Luc Mélenchon non esisteva. E il Pcf, dall’1,9 per cento, ha avuto coraggio e si è rivolto a tutti. Così è nato il Front, e oggi sta al 10. Se in Italia ci limitiamo a fotografare la realtà, non faremo mai nulla. Dobbiamo scommetteer sulle potenzialità che ci sono a sinistra del Pd. Lavorare a una sinistra unita, una testa un voto, e avviare un percorso che porti all’unificazione dei due partiti comunisti italiani.

Sta dicendo che teme un Prc minoritario perfino a sinistra?

Temo un Prc già indebolito che si chiude in sè anzichè cercare interlocutori. Se no con chi la costruiamo la proposta unitaria?

 

Con chi? A sinistra ci sono movimenti poco inclini ai partiti, formazioni trozkiste. E la Sel di Vendola, che non sembra interessata a questo discorso.

Dentro Sel ci sono tanti che condividono la necessità di un’aggregazione di sinistra. Rifondazione deve rivolgersi anche a loro.

A patto che non aspirino più all’alleanza con il Pd?

Guardi, oggi nessuno, nel Prc, dice che ci sono le condizioni per un accordo con il Pd. Ma se non articoliamo bene il ragionamento, non si capisce perchè siamo alleati del Pd in tante regioni. E’ vero che la politica degli enti locali è diversa da quella nazionale. Ma se stringiamo intese a livello locale, come è successo ora in Sardegna, vuol dire che non si può mettere sullo stesso piano centrodestra e centrosinistra.

Questo ragionamento è compatibile con la proposta del segretario?

Questo ragionamento è coerente con quello che è sempre stata Rifondazione: un soggetto autonomo dal centrosinistra, ma con una tensione unitaria.

Parlava di un ricambio. Vuol dire che lei non confermerà Ferrero alla segreteria?

Il ricambio è nelle cose, dopo cinque anni di risultati negativi. Non farlo significherebbe restare al punto di partenza. Prima della politica, è il buon senso che lo richiede.


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