
Giorgio Parisi: La reintroduzione del nucleare non è la soluzione
Pubblicato il 31 lug 2025
Trascrizione, rivista dall’Autore, della introduzione del Professor Giorgio Parisi (Premio Nobel per la Fisica 2021) al webinar “Energie rinnovabili per l’autonomia energetica, il nucleare che c’entra?” organizzato dal Comitato SI’ alle rinnovabili NO al nucleare il 14 aprile 2025, pubblicata nella rivista trimestrale Alternative per il Socialismo n. 77 di imminente uscita.
Giorgio Parisi
La reintroduzione del nucleare non è la soluzione
La questione fondamentale, che vorrei subito porre in chiaro,[1] perché è importante anche dal punto di vista politico, è che noi, la sinistra, tutti quelli che si appongono al nucleare, devono evitare di presentarsi come il gruppo delle persone che dicono no a tutto. Cosa che non è assolutamente vera, ma è il modo con cui la stampa di destra tenta di presentarci. Dobbiamo invece fare capire che c’è un piano, c’è qualcosa di diverso che si può fare. Ma questo qualcosa di diverso ha bisogno di cominciare ad essere attuato, perché è evidente che se la situazione continua come adesso e non si fa niente, ci possono essere in futuro dei problemi molto seri per quanto riguarda l’energia. Certamente non andremo nella direzione di una diminuzione della CO2 se restiamo con le mani incrociate, dobbiamo fare capire e dimostrare che iniziative diverse in campo energetico sono possibili.
La prima cosa che vorrei accennare molto velocemente – perché non ho le competenze né la capacità per fare di più, né mi sento sufficientemente preparato sull’argomento – riguarda il quadro generale del risparmio energetico. La domanda di energia non è qualcosa che si presenta come naturale, per cui in Italia dovremmo consumare per forza una certa quantità di energia. Questa dipende da quello che facciamo, da quanti sprechi vengono effettuati e di quanto siamo in grado di migliorare la situazione.
Contenere il consumo di energia
È chiaro che se diminuiamo il bisogno di energia di un gigawatt abbiamo bisogno di costruire un impianto di produzione di energia per un gigawatt di meno. Quindi ridurre la produzione di consumo energetico è qualcosa che da un lato diminuisce enormemente tutto lo stress e tutte le difficoltà di assicurarsi la produzione di energia in maniera pulita, senza CO2, e dall’altro canto ha un vantaggio estremamente importante che è costituito dal fatto che la maggior parte degli interventi che tendono a migliorare il risparmio energetico sono anche quelli stessi che migliorano la qualità della vita.
Facciamo un esempio tra i più semplici: i trasporti. È chiaro che noi impieghiamo una enorme quantità di benzina per i trasporti individuali. Passare da trasporti individuali a trasporti collettivi, possibilmente non soltanto in Italia, non solo diminuisce la quantità di benzina da acquistare, ma permette anche di migliorare la qualità della vita, perché le persone invece di stare su trasporti privati nel caos del traffico possono muoversi su trasporti pubblici.
Gli stessi vantaggi, o del tutto analoghi, si hanno diminuendo il consumo energetico delle industrie. Ovviamente per diminuirlo bisogna rifare molto spesso ex novo o parzialmente gli impianti produttivi, modernizzandoli, il che porta a dei vantaggi ambientali, perché i nuovi impianti potrebbero essere sicuramente meno inquinanti.
Aumentare la coibenza delle case
Un’altra cosa molto importante che abbiamo già visto nel passato, perché se ne è discusso ma si è fatto ancora pochissimo, è aumentare la coibenza delle case, per evitare d’inverno la perdita di calore delle case verso l’esterno o, d’estate, annullare o almeno limitare quello che va verso l’interno. Migliorare la coibenza permette di diminuire gli impianti di riscaldamento, limitare nel tempo il loro funzionamento, quindi la quantità di metano usato nelle case. In questo modo si può diminuire, anche se lievemente, l’inquinamento prodotto nelle città dal consumo del gasolio. Come abbiamo visto anche la diminuzione dei trasporti va nella stessa direzione.
È evidente che tutte queste cose devono essere progettate e realizzate in modo che siano efficaci. I dati mi pare confermino che il piano del 110 per cento che è stato fatto nel passato si sia rivelato un grosso spreco. Se bisogna coibentare quasi tutte le case d’Italia, nelle città e fuori, bisogna pensare a qualcosa di diverso rispetto a quello che è stato fatto. E’ necessario che le ditte, siano esse controllate, anche se parzialmente, dallo Stato, come quelle private svolgano i lavori a prezzi ragionevoli, ricevendo, per un certo periodo di anni, una percentuale sui soldi che vengono risparmiati grazie a una minore necessità di riscaldamento. Non si può immaginare di fare questa cosa mediante 10mila piccole industrie che fanno impianti per conto loro, senza alcun controllo e verifica da parte del pubblico.
I costi e i rischi del nucleare
Arriviamo ora al tema del nucleare.
