Chi paga dazio?

Chi paga dazio?

Paolo Benvegnù*
La fiera opposizione europea alla provocazione trumpiana dei dazi sulle merci europee esportate negli Stati uniti si è squagliata come neve al sole. La presidente della Commissione Europea ha ingoiato, senza perdere il suo sorriso stereotipato, un rospo dalle dimensioni colossali.
C’è chi dice che poteva andare peggio, che le diverse posture, interessi soprattutto, dei paesi dell’Unione Europea hanno consigliato di cercare un accordo, seppure al ribasso. L’asticella era fissata a un accettabile 10%, ma è salita al 15%. A corredo dell’accordo: l’assunzione di impegni di acquisto di gas per 750 miliardi in 3 anni, a costi naturalmente più elevati dei contratti in corso con altri paesi; 600 miliardi di investimenti diretti negli Stati Uniti; una cifra non ancora definita, centinaia di miliardi, forse mille, in armamenti.
Ora, poco c’interessa la pletora di commenti che circola in queste ore, la valutazione degli impatti sulle esportazioni, gli effetti sull’occupazione, se si sono calate le braghe o si è evitata una guerra commerciale. A mio avviso l’Europa si è calata anche le mutande, e fare un confronto con la Cina sarebbe perfino impietoso. Il punto è che alla fine della fiera bisogna indicare una risposta.
Già sarebbe un grande risultato una mozione di sfiducia in parlamento europeo contro Ursula e la sua commissione, ma c’è un problema che va affrontato immediatamente e concretamente anche nel nostro paese. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono del valore di 65 miliardi distribuiti in vari settori: dalla farmaceutica all’agroalimentare, a quello della moda, alla meccanica ecc. Va da sé che un calo delle esportazioni con i dazi al 15%, a cui va aggiunta una percentuale quasi equivalente per la svalutazione del dollaro, va messo nel conto.
Per la destra e per Confindustria non si tratta di un disastro. Si potranno cercare altri mercati di sbocco, si cercherà di scaricare una parte dell’aumento dei prezzi sui consumatori e si cercherà di contenere, ridurre, i costi di produzione. Ecco qui la risposta vera! L’impatto dei dazi sarà in larga parte scaricato sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori riducendo l’occupazione, riorganizzando il lavoro, aumentando lo sfruttamento e contenendo i salari e i compensi del lavoro: un altro giro di vite. Per i padroni un’occasione da non buttare via.
La risposta non può che essere quella di rovesciare un modello basato sulle esportazioni che fa acqua da tutte le parti. La stessa risposta vale anche per la torsione verso l’economia di guerra. Oggi diventa ancora più necessario e decisivo l’intervento pubblico in economia, la crescita dei salari e delle pensioni, gli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella sanità, nella riconversione ecologica delle produzioni, nella messa in sicurezza dei territori, nel contrasto ai cambiamenti climatici. Un nuovo paradigma che basi la risposta all’inasprirsi del quadro della competizione internazionale, alla folle corsa al riarmo, sul soddisfacimento dei bisogni sociali, sulla cura del bene comune. Anche questa è economia. Un’altra economia per l’interesse dei molti contro quello dei pochi.
*resp. nazionale Lavoro di Rifondazione Comunista


‎”Tutti a dire della rabbia del fiume in piena e nessuno della violenza degli argini che lo costringono.” – (Bertolt Brecht) -

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