Intervista ad Alfio Nicotra: «Unità, rinnovamento ed Europa: ecco la ricetta per uscire dalla crisi del Prc»

Intervista ad Alfio Nicotra: «Unità, rinnovamento ed Europa: ecco la ricetta per uscire dalla crisi del Prc»

Red. Pol. – liberazione.it -

Alfio Nicotra è uno dei fondatori di Rifondazione comunista. Giornalista, pacifista, inviato a suo tempo dal partito e da Liberazione nei luoghi più caldi del pianeta, analizza lucidamente che cosa è successo dentro il Prc dopo la sconfitta di febbraio, e cerca di individuare quale potrebbe essere la soluzione per uscire da una impasse in cui si trova non solo Rifondazione ma tutta la sinistra, che in Italia, caso unico in Europa, rischia di scomparire del tutto o essere relegata definitivamente ai margini.

Alfio, anche tu, come altri esponenti del partito, avevi auspicato inascoltato un ricambio immediato del gruppo dirigente dopo l’ennesima sconfitta elettorale. Come arriva Rifondazione su questo punto dirimente all’appuntamento congressuale?
In quel Cpn del 10 marzo chiesi sia a Claudio Grassi che a Paolo Ferrero di fare “un passaggio” citando un noto film di Ken Loach (Il mio amico Eric). Non una loro messa in disparte ma al contrario la valorizzazione massima del nostro collettivo. Davanti ad una sconfitta così pesante – ho provato a spiegare – dobbiamo reagire tutti insieme, con il gruppo dirigente storico che fa un passo a lato e che unitariamente ne accompagna uno diverso, che anche nei suoi componenti non evochi immediatamente il peso di tutte le nostre sconfitte. Un segnale che i compagni attendevano e non solo all’interno del nostro partito. La revoca delle dimissioni è stata un errore, ci ha condannato a sei mesi di paralisi mentre il disorientamento del partito cresceva. Le dimissioni dovevano essere acquisite arrivando ad una soluzione unitaria che avrebbe consentito di costruire un congresso diverso dal solito, veramente partecipato dalla nostra base. Un congresso non di conta, ma nel quale ogni compagno e compagna potesse dare il proprio contributo, sentirsi coinvolto. C’è una solennità che doveva ispirare questo processo: la consapevolezza che dopo 21 anni di vita l’esistenza stessa del Prc è messa in discussione e che solo ripartendo dal nostro principale patrimonio, i compagni e le compagne appunto, si poteva evitare (e si può) l’esito più negativo. Per queste ragioni avevamo bisogno – e abbiamo bisogno – di una discussione franca e serena, scevra da attacchi personali. Ho proposto, in sede di definizione delle tesi, un preambolo, accolto solo nella parte relativa alla smilitarizzazione del dibattito, che fosse una vera e propria una dichiarazione d’intenti a favore del ricambio e dell’unità del partito, in modo che il nodo del rinnovamento fosse acquisito da tutti, dandolo per assodato. Dovevamo e dobbiamo dedicarci alla definizione della linea, alla costruzione del movimento sociale e politico contro la grande coalizione e la Troika Europea. Rinnovamento e linea politica vanno di pari passo. Chi dice prima o dopo l’una o l’altra non comprende come le due questioni siano legate l’una all’altra.