È evidente che noi dobbiamo cominciare a parlare di nucleare facendo confronto tra il nucleare e le altre energie rinnovabili che ci sono, l’energia solare in particolare e anche l’energia eolica. L’energia eolica probabilmente non è estremamente importante per quanto riguarda l’Italia rispetto al solare, per via della configurazione del nostro paese – fatta eccezione per alcune zone – ove la possibilità di impiantare pale eoliche è relativamente limitata.
Quindi cercherò di concentrarmi sul fotovoltaico. Quello che è assolutamente evidente da tutte le stime di costi che sono state fatte è che l’energia prodotta da un impianto nucleare viene a costare sui 150 euro al megawatt, mentre quella prodotta dal solare è di tre volte inferiore. Una simile differenza è qualcosa enorme dal punto di vista industriale, quindi è evidente che non c’è nessun motivo per cui si possa pensare che il nucleare sia conveniente dal punto di vista dei costi. La mia impressione è che anche il governo abbia qualche esitazione a dire che il nucleare costa di meno del solare.
Poi non dobbiamo dimenticare mai gli incidenti che sono occorsi nel passato in alcune centrali nucleari. Ci dicevano prima del disastro di Chernobyl, nel 1986, che non sarebbe stato possibile avere un incidente tipo quello che poi effettivamente si verificò a Chernobyl. Così come sostenevano prima dell’incidente di Fukushima, nel 2011, che non era possibile avere incidenti di quel genere, che ormai quello che era successo a Chernobyl apparteneva al passato, mentre invece quello che è successo a Fukushima – 25 anni dopo! – è stato un incidente molto brutto paragonabile a quello di Chernobyl. Quest’ultimo ha provocato un certo numero di morti che sono difficili da calcolare, ma certamente le migliaia di morti si sono poi verificate a causa dei tumori dovuti alla radiazione devono essere in qualche modo stimate. Senza contare che ci sono ancora quasi 3000 km quadrati intorno alla centrale che sono tuttora inabitabili. Provate a immaginarvi una zona di 3000 km quadri in Italia, ad esempio nella pianura padana, che diventa inabitabile: il danno di una cosa di questo genere sarebbe completamente assurdo e incalcolabile.
Ed anche a Fukushima c’è stata una evacuazione forzata. Quante siano state le morti, non tanto dovute all’incidente, al danno di radiazione, ma a effetti indiretti dell’evacuazione forzata non è chiarissimo. Ci sono fonti che oscillano intorno ai 300 morti, altre che ne conteggiano 1000 o 2000, ma in ogni caso l’evacuazione forzata che è stata fatta a Fukushima è stata qualcosa di estremamente grave. Il costo dello smantellamento è enorme e ci sono ancora quasi 400 km quadrati che sono inabitati.
Le conseguenze di un incidente nucleare crescono nelle zone più popolate
Quello di cui bisogna rendersi conto, quando si mette sul piatto della bilancia gli svantaggi e i vantaggi del nucleare, è che gli svantaggi che possono derivare dal dovere gestire un incidente tipo quello di Chernobyl o quello di Fukushima, o anche di scala molto più piccola, dipendono dai costi materiali, umani e sociali, i quali sono determinati essenzialmente da quanto una determinata zona è antropizzata, cioè da quanto è popolata. Quello che è successo sia a Chernobyl che a Fukushima è avvenuto in una zona che aveva una densità di popolazione di 10-20 volte inferiore a quella del pianura padana o di altri possibili siti italiani, come nel Lazio. Quindi i danni di Chernobyl e Fukushima sono stati certamente molto inferiori di quelli che potrebbero verificarsi in una qualunque parte del nostro paese.
Quello che avverrebbe a seguito di un incidente tipo Chernobyl in Italia, probabilmente potrebbe comportare uno spostamento dell’ordine di circa un milione di persone, cosa che sarebbe praticamente impossibile. La nostra situazione è del tutto diversa da quella di altri paesi europei, come la Francia e anche la Germania, che hanno una densità di popolazione assai minore, specialmente in certe zone. Moltissime delle centrali francesi e tedesche sono state insediate in zone in cui i danni potenziali, in caso di incidente, potevano essere considerati bassi.
Dal punto di vista del rapporto costi-benefici, l’Italia è certamente il posto peggiore, escluso forse i Paesi Bassi, per costruire degli impianti nucleari perché è un paese tutto ad alta densità di popolazione. Dal punto di vista europeo gli impianti nucleari vanno messi in zone a bassa densità, non in zone ad alta densità. Quindi l’Italia non è certamente il posto adatto.
Le obiezioni al ricorso all’energia solare
Giunti a questo punto si può ben capire che uno si possa domandare perché mai dovremmo insediare nuovi impianti nucleari e non invece puntare sul solare? Le risposte, grossomodo, che sento venire dai sostenitori dell’energia nucleare sono di vario tipo. La prima è che non ci sarebbe posto sufficiente per fare il solare in Italia. Ovvero che il posizionamento dei pannelli fotovoltaici comporterebbe un consumo di suolo troppo elevato. L’altra obiezione che spesso viene fatta è che il solare fornisce energia non in modo continuo ma intermittente, mentre abbiamo bisogno di un flusso di energia che non subisca interruzioni.
