
Referendum sulla cittadinanza, ma quale invasione?
Pubblicato il 5 giu 2025
di Patrizia Pallara -
Le falsità sul quesito n. 5 smontate punto per punto -
In questo caso si sono sbizzarriti. Il quesito n. 5 dei referendum, quello sulla cittadinanza, è stato un’occasione ghiotta per razzisti, xenofobi, propagandisti, fautori della supremazia dell’italianità per diffondere fake news e argomentazioni infondate, ingannevoli, ambigue.
Politici locali e nazionali, deputati, senatori, giornalisti, opinionisti, frequentatori di show televisivi, blogger, influencer di ogni risma si sono scatenati. E così quella che è circolata è una narrazione falsa, una disinformazione creata ad hoc, che è diventata per molti la verità. E allora analizziamola questa “verità”.
La scheda gialla dice il vero
La scheda gialla titola: “Cittadinanza italiana: dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana”. Quello che chiede il quesito è relativamente chiaro: vogliamo abrogare alcune parti della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante Nuove norme sulla cittadinanza?
Oggi per avere la cittadinanza le persone maggiorenni nate in un paese extra Ue devono risiedere legalmente in Italia per almeno dieci anni. Il quesito propone di dimezzare questo tempo, da 10 a 5 anni. Restano invariati tutti gli altri requisiti: conoscenza della lingua italiana (almeno livello B1), disponibilità di un reddito adeguato, assenza di condanne penali gravi e di pericolosità sociale.
Regalerà la cittadinanza a milioni di clandestini
Abbiamo anche letto e sentito: è un via libera all’invasione per decreto popolare, una sanatoria mascherata per clandestini, la cittadinanza data come gadget. E chi più ne ha più ne metta.
Queste affermazioni sono tutte false. Il referendum non prevede alcuna concessione automatica della cittadinanza, tanto meno a persone irregolari: si limita a modificare uno dei requisiti di accesso per chi è già regolarmente presente in Italia e non ha nulla a che fare con l’ingresso o la regolarizzazione di migranti cosiddetti clandestini.
Secondo il Centro studi Idos i potenziali beneficiari della riforma sarebbero circa 1,4 milioni di cittadini non comunitari con permesso di soggiorno di lunga durata e 284 mila minori (i figli minori di chi acquista la cittadinanza italiana, se conviventi, la acquisiscono a loro volta). Nessuno di questi è privo di documenti: si tratta di persone che risiedono legalmente in Italia.
Chiunque potrà diventare italiano senza controlli
Un’altra affermazione priva di fondamento. Il referendum non modifica i controlli effettuati dal ministero dell’Interno per la concessione della cittadinanza, ma solo la durata della residenza legale continuativa richiesta per poter presentare la domanda. Gli altri criteri stabiliti dalla legge n. 91/1992 non sono oggetto del referendum e restano immutati. Viene concessa con decreto del presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del ministro dell’interno.
L’ottenimento è subordinato a un’istruttoria dettagliata da parte della prefettura, che comprende verifiche sul reddito, sulla permanenza legale, sulla conoscenza linguistica, su illeciti commessi e sulla pericolosità sociale del richiedente e dei familiari conviventi.
È un complotto della sinistra per guadagnare voti
Abbiamo anche letto e sentito: il vero obiettivo è creare nuovi elettori allineati a una certa ideologia progressista, a scapito della volontà popolare; un’operazione di ingegneria demografica per la naturalizzazione pilotata. L’idea di una regia politica occulta per modificare il corpo elettorale è stata promossa da più parti: si va da network di area neoconservatrice a siti sovranisti e identitari, fonti che non vale neppure la pena citare.
Affermazioni tutte false perché prive di fondamento. Innanzitutto il referendum è stato promosso da un vasto fronte politico, Più Europa, Possibile, Radicali Italiani, Partito socialista, Rifondazione comunista, Partito democratico, Europa Verde-Verdi, Sinistra italiana, e da un’amplissima cordata di organizzazioni della società civile, dalle Acli ad Amnesty, dalla Caritas alla Fondazione Migrantes, al gruppo Abele, Oxfam. Ha raccolto oltre 637.000 firme in pochi mesi ed è stato dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale.
Inoltre il referendum non modifica i requisiti di iscrizione alle liste elettorali, né prevede automatismi nell’acquisizione della cittadinanza che continua a essere regolata da criteri precisi stabiliti dalla legge n. 91/1992. L’accusa di complotto per importare voti è quindi una fandonia bella e buona.
Gli immigrati potranno votare alle elezioni politiche
O anche: ci toglieranno il diritto di scegliere chi ci governa; attenzione, maggioranza elettorale straniera in arrivo. Verrebbe da sorridere di queste scemenze se non fosse che vengono spacciate per verità. E invece sono palesemente false.
Il referendum non permetterà agli immigrati di votare direttamente o automaticamente. Il diritto di voto alle elezioni politiche (e ai referendum) è riservato esclusivamente ai cittadini italiani, principio che non viene in alcun modo modificato. Propone semplicemente di ridurre da 10 a 5 anni il periodo minimo di residenza legale continuativa necessario per poter fare domanda di cittadinanza. Solo dopo aver ottenuto la cittadinanza, a seguito di un processo di valutazione, si può accedere al diritto di voto.
È inutile: i requisiti per la cittadinanza sono già flessibili e sufficienti
È fuorviante. Il requisito dei 10 anni di residenza legale e continuativa in Italia necessario per consentire a un extracomunitario di chiedere la cittadinanza è tra i più restrittivi in Europa. Il referendum propone di ridurlo a 5 anni (gli altri criteri di merito, lo ripetiamo, rimangono invariati) e di allineare il nostro Paese agli standard del continente: servono 5 anni per esempio in Francia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi e Svezia.
Peraltro, la procedura per l’ottenimento della cittadinanza è molto lunga: i tempi di attesa possono superare i tre anni. E si registrano criticità nel processo amministrativo e difformità in base ai territori. Accorciare i tempi non incide su questi aspetti ma interviene sulla fase iniziale del percorso, migliorando la coerenza tra una lunga permanenza e il riconoscimento dei diritti civili. Se vinceranno i sì, quindi, l’impatto sarà concreto e non solo simbolico.
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