Lacrime vere e lacrime di coccodrillo

Lacrime vere e lacrime di coccodrillo

di Bruno Steri
“Hanno alzato il tiro: è il segno che la situazione sta peggiorando”. Così mi dice per telefono il mio amico Kamal, comunista algerino, commentando l’uccisione di Chokri Belaid, capo dell’opposizione tunisina e segretario del Partito dei Patrioti Democratici (la coalizione in cui convergono le forze della sinistra laica). La voce del mio amico esprime rabbia e preoccupazione. E c’è da capirlo: è il medesimo sentimento di quanti ora tornano a riempire le piazze tunisine gridando la loro indignazione per  l’assassinio di uno stimato leader della sinistra. Si tratta solo dell’ultimo di una serie di episodi di violenza squadrista, di cui sulla stampa italiana non si è avuta notizia ma che hanno caratterizzato il clima politico di questi ultimi mesi in Tunisia: un escalation di intimidazioni, aggressioni, uccisioni ai danni di esponenti della società civile, giornalisti, studenti laici, studentesse che rifiutano di coprirsi il volto con il velo. Sono le imprese compiute in nome del fanatismo religioso dai cosiddetti Comitati per la Difesa della Rivoluzione, frange dell’islamismo radicale da cui Ennahda, il partito degli islamici moderati oggi alla testa del governo, formalmente si dissocia ma che di fatto (come denunciava lo stesso Belaid) esso copre e utilizza.
Due anni fa, proprio da questo Paese maghrebino divampò l’incendio della Primavera araba: all’indomani del 17 dicembre 2010, giorno in cui un giovane disoccupato – Mohamed Bonazizi – si diede fuoco in strada, le piazze tunisine furono invase dalla “Rivoluzione dei gelsomini”. Nel giro di un mese, a metà gennaio 2011, l’autocrate Ben Ali dopo ventitré anni di ininterrotto potere fu costretto a riparare in Arabia Saudita. Ad ottobre, era già costituito il nuovo Parlamento ed insediato un nuovo governo, guidato appunto dal partito di maggioranza Ennahda. L’avvocato Chokri Belaid, laurea in giurisprudenza con specializzazione a Paris 8, già attivo nell’Union générale des étudiants de Tunisie, con la medesima tenacia con cui si era battuto nel movimento contro Ben Ali ha continuato ad opporsi da leader della sinistra a Ghannouchi, segretario di Ennahda. Come non aveva simpatie per le autocrazie borghesi, così ha continuato contrastando duramente il fanatismo destrorso degli islamici (anche se mimetizzato dietro il bon ton istituzionale dei nuovi governanti). Belaid era un figlio genuino della rivoluzione tunisina, la “vera rivoluzione”, quella dei quartieri poveri dove lui stesso era nato. Come mirabilmente annota Domenico Quirico, “stava preparando la seconda rivoluzione, non più quella dei figlioli della borghesia in cui l’impeto ribelle si esauriva in un twitter (…); era la rivoluzione dei senzatutto, delle banlieues sommerse dall’immondizia, dei disoccupati (…), degli operai di un’industria che paga salari da fame per riempire le saccocce alle delocalizzazioni comode dell’Occidente”.
Per questo era scomodo, per questo è stato ammazzato. Oggi lo piangono i media dell’Occidente: quelli stessi che hanno osannato gli interventi in Iraq, Afghanistan, Libia, Mali, mantenendo un ambiguo rapporto con l’islamismo integralista e,di fatto, spianando la strada in Medio Oriente e in Africa a salafiti e figliocci di Al Qaeda. Lacrime di coccodrillo. Lacrime vere sono le nostre: della sinistra, dei comunisti.


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