In entrambi i casi non siamo affatto di fronte a obiezioni insormontabili. Per quanto riguarda l’Italia, basta andare su Google Map, guardare con attenzione le immagini satellitari e ci si accorge immediatamente che le case delle città generalmente non hanno i tetti coperti da impianti solari. La percentuale di pannelli fotoltaici installati sui tetti delle città è estremamente bassa. Basterebbe elevare sensibilmente la quantità di pannelli installati sui tetti, anche solo delle case nelle città, che si farebbe un grande passo avanti.
Ma ci sono anche altre possibilità non ancora sfruttate. Tutti i milioni di edifici residenziali che stanno in Italia forniscono una quantità di spazio molto grande dove possono essere piazzati serie di pannelli solari. O ancora, per esempio, i capannoni industriali potrebbero fornirci un’altra occasione per incrementare la presenza del fotovoltaico. Attualmente però, se ricordo bene, solo il 7% dei capannoni industriali è dotato di pannelli solari, mentre potremmo moltiplicare queste cifre di un fattore almeno pari a sei. Ci sono tutta una serie di infrastrutture pubbliche, come le aree dedicate ai parcheggi, gli ex siti industriali e altro ancora: in tutti questi luoghi si possono mettere dei pannelli. Gli edifici pubblici, le scuole, i ministeri, le province, possono installare dei pannelli solari. Ora solo il 3% delle scuole ha pannelli solari installati.
L’utilità di sviluppare l’agrivoltaico
Un’altra possibilità – e qualche cosa si sta già facendo in questo campo, ma in modo insufficiente – ci viene offerta dall’agrivoltaico. Non è vero che l’impianto di pannelli solari sottrae completamente il terreno agricolo all’agricoltura. L’agrivoltaico, se fatto in maniera intelligente può essere estremamente utile perché è provato che l’agricoltura convenzionale e il solare possano coesistere. Ci sono tutta una serie di studi che ci dicono che, per un certo tipo di coltivazioni, specialmente per i prodotti dell’ orto, che hanno bisogno di una grande quantità di acqua e non hanno una necessità enorme di esposizione al sole, l’installazione di pannelli fotovoltaici, che riduce parzialmente l’esposizione al sole, crea un ambiente che può essere più favorevole alla crescita di un certo numero di piante, utilizzando nel contempo una minore quantità di acqua, cosa che non sarebbe nemmeno male dal momento che, come noi sappiamo, stiamo andando nella direzione di una ricorrente siccità.
La questione dei costi del fotovoltaico
Un altro elemento che va preso in considerazione sono i costi del fotovoltaico. Una delle cose che viene normalmente agitata come uno spauracchio è il fatto che i moduli del fotovoltaico devono essere importati dalla Cina, quindi noi staremmo facendo un enorme favore a questo paese, che non rientrerebbe nell’ambito dei paesi amici, anzi da più parti viene considerato come un nemico potenziale. In ogni caso il problema sarebbe che dobbiamo importare la strumentazione per il fotovoltaico dall’estero, e questo peserebbe sulla nostra bilancia dei pagamenti in modo seccamente negativo.
Ma le cose non stanno esattamente così. Naturalmente i costi variano a seconda del tipo di modulo fotovoltaico che si intende prendere, poiché vi è differenza fra moduli fotovoltaici per le case e moduli fotovoltaici per un utilizzo industriale, ma grosso modo possiamo dire che il costo del modulo fotovoltaico incide del 20-30%, mentre quello che determina il costo complessivo in modo prevalente sono altri fattori, tra cui ciò che serve, e in modo particolare il lavoro, per montare il tutto e rendere l’impianto perfettamente funzionante. Quindi i costi degli impianti fotovoltaici, dipendono relativamente poco dall’importazione.
Anche per quanto riguarda la produzione di silicio al momento attuale la Cina mantiene una posizione dominante e pensare di competere con il Dragone in questo campo appare assai difficile, visti i prezzi cinesi, ma dobbiamo tenere conto che appunto una parte importante del costo di un pannello solare viene dal montaggio.
Noi in Italia abbiamo una gigafattoria che l’Enel ha impiantato in Sicilia, che si può anche espandere, in cui vengono montati pannelli solari su wafer di silicio importati dalla Cina, quindi il grosso del costo del solare deriva da un lavoro che viene fatto in Italia, non viene importato dall’estero. La situazione è completamente cambiata rispetto a quella di una decina di anni fa in cui i pannelli solari costavano tantissimo mentre poi l’installazione costituiva un costo marginale. In ogni caso il costo dei pannelli solari sta diminuendo al ritmo del 5% l’anno, quindi in pochi anni si abbasserà sempre di più e questo è del tutto evidente perché tutte le cose che vengono prodotte su grandissima scala tendono a costare sempre di meno.