A proposito di nodi politici, si sostiene che dentro Rifondazione ci siano due culture politiche diverse: una che guarda anche all’ambito del centro-sinistra con la speranza che anche lì possa ancora succedere qualcosa di sinistra; e un’altra che invece è più attenta ai movimenti e non si aspetta nulla né da Sel, né tanto meno dal Pd e guarda più ai Cobas che alla Fiom. Che cosa pensi di questo scenario che ho descritto schematicamente ma che in qualche modo corrisponde alla realtà?
Dobbiamo evitare il dibattito per caricature. Quella che dice “vogliono entrare in Sel o nel centro-sinistra” e l’altra che sostiene “vogliono la svolta minoritaria e rifare Democrazia Proletaria”. Penso che se ragioniamo così non andiamo da nessuna parte. Questi 21 anni di Rifondazione non sono passati invano, chiunque vuole ritornare alle famiglie di origine commette un delitto e non parla alle nuove generazioni e al cuore più appassionato dei nostri militanti. Come leggere altrimenti il forte numero di astensioni nei Comitati Politici Federali davanti alla reiterazione di un congresso con tre documenti contrapposti e una “libanizzazione” ulteriore nel documento di maggioranza?E’ bene che il gruppo dirigente lo capisca: non esistono più spazi di manovra per far passare su un corpo militante generoso operazioni di vertice e di divisione del partito. Dobbiamo sapere e leggere le verità che ci sono in ognuna delle tesi, non certamente andare ad una conta muscolare. Riproporre nei termini classici la questione dei rapporti con il centrosinistra è semplicemente demenziale. Nel 2011 aveva un senso parlare di Fronte democratico con il Pd perché con quel partito avevamo in comune la difesa della Costituzione. Ora questo legame è stato stracciato, sia con l’introduzione del pareggio di bilancio nell’art. 81 della Costituzione, sia nella recente proposta di manomissione del lucchetto costituzionale rappresentato dall’art.138. Oggi possiamo parlare di fronte costituzionale di cui noi facciamo parte e di un “arco incostituzionale” di cui il Pd e Napolitano sono l’architrave. Con l’ultima crisi del governo Letta la grande coalizione si è stabilizzata, ha dato vita, in tutti i sensi, ad un progetto costituente reazionario che segue le ricette più crudelmente neoliberiste dell’Unione Europea. Basta guardare il profilo di classe della legge di Stabilità, che al di là del gioco delle tre carte propagandistico, vede il governo Letta avviare un programma di privatizzazione senza precedenti, di taglio agli enti locali e delle spese deducibili (scuola, sanità, mutui) e al contempo si vara un piano di quasi 7 miliardi di euro per acquistare nuove navi da guerra. Il nostro compito è quello di lavorare per l’unità delle forze dell’opposizione – e in questa unità vedo anche una proposta al M5S e a Sel – per difendere la Costituzione ma anche per rintuzzare le ricette della Merkel in salsa italiana. Lo so che tra le piazze del 12 e del 19 ottobre si è vissuta una contrapposizione, ma il loro successo dimostra che c’è spazio per la lotta sia democratica sia d’insubordinazione sociale. Nella piazza del 19 vedo, tra quella marea di giovani e di migranti, un potenziale di espansione enorme e farebbero bene a coglierlo anche Landini e Rodotà. Il governo Letta segna ancora di più il punto di non ritorno del Pd di quanto aveva già fatto il governo Monti. Questo sarà il Pd di Renzi e non vedo nessuna anima socialdemocratica nel Pd che si distingue dalla linea dominante. Cuperlo e Renzi la pensano allo stesso modo sulla modifica dell’art.138, sugli F35, sul pareggio di bilancio, sulle politiche neoliberiste. Alludere a parole ad un’altra forma di partito non fa di per se una linea di politica più di sinistra. Compito di Rifondazione Comunista è lavorare per ricostruire la sinistra dentro il fronte costituzionale ma ancora di più dentro quello sociale.
Dunque se si tengono fermi questi due punti di riferimento cade questo discorso delle due culture politiche, o almeno si ridimensiona….
Certo, le culture politiche sono importanti ma tutte le culture critiche del capitalismo portano oggi a prendere le distanze dal bipolarismo coatto e dal pensiero unico del mercato. Se posso fare un appunto all’emendamento che Albertini e Grassi propongono sul centrosinistra è che si omette completamente quella che ritengo al contempo una risorsa ed una speranza : il Partito della Sinistra Europea. Pur citando le singole forze politiche della sinistra europea, non si cita il soggetto che le organizza a livello continentale. Parliamo di 35 partiti, di un lavoro immenso nel metterli insieme e per darsi una linea comune. Se non affronti da questa ottica anche l’unità dei comunisti rischia di essere solo retorica. Ho firmato con molti compagni del Pdci e dei giovani Comunisti l’appello “Comincia adesso” che ha avviato in questi mesi una riflessione comune. Per questi compagni la collocazione del nuovo soggetto unitario è alternativa al centrosinistra e al Partito Socialista Europeo. Ritengo che sia un buon terreno d’intesa che può declinarsi in positivo proprio nell’appartenenza al Partito della Sinistra Europea. Occorre, anche in questo caso, scompaginare le correnti, elevando la discussione sulla nostra idea alternativa di Europa.

Questo tema potrebbe essere dirimente in occasione del voto europeo non credi?
Si tratta di una straordinaria occasione verso la quale, dal basso e con una forte partecipazione, è possibile costruire una lista unitaria della sinistra alternativa – anche con i movimenti – che non si disgreghi il giorno dopo l’elezioni. Su questo punto intanto bisogna evitare di fare come Rivoluzione civile, quando mettemmo in campo un percorso partecipato sia pur contraddittorio con “Cambiare si può” e poi invece scegliere quei pessimi accordi di vertice sulle candidature, che riuscirono a mettere fuori Lorenzo Guadagnucci, uno dei pestati della Diaz, e dentro il poliziotto contrario al reato di tortura testa di lista in Toscana. E’ evidente che così facendo hai deciso semplicemente di neanche provarci a prenderlo il quorum. Insieme ad Acerbo non ho votato a favore delle liste di Rivoluzione Civile perché i difetti si vedevano già dal manico. Proprio per questo bisogna evitare gli errori, costruendo intorno alla nostra proposta un clima positivo. Con rammarico constato che Sel ha deciso di appoggiare come candidato alla presidenza della Commissione Europea il socialdemocratico Shultz che proprio in questi giorni ha dato il suo via libera al governo con la Merkel. Sel ha deciso di fare una lista elettorale con il partito di Nencini, detentore del simbolo del Pse. Mi sembra una scelta sbagliata e che, come è avvenuto in molti luoghi per le amministrative, è destinata ad aumentare il dissenso fuori e dentro questa formazione. La nostra proposta deve parlare anche a questo dissenso, anche se non nego che sarei felice che ci fosse un ripensamento dell’intero gruppo dirigente di Sel. Mi auguro che la sempre più probabile candidatura del compagno Alexis Tsipras alla presidenza della Commissione Europea contribuisca ad unire la sinistra in una unica lista.

