La Linke presenta un dossier per sfatare la leggenda Merkel

La Linke presenta un dossier per sfatare la leggenda Merkel

di Tonino Bucci – liberazione.it - 

Di lei si dice che sia la donna più potente d’Europa. E, in effetti, non si può proprio sostenere che sia l’ultima ruota del carro. Gode fama d’essere una mosca bianca perfino nel suo partito, una progressista tra i conservatori. Angela Merkel non ha il volto becero della destra xenofoba e neppure quello dei peggiori tecnocrati. In otto anni di governo – la metà dei quali in coabitazione con i socialdemocratici – ha messo la sua firma sul sussidio per le famiglie e sullo smantellamento del nucleare. Sotto la sua guida la Germania si è accreditata come uno dei pochi paesi sfuggiti alla crisi. Mai come oggi l’economia tedesca è vista come una potenza solida, costruita su un sistema industriale in grado di competere ed esportare a livelli da prima della classe. Ovunque, l’immagine della Germania targata Merkel è quella di un paese – unico fra tutti gli altri – in grado di creare posti di lavoro. Lo dimostra il fatto che nello scorso anno la sola emigrazione italiana verso la Germania è aumentata del 40 per cento. Ben 42mila connazionali hanno varcato il confine nel 2013. Tra loro non ci sono solo cervelli, ma anche lavoratori senza qualifica che partono, valigie in mano, per fare l’aiuto in cucina o il cameriere.

All’estero l’immagine di Angela Merkel inizia però a scricchiolare, soprattutto nei paesi che pagano il prezzo più alto a causa delle politiche di austerità dell’Ue di cui la cancelliera è una delle principali sostenitrici. Lo scorso anno, quando si recò in visita in Grecia, fu accolta da manifestanti con cartelli sui quali era raffigurato il volto di Angela Merkel ritoccata con i baffetti alla Hitler. Non si può dire, invece, lo stesso dell’immagine di cui la cancelliera gode in patria. Nessuno osa metterne in dubbio le capacità. Lo sa bene il suo principale avversario, lo sfidante socialdemocratico candidato alla carica di cancelliere, Peer Steinbrück, staccato di una ventina di punti nel gradimento degli elettori tedeschi. La sua rincorsa, a giudicare dai sondaggi, non ha finora prodotto risultati significativi. Lei è sempre lì davanti. Il consenso di Angela Merkel si mantiene stabile ormai da tempo. Neppure lo scandalo sullo spionaggio dei servizi americani ai danni dei cittadini tedeschi ha danneggiato la sua immagine.

Chi prova a sfatare la leggenda della Merkel è la Linke che ha presentato ieri un dossier sugli otto anni di governo della cancelliera e che, a leggerlo, spazza via molte delle credenze sul miracolo tedesco. Un bilancio che potrebbe essere riassunto in cifre. Negli ultimi otto anni sono “comparsi” un milione e trecentomila Aufstocker, nome in gergo per persone con redditi esigui che integrano lo stipendio con i sussidi dei Jobcenter. Segue poi il popolo dei minijob, 7 milioni di cittadini tedeschi che lavorano con basse retribuzioni e 800 mila lavoratori interinali. A oltre vent’anni dalla riunificazione, 3 milioni e duecentomila tedeschi dell’est sono oggi a rischio di povertà. Angela Merkel – si legge nel dossier della Linke – ha «ostacolato l’introduzione del salario minimo istituito per legge, come esiste oramai in 21 dei 28 paesi dell’Unione europea. In un’interrogazione parlamentare il governo ha confermato che lo stato dal 2007 al 2011 ha speso complessivamente 53 miliardi per integrare i bassi salari con Hartz IV (il sussidio sociale, ndr). Merkel vuole continuare a sovvenzionare con i soldi dei contribuenti le imprese che pagano salari da fame». Il numero dei cittadini tedeschi che ormai rientrano in questa categoria è arrivato a oltre un milione e trecentomila, in maggioranza donne. La proposta della Linke nella campagna elettorale è di introdurre per legge un salario minimo di dieci euro all’ora, il che avrebbe come effetto di spostare verso i redditi da lavoro 26 miliardi di euro.

Un aspetto in genere sottaciuto è che la competitività del sistema tedesco è stata costruita in questi anni sulla diffusione del lavoro precario e la compressione dei salari. «Con la Merkel la quota delle basse retribuzioni è aumentata in maniera massiccia. Soltanto dal 2005 la cifra dei minijob è salita da 6,5 a 7,4 milioni». «La Germania ha uno dei più estesi settori di bassi salari in Europa. Il 24,1 per cento di tutti gli occupati (circa sette milioni di persone) lavorano in Germania con una bassa retribuzione. Nel 2005 questa quota si fermava al 22,6». Il risultato è che mai come oggi molti tedeschi sono costretti a fare il secondo lavoro. «Alla fine dello scorso anno oltre due milioni e seicentomila persone hanno integrato il reddito della loro occupazione principale con un minijob – cioè 59.000 in più (il 2,3 per cento) rispetto all’anno precedente». Anche il numero dei lavoratori interinali è esploso, da 465 mila che erano nel 2005 a 822 mila nel 2012».

Parla chiaro anche il bilancio delle politiche di austerità nell’Ue che la Germania della Merkel (ma non solo) sostiene: 4500 miliardi di euro regalati alle banche per il loro salvataggio e 19 milioni di disoccupati. Questo è il conto delle ricette messe in campo per ridurre i debiti pubblici dei paesi europei. Ma quel che dovrebbe far riflettere è che i debiti pubblici cominciano a salire solo dopo l’esplosione della crisi finanziaria nel 2008-2009 e non prima, come erroneamente i teorici dell’austerity sostengono. Ma questa è una favola ancora più grande di quella narrata in otto anni da Angela Merkel.


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