L’Italia gode di una grande esposizione al sole
Un’altra ragione per cui è importante puntare sul fotovoltaico è che l’Italia è un posto eccezionale per sfruttare l’energia solare, in quanto ha una quantità di esposizione alla luce del sole molto maggiore della Germania, quindi lo stesso impianto solare installato in Italia produce il 40% di energia in più rispetto alla Germania e circa il 25% in più rispetto alla Francia. Rispetto alla Spagna o alla Grecia siamo invece più o meno agli stessi livelli. Se guardiamo le cose da questo punto di vista sarebbe completamente folle trovarsi nella situazione in cui si installa il solare in Germania e non in Italia e, viceversa, si vuole rimettere il nucleare in Italia e lo si dismette in Germania. Nonostante tutto questo la Germania ha impianti per 70 gigawatt installati di solare mentre noi siamo fermi a 30. Quindi malgrado che noi siamo effettivamente migliorati, non siamo ai livelli tedeschi, anzi stiamo molto peggio.
I reattori nucleari di quarta generazione
Veniamo allora al fatto che ci dicono che il nucleare di adesso è completamente diverso da quello di una volta. Ma è vero? E’ completamente diverso? Questo non è affatto chiaro. Quello di cui si parla è di potere costruire i reattori nucleari di quarta generazione.
Certamente i reattori nucleari di quarta generazione hanno tutta una serie di vantaggi rispetto a quelli vecchi. Il vantaggio principale del nucleare di quarta generazione è che viene utilizzato essenzialmente con neutroni veloci e questi permettono – per motivi tecnici, che non è essenziale qui esaminare in dettaglio – che molte delle sostanze radioattive che fanno parte delle scorie nucleari vengano degradate dentro il reattore. Quindi il plutonio, che è la cosa più pericolosa per quanto riguarda la conservazione negli impianti e nei siti delle scorie nucleari, verrebbe utilizzato dentro i reattori di quarta generazione come combustibile. Perciò a questo punto il problema di avere grandi quantità di scorie nucleari, che è uno degli aspetti più delicati dei vecchi reattori, sarebbe molto diminuito usando un reattore di quarta generazione.
In teoria però. Il problema è che non c’è nessun reattore di quarta generazione che è commercialmente operativo al momento. Ci sono dei prototipi sperimentali che sono in fase di test, ma non ci sono reattori funzionanti. Ci sono almeno una decina di progetti diversi con tecniche differenti per questi reattori di quarta generazione, ma finché non vengono messi alla prova non si può dire che funzionino.
Il fallimento del Superphénix
Io vorrei ricordare a tutti il caso del famoso Superphénix (Spx), costruito dalla Società elettrica francese (Edf), con la partecipazione cospicua, circa un terzo dell’intero investimento, da parte dell’Enel, con la promessa di ricevere in cambio un terzo dell’elettricità che il reattore avrebbe prodotto. Alla fine quindi anche l’Enel ci ha perso un bel po’ di soldi.
Si tratta di un reattore che è stato costruito dal 1976 al 1985, quindi la sua costruzione è cominciata circa una cinquantina di anni fa ed è stata conclusa quaranta anni dopo, è costato l’equivalente di 20 miliardi di euro di adesso e ha avuto tutta una serie di incidenti. Nell’anno in cui ha funzionato meglio ha prodotto circa meno del 10% dell’energia che doveva produrre e poi dopo 12 anni di attività, in cui ha lavorato di fatto solo per qualche mese, è stato chiuso.
Quali erano i motivi di questo flop? La ragione stava nel fatto che tutte le tecniche che si basano su neutroni veloci non possono usare l’acqua come moderatore, mentre queste centrali nucleari hanno bisogno di qualcosa che porti via il calore dal nocciolo verso l’esterno e normalmente si usa l’acqua. Ma l’uso dell’acqua rallenta enormemente i neutroni, quindi un reattore a neutroni veloci non può usare l’acqua, deve ricorrere ad altre sostanze.
Per esempio, Superphénix aveva fatto la scelta di usare del sodio fuso, mentre ci sono altri reattori puntano sul piombo fuso. Ma sia il sodio fuso che il piombo fuso sono da un lato delle sostanze molto corrosive dal punto di vista chimico e dall’altro lato devono essere impiegate a temperature di varie centinaia di gradi. Superphénix è morto per un problema molto semplice, che non si è riusciti a costruire delle tubature adatte a reggere l’urto, nonostante si dicesse che tutto il resto funzionava bene.
La cosa non deve stupire perché dentro il reattore veloce la quantità di materie radioattive che circolano è altissima, quindi le tubature e tutti i materiali vengono fortemente danneggiati dalle radiazioni con la conseguenza che ci possono essere fughe di materiale radioattivo. Finché non si prova che i reattori di nuova generazione possono funzionare bene e senza incidenti, si rischia che il prototipo commerciale possa metterci una decina d’anni prima che si possa convintamente dire se le cose vanno bene o non vanno bene. Perciò i reattori di quarta generazione costituiscono un progetto per un futuro estremamente lontano.