Puoi dirci il tuo orientamento sugli emendamenti sul rinnovamento presentati al documento n.1?
Ripeto, non da adesso mi sono schierato per il rinnovamento del gruppo dirigente. Lo ritengo fondamentale anche per recuperare la nostra agibilità nel movimento. Sono contrario alla personalizzazione di questa battaglia politica contro Paolo Ferrero come a tratti appare nell’emendamento Albertini/Grassi. Uno dei limiti della Rifondazione è stata proprio l’incapacità di costituire gruppi dirigenti come intellettuale collettivo. Il rinnovamento e la selezione dei gruppi dirigenti è avvenuto esclusivamente per strappi, per scissioni, per emarginazioni, per cooptazioni, per amicizie o per correnti. Per questo penso che l’emendamento Albertini/Grassi possa essere votato solo insieme all’emendamento Mainardi che ho sottoscritto perché mette a tema la degenerazione correntizia che l’altro emendamento colpevolmente omette. Il primo senza il secondo rischia di peccare di strumentalità. Comunque prevedo che il tema del rinnovamento sarà uno dei risultati ineludibili del processo congressuale. Spero – e mi batterò per questo – che questo avvenga nell’unità e senza capri espiatori.

Alfio, che previsioni fai per l’esito del congresso?
Posso dirti il mio auspicio: un confronto libero tra comunisti e comuniste, senza infingimenti e doppi fini. Certo non abbiamo cominciato bene ma c’è tutto il tempo per correggere il tiro.

Volevo soffermarmi un momento su Maurizio Landini. Molti auspicherebbero una sua discesa in campo e ad onor del vero da tempo si comporta come un leader politico e non soltanto sindacale. Che cosa ne pensi?
Landini è sicuramente una persona popolare, nella sinistra di alternativa ma anche nell’opinione pubblica. E’ uno dei pochi che riesce a far parlare di lavoro e della drammatica situazione dei lavoratori quando va in televisione. Sul 19 ottobre non ha però compreso che c’è una generazione precaria che cerca un suo protagonismo e che neanche la Fiom, così com’è strutturata, riesce a fare da sponda. Penso che non esistono, a sinistra, salvatori della patria. Non ci sarà il “conducator” che ci porta fuori dalle difficoltà in cui ci siamo cacciati. Dobbiamo agire come collettivo e capire che, nella titanica impresa di rimettere in piedi una sinistra degna di questo nome, tutti siamo fondamentali ma nessuno è indispensabile. Senza lotte e una nuova stagione di protagonismo sociale ci mancherà sempre la massa critica da cui ripartire. Non mi sfuggono però i segnali positivi – non solo le due piazze del 12 e 19 – come nelle ultime amministrative, dove a Pisa, a Siena, a Messina, ad Ancona sono state fatte esperienze di poli di sinistra e dei beni comuni, molto positive. Questo dimostra che lo scongelamento del bipolarismo che si è avuto nelle elezioni del febbraio scorso, con otto milioni e mezzo di voti che hanno votato M5S, non è in tempi brevi rimarginabile. Questi milioni di elettori possono anche, se trovano un progetto credibile, orientarsi verso soluzioni di sinistra come avviene in tutta Europa. Da questo punto di vista ci sarebbero tutte le condizioni perché il nostro progetto possa marciare. Ovviamente senza gelosie di partito perché dobbiamo tener presente che con i sistemi elettorali che si inventeranno sarà necessario fare liste di sinistra, aperte, anche di tipo nuovo. Ma, ripeto, la nostra utilità sociale la si misura prima nella capacità di radicamento nella società, nelle lotte e poi ovviamente anche alle elezioni. Cercherei di affrancarmi dal “cretinismo parlamentare” come lo chiamava il vecchio Lenin, per partire dalla nostra ragione sociale, cioè quello di organizzare il punto di vista dei lavoratori, delle giovani generazioni per un altro mondo possibile, immaginabile, fuori dal capitalismo.


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