Il problema tedesco

Il problema tedesco

di Nicola Melloni – liberazione.it

Infine, anche a Bruxelles sembrano essersi accorti che in Europa non c’è solo il problema del debito. Anzi, il problema principale si chiama Germania. Anche Draghi lo aveva intuito la settimana scorsa quando ha dovuto forzare la mano per abbassare i tassi di interesse nonostante l’opposizione di Berlino. Ora invece è la Commissione ad aprire un’inchiesta sull’eccessivo surplus di bilancia commerciale della Germania, che sfiora ormai il 7%, anche se la maggioranza di questo avanzo viene dal commercio col resto del mondo e non con l’Europa, dove è in leggero calo.

In discussione, in realtà, ci sono le basi della politica economica tedesca. Il taglio di Draghi è stato accolto con notevole isteria a Berlino: si tratterebbe di un aiuto neanche tanto nascosto ai Pigs, dando la possibilità alle banche di prendere a prestito praticamente gratis per poi magari comprare i titoli di debito di Italia, Spagna e Grecia. Dietro l’angolo, temono i tedeschi, c’è sempre lo spettro dell’inflazione. Una paura assolutamente irragionevole, senza alcuna base reale, tant’è che, invece, ci troviamo ormai in una situazione di deflazione, il passo finale dell’avvitamento della crisi con salari e prezzi a crescita negativa, meno denaro in circolazione ed economie che smettono di produrre.

Eppure a Berlino fanno orecchie da mercante. La deflazione interna è, per loro, la logica risposta agli squilibri precedenti: l’Europa del Sud ha vissuto anni di vacche grasse e ora è il momento di stringere la cinghia. Le riforme devono essere strutturali, non si può usare la leva monetaria per facilitare la crescita. Bisogna tagliare i salari e prezzi per tornare a essere competitivi sui mercati internazionali, esattamente come fece la Germania ad inizio secolo con le politiche di Schroeder. In fondo questa è stata la risposta tedesca alla globalizzazione – anche se tale attitudine tedesca risale in realtà al secondo dopoguerra. Industrie competitive, poca domanda interna – quindi risparmi e investimenti – e conquista dei mercati internazionali. Nulla di tanto dissimile, a ben vedere, da quello che fece nel passato – e riprova a fare ora – il Giappone e da quello che ha fatto la Cina negli ultimi trent’anni.

Nei casi asiatici si è spesso accusato quelle nazioni di manipolare le loro valute mettendo così a repentaglio la stabilità dell’economia internazionale, ma la Germania non fa molto meglio, come per altro segnalato dal governo americano non più tardi di una decina di giorni fa. In realtà anche Berlino è un manipolatore del commercio internazionale, anche se lo fa più spesso attraverso le politiche fiscali. Nel periodo di peggior crisi dell’Euro ha continuato con assurde politiche di austerity in Germania (!) dove le finanze pubbliche non erano affatto sotto stress, rendendo così la vita impossibile ai partner europei che si trovavano a competere con una economia più forte e che cercava di rendersi ulteriormente più forte frenando la domanda interna e quindi le esportazioni dal Sud Europa. Tale andazzo va avanti dal 2007, ma finora a Bruxelles si era preferito sorvolare – negli anni passati, curiosamente, non si erano rilevati sbilanciamenti dell’economia tedesca che erano invece chiaramente presenti.

Il problema è che la Germania non riesce neppure a capire il senso delle critiche che le vengono mosse. Cosa abbiamo fatto di male, in fondo? Risparmiamo e produciamo, vendiamo di più di quello che compriamo, tutti dovrebbero fare come noi. Il punto, però, è proprio quello: è impossibile che tutti facciano come i tedeschi, se qualcuno produce più di quello che consuma, per definizione ci deve essere qualcuno che consuma più di quello che produce. In momenti di crisi, con la domanda mondiale stagnante, è semplicemente logico che siano i più ricchi a consumare – se invece risparmiano, come fanno i tedeschi, si mette a repentaglio l’intero sistema economico. Nel mercato intra-europeo, in realtà, ci sarebbe altro da aggiungere. Se è vero, come è vero, che ci sono squilibri di natura commerciale, pare davvero assurdo pensare che questi squilibri debbano essere risolti solo da un lato, quello delle economie mediterranee. La Germania dovrebbe fare la sua parte, ma fa invece l’opposto, prolungando la recessione del Sud. A che pro, poi? Per continuare con la politica dei mini-jobs, della povertà che avanza anche in Germania, della competitività sulla pelle dei lavoratori tedeschi.

La Germania vuole essere leader dell’Europa, o almeno vuole basare le politiche europee su quelle di Berlino, ma rifiuta di prendersi le sue responsabilità. Nel passato ha rotto gli accordi europei quando era in difficoltà, ha favorito lo spostamento di capitali da Nord a Sud, indebitando le economie latine per aumentare la domanda di prodotti tedeschi durante la loro ristrutturazione economica, ma si rifiuta di fare altrettanto quando sono gli altri a dover mettere i conti in ordine in casa propria. Non si comporta da partner, ma da rivale. O accetta di far parte di un’Unione in cui si sta tutti insieme e si lavora di comune accordo, o questa Unione non ha alcun senso.


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