I mini reattori
Viene avanzata anche la proposta dei mini reattori. Questi non sono particolarmente diversi dai reattori che ci sono adesso. L’unica cosa è che essendo dei reattori relativamente più piccoli, hanno un fattore di sicurezza più elevato, dunque è meno facile che possano avere incidenti. Ma i mini reattori non possono essere qualificati come di quarta generazione, fanno parte della vecchia generazione; solo che, si dice, potrebbero costare di meno perché questi reattori vengono costruiti in serie. Si farebbero degli impianti, non proprio con catena di montaggio, ma quasi, per costruire questi reattori. Quindi il progetto, la sua realizzazione e tutto quanto connesso dovrebbero essere estremamente più semplici. Ma anche in questo caso la diminuzione del costo dei mini reattori la si potrà verificare solo una volta che si incomincia ad effettuare la produzione. Persino negli Stati Uniti c’è una certa esitazione a investire nei mini reattori perché non è evidente che possa essere conveniente rispetto al solare.
Il nucleare che abbiamo adesso non è particolarmente nuovo rispetto a quello vecchio e quindi non siamo in una situazione grandemente diversa da quando vennero fatti e vinti i referendum nel 1987[2]. Quindi, riassumendo: i reattori di quarta generazione non ci sono; il primo tentativo di fare reattori di quarta generazione, essenzialmente il Superphénix, ha avuto un pessimo esito ed ha fatto una brutta fine; i mini reattori dovrebbero essere un pochettino più sicuri e dovrebbero potere costare un po’ di meno, ma anche qui finché non si procede nella loro effettiva costruzione, finché non li si mette alla prova, è ben difficile considerarli un approdo sicuro.
Fatemi fare, per quanto riguarda il tema della sicurezza, una considerazione generale, attraverso un paragone con gli aerei. I primi aerei che volavano, non solo precedentemente alla prima o alla seconda guerra mondiale, ma anche nel dopoguerra erano aerei che cascavano abbastanza frequentemente. Gli aerei di adesso hanno una sicurezza incredibilmente elevata rispetto a quella degli aerei di un tempo. Il motivo per cui gli aerei di adesso sono estremamente sicuri è che ogni volta che avviene un incidente, grazie alle scatole nere e allo studio delle situazioni in cui è accaduto il disastro, si può fornire una informazione precisa a tutte le compagnie che hanno costruito gli aerei per favorire la comprensione di quello che è andato male e la possibilità di prendere le necessarie contromisure. Quindi gli aerei sono diventati sicuri, non indipendentemente dagli incidenti, ma al contrario sono oggi tali solo perché c’è stata una rilevante quantità di incidenti aerei che hanno permesso di eliminare una buona parte delle cause che li avevano provocati. Molto spesso gli incidenti di adesso sono dovuti a modelli nuovi che sono ancora instabili. Quindi è chiaro che se immaginiamo per i reattori nucleari lo stesso percorso per raggiungere la sicurezza che c’è per gli aerei, bisognerebbe passare tramite tutta una serie di incidenti che tendono a eliminare le varie possibili cause. Solo che nel caso degli incidenti nelle centrali e nei reattori nucleari le conseguenze sono assai più devastanti e protratte nel tempo.
Il superabile problema dell’intermittenza della illuminazione solare
Ritornando al confronto tra solare e nucleare, uno degli argomenti che viene presentato a favore del nucleare – forse quello principale – è quello della intermittenza dell’illuminazione solare. Del resto è evidente che la luce solare c’è di giorno e non di notte. Quindi a mezzogiorno si realizza un picco della presenza di illuminazione solare che diminuisce lungo l’arco della giornata.
Possiamo guardare all’esperienza californiana. In California il picco solare è sempre a mezzogiorno e in quella situazione il prezzo dell’energia diventa negativo. Una cosa fondamentale da capire, quando si fanno tutti i calcoli economici, è che il prezzo dell’energia viene messo in rete, c’è una borsa energetica, l’energia viene comprata dai vari attori che sono interessati al suo utilizzo e il costo dell’energia dipende tantissimo dall’ora. Quindi si verifica un avanzo di energia durante le ore di giorno e i prezzi diventano addirittura negativi, dato che sarebbe davvero complicato bloccare il funzionamento degli impianti che producono energia sfruttando l’illuminazione solare.
La prima domanda da porsi è dunque la seguente: il ricorso al nucleare può essere utile per controbilanciare il problema della intermittenza solare? Ripeto, quello della intermittenza del solare è un tema certamente serio, perché non c’è solo intermittenza tra giorno e notte, ma anche quella da un giorno a un altro, vi sono giornate con più sole ed altre con molto meno, poi naturalmente vi è l’intermittenza su un più lungo periodo cioè quella determinata dalle variazioni stagionali, tra inverno ed estate.
Il ricorso al nucleare non risolve il problema
Ma il ricorso al nucleare non è assolutamente capace di risolvere questi problemi dell’intermittenza. Torniamo alla situazione che abbiamo preso ad esempio, quella della California. Cosa servirebbe veramente in quel caso, se volessimo ricorrere a impianti nucleari per ovviare ai periodi di inesistente o scarsa illuminazione solare? Bisognerebbe disporre di impianti nucleari che si spengono quando c’è il picco dell’illuminazione solare e si riaccendono la notte. Fatemi fare una breve digressione: mentre gli impianti a gas sono praticamente un grande fornello – se mi passate la semplificazione - dove possiamo tranquillamente aumentare l’intensità del gas, altre fonti energetiche, per esempio quella del carbone, non ci offrono simili possibilità di modulazione perché sotto una certa quantità di energia prodotta, la centrale non può funzionare e per fare ripartire una centrale a carbone spenta ci vogliono uno o due giorni. Il nucleare presenta un aspetto fondamentale per cui l’operazione accendi-spegni e viceversa non può essere fatta ed è un problema molto tecnico per quanto riguarda le centrali a nucleare standard, che non sono quelle di quarta generazione, ma i mini-reattori che sono l’unica cosa che è pensabile in un futuro non estremamente lontano e che però non sono facilmente bloccabili.
Il motivo è costituito da una ragione fisica molto semplice. Quando la reazione nucleare viene spenta, si formano, mediante tutta una serie di reazioni nucleari, dei prodotti che tendono in qualche modo ad avvelenare la reazione e bisogna aspettare che questi prodotti decadano prima di potere fare ripartire di nuovo la reazione. Quindi un impianto nucleare spento è un po’ come quello a carbone, ha bisogno di due o tre giorni di tempo per potere ripartire.
In una situazione come quella della California, il nucleare rimarrebbe attivo tutto il giorno e quindi a questo punto contribuirebbe anche lui a un eccesso di produzione durante la presenza di illuminazione solare.
La situazione europea e italiana ancora lontana da quella della California ma ci stiamo evolvendo in questa direzione.
Anche nel nostro continente il picco di richiesta dell’energia elettrica è di giorno: il consumo dell’energia è molto più alto di giorno, che durante la notte. Nel passato, fino a qualche anno fa, prima dell’introduzione massiccia del solare, i prezzi erano molto più alti di giorno e avevano un picco a mezzogiorno. L’Italia per molti anni, ma ora non più, acquistava energia dalla Francia di notte, l’accumulava – poi vediamo come avveniva l’accumulo – e gliela rivendeva di giorno. Quindi la produzione nucleare francese di energia che non poteva essere interrotta di notte, e che costituiva un enorme avanzo di energia prodotta, veniva acquistata da chi poteva immagazzinarla per poi rivenderla di giorno. E su questo acquisto dell’energia nucleare di notte per poi rivenderla alla Francia di giorno, l’Italia ha realizzato una quantità enorme di guadagni. In sintesi, l’eccesso di produzione di energia da parte della Francia poteva essere utilizzato grazie all’acquisto da parte di chi poteva immagazzinarlo.
Questo avveniva una volta, ma adesso è diverso. Grazie al grande aumento della produzione dalle rinnovabili, non solo in Italia, ma in tutta Europa, il quadro sta cambiando rapidamente e si sta passando ad una situazione in cui l’eccesso energetico è verso il mezzogiorno solare e non di notte, come era una volta a causa della produzione di energia da parte delle centrali nucleari francesi. Ci vorrà molto tempo prima che si arrivi in Italia ad avere sempre una situazione di eccesso di produzione di giorno, tuttavia è già avvenuto una volta: il primo maggio del 2025, giorno festivo con fabbriche chiuse, quando il prezzo di vendita dell’energia elettrica è andato quasi a zero per qualche ora. Ci stiamo avvicinando ad una situazione californiana ed episodi di questo tipo diventeranno sempre più frequenti (come già incominciano ad esserlo in Germania e nei paesi scandinavi).
Ma in ogni caso il nucleare, essendo rigido, come una volta aveva problemi di notte quando c’era una sovra-produzione e non poteva essere spento, avrà molto probabilmente lo stesso problema di giorno quando dovrà comunque restare attivo. Non si può quindi immaginare di compensare l’intermittenza del solare con il ricorso al nucleare. Quindi il nucleare non ha nessuna necessità di essere rimesso in Italia.
Come risolvere il problema dell’intermittenza
I progetti nucleari non sono particolarmente nuovi rispetto a quelli che già esistono. La quarta generazione potrebbe essere qualcosa di interessante, ma dalla realizzazione effettiva della quarta generazione per il momento siamo assolutamente lontani e il problema invece dell’intermittenza del solare, che è un problema vero, specialmente una volta che si passa a una quantità di produzione molto più alta di energia elettrica tramite il solare. Il problema quindi non può essere ignorato, ma va però affrontato non certo con il ricorso al nucleare ma in maniera completamente diversa.
Ci possono essere varie cose che possono essere fatte. Ci sono due sistemi fondamentali per cui possiamo accumulare l’energia. Possiamo accumulare l’energia in batterie a litio. Il costo delle batterie di questo tipo sta diventando sempre più basso. Il litio non è particolarmente caro e quindi le tecniche di costruzione non presentano costi proibitivi.
Vi è poi l’altra tecnica, che è quella che veniva utilizzata nel passato e che può essere usata anche nel futuro: si tratta del cosiddetto idroelettrico pompato. Che cosa è e come funziona? Volendo esemplificare in modo semplice potremmo dire che può essere paragonato alla famosa tela di Penelope o all’inverso di questa. Partiamo dal funzionamento degli impianti idroelettrici: immaginiamo che piova, l’acqua nel bacino aumenta, arriva alla diga, quindi scende giù e questo movimento viene trasformato in energia elettrica.
Ma, trattandosi di motori elettrici, l’impianto può funzionare in modo esattamente opposto, ovvero si prende l’acqua in basso e la si porta sopra. Poi, quando c’è bisogno, la si fa di nuovo scendere. Per questo ho fatto l’esempio di Penelope che tesseva e poi disfaceva la tela. Nel nostro caso qual’è il vantaggio? Il vantaggio è che l’acqua può essere portata in alto in un momento in cui il costo dell’energia elettrica è minore e può essere portata in basso, producendo quindi energia elettrica, al momento in cui questa serve.
Quindi, ed è esattamente quello che succede, l’idroelettrico può funzionare come un enorme accumulatore di energia elettrica, non sufficiente probabilmente per l’intera estate o per l’inverno, ma certamente per potere controbilanciare la differenza dell’illuminazione solare tra la mattina e la sera. Bisogna, ovviamente, a questo punto, costruire delle installazioni capaci di compiere questa operazione. Ci sono già tutta una serie di impianti installati che con il Pnrr potrebbero e dovrebbero aumentare.
L’importanza dell’accumulazione
Quindi c’è un cospicuo e mirato investimento da fare in questa direzione, in modo di aumentare la possibilità di avere accumuli a basso costo e questo dovrebbe, in qualche modo, bilanciare nel futuro una situazione in cui ci fosse un’eccessiva produzione di energia elettrica solare di giorno. A questo punto si può certamente immaginare di aumentare notevolmente la capacità dell’idroelettrico, tanto più che poi si possono anche utilizzare soluzioni completamente nuove dove potere immagazzinare l’acqua, come, per esempio, nelle miniere del tutto esaurite. Insomma ci sono diverse possibilità per incrementare la potenzialità di accumulo di energia elettrica.
Gli accumuli possono essere fatti anche in ambienti domestici. Anzi si può dire che un accumulo domestico è fondamentale perché se fatto in una situazione in cui c’è la produzione domestica di energia elettrica, permette di accumularla senza dovere passare per la rete. Quindi a questo punto il singolo produttore domestico di energia elettrica la accumula e poi la riutilizza la sera.
Inoltre dobbiamo ricordare che la produzione domestica di energia elettrica può essere combinata moltissimo con degli impianti di pompe di calore. D’inverno, ad esempio, si può mettere delle pompe di calore che riescono ad assorbire l’energia elettrica prodotta. Non a caso, ci sono tutta una serie di sistemi di questo tipo che possono permettere di assorbire e poi utilizzare il picco di mezzogiorno di produzione energetica solare.
I carburanti sintetici
Un’altra soluzione che si sta profilando per il futuro è quella fornita dal carburante sintetico. I carburanti sintetici sono estremamente importanti perché mentre possiamo pensare di passare in un futuro più o meno lontano a una completa elettrificazione delle autovetture, diventa difficile pensare di avere un’elettrificazione dei Tir perché la quantità di batterie necessaria per ciascun Tir sarebbe estremamente elevata. E così si può dire anche per quanto riguarda una elettrificazione completa delle navi. Per non parlare degli aerei. Quindi le navi, gli aerei, i Tir dovranno continuare ad utilizzare del carburante. L’opportunità che si apre per il fotovoltaico è che si può immaginare di realizzare dei processi chimici che convertono l’energia elettrica in carburante in modo da renderlo effettivamente utilizzabile..
Ma questi carburanti prodotti dall’elettrico ora sono relativamente costosi. Il costo attuale, per esempio, di un prodotto da un impianto medio cileno, si aggira attorno ai 5 euro al litro. È possibile che questi prezzi vengano ridotti a 2 euro al litro e in ogni caso abbiamo visto che tutte queste cose vanno nella direzione di avere dei costi sempre più bassi. Per esempio, anche all’Enel di Roma vi è un progetto il produrre cherosene dall’energia solare raccolta nel Lazio.
In sostanza siamo in una situazione in cui si tende sempre di più a trovare strade alternative per la produzione dell’energia elettrica che può essere accumulata o nelle batterie di litio, in cui i prezzi stanno crollando, o in un sistema di idroelettrico pompato. L’Italia è un posto magnifico in Europa per l’idroelettrico pompato, perché ha non solo le Alpi ma anche gli Appennini e quindi è in una situazione infinitamente migliore di quella del nord Europa in cui non ci sono montagne così elevate.
Il problema dei picchi di produzione non è affatto drammatico
Possiamo avere piccole batterie per conservare il surplus generato; possiamo produrre sia idrogeno che carburanti sintetici mediante il fotovoltaico e poi possiamo utilizzare tutto l’idroelettrico pompato per andare in reazione apposta. Quindi non dobbiamo considerare come drammatico il problema, che è ancora molto lontano, di avere un eccesso di produzione elettrica di giorno. Questo non ci deve preoccupare subito, casomai è un problema del futuro.
Ovviamente ci sono tutte una serie di investimenti che dobbiamo fare per quanto riguarda la produzione di energia elettrica. Le reti esistenti sono obsolete: la rete italiana dovrebbe essere digitalizzata in maniera tale da potere utilizzare una serie di piccoli impianti che vengono fatti. Abbiamo necessità di collegare bene tutto il sistema, per evitare i problemi di congestionamento che abbiamo visto. Se tutto questo si fa, non è impossibile immaginare che l’Italia possa diventare in futuro anche un esportatore di energia elettrica nelle ore di punta verso il nord d’Europa. Per queste ragioni non vedo queste eccessive preoccupazioni che possono derivare dall’intermittenza della luce solare, a condizione però che si capisca che bisogna fare gli investimenti necessari. Ma è chiaro che se uno fa investimenti sul nucleare non riesce ad investire nella quantità dovuta in altri settori a questo alternativi e per giunta strategici.
La soluzione della geotermia
Una ultima considerazione riguarda la situazione della geotermia, che costituisce una ricchezza enorme dell’Italia rispetto ad altri paesi. C’è già un impianto geotermico che funziona molto bene a Larderello e ci sono tutta una serie di possibilità di fare impianti di geotermia in tanti altri posti. Questi impianti sono di due tipi diversi. Uno è costituito da impianti di geotermia che producono l’energia elettrica direttamente, tipo quelle di Larderello, che si possono ampliare molto probabilmente di un fattore tre o quattro. L’altro consiste in impianti geotermici che vanno a profondità minore e che non vengono utilizzati per produrre l’energia elettrica, ma semplicemente per scaldare l’acqua, finalizzandola al riscaldamento delle case.
Quindi si può utilizzare la geotermia proprio per diminuire la quantità di combustibile che adesso è indispensabile per il riscaldamento domestico. Il grande vantaggio per cui la geotermia è estremamente importante, è che questa è l’unica risorsa rinnovabile esistente che è programmabile e non è intermittente.
Mentre, come abbiamo già visto, il solare è intermittente, quindi non potete programmarlo in anticipo come non è possibile fare neppure con l’eolico, la geotermia è programmabile, quindi si possono fare impianti geotermici che lavorino esattamente e solo nei momenti in cui serve l’energia elettrica. Perciò la geotermia è assolutamente complementare al solare. Il risultato finale è che non si vede nessun motivo per cui si debba ritenere che il nucleare possa essere utile.
Il solare è certamente a costi minori, il problema di intermittenza si può risolvere mediante l’idroelettico pompato, mediante tutta una serie di batterie, mediante la produzione di carburanti sintetici da elettrico – produzione che adesso è molto costosa ma pian piano lo diventerà sempre meno – e anche con il geotermico come alternativa per potere avere una produzione di energia elettrica in una situazione in cui non c’è presenza di illuminazione solare.
La necessità di una politica energetica per la transizione
Però tutto questo richiede una grande quantità di interventi, ovviamente una sperimentazione per quanto riguarda la produzione di carburanti dall’energia elettrica e un forte investimento per quanto riguarda la rete, perché tutte queste cose non erano state neppure immaginate al momento in cui veniva fatta la rete e quindi questa deve essere completamente rimodernata e bisogna investire nella produzione di tutto questo cercando poi di avere dei prodotti e dei risultati che siano sostenibili.
Ritornando un attimo alle considerazioni precedenti, non si capisce perché debba essere una società privata a mettere i pannelli solari sugli edifici pubblici. Bisogna invece costruire le condizioni per disporre di una struttura pubblica che sia in grado di fare questi interventi e che poi si possa gestire tutto questo senza causare tutte quelle oscillazioni di mercato che non fanno bene né ai produttori, né a coloro che svolgono i lavori di posizionamento dei pannelli o di funzionamento degli impianti, né ai consumatori di energia.
In conclusione direi che tutti gli argomenti che vengono o possono essere portati a favore della reintroduzione del nucleare non hanno senso. Bisogna invece puntare sul solare e, seppure in misura minore, sull’eolico e certamente sul geotermico. Ci vuole una politica economica che punti a investimenti pubblici in questi settori perché se questi non si fanno ci troveremmo di nuovo al punto di partenza.
[1] Il presente testo è la trascrizione, rivista dall’Autore, della introduzione del Professor Giorgio Parisi (Premio Nobel per la Fisica 2021) al webinar “Energie rinnovabili per l’autonomia energetica, il nucleare che c’entra?” organizzato dal Comitato SI’ alle rinnovabili NO al nucleare il 14 aprile 2025
[2] I tre referendum del novembre 1987, i quali hanno sancito l’abrogazione della norma che consentiva ad Enel di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero; della norma che prevedeva misure compensative in favore dei comuni che ospitavano centrali a carbone e nucleari; nonché della norma che prescriveva la competenza del Cipe a disciplinare la localizzazione degli impianti in caso di inerzia degli enti locali competenti (leggi 1983 n.8 e 856 del 1973), hanno di fatto comportato la cessazione delle attività e degli investimenti nel settore nucleare nel nostro paese. Parteciparono al voto oltre il 65% degli aventi diritto e la percentuale dei Sì all’abrogazione delle norme di legge sopra richiamate segnò una netta maggioranza (dal 71% all’85% a seconda dei vari quesiti)
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