
Dopo la fine del comunismo storico novecentesco
Pubblicato il 26 mag 2025
di Diego Giachetti -
Il libro, André Tosel, Sulla crisi storica del marxismo. Saggi, note e scritti italiani, a cura di Sergio Dalmasso, pubblicato da Mimesis (2025), è il compimento di un debito personale verso l’autore, che il curatore ha avuto la fortuna di conoscere. Omaggio a un pensiero complesso, un interrogarsi che ha percorso l’intera vita di questo intellettuale e attivista politico. Partecipe, per sua stessa ammissione, al travaglio di una generazione che ha vissuto sia le speranze della rivolta operaia e studentesca del 1968, sia la convinzione che la strategia comunista del passaggio democratico al socialismo potesse introdurre importanti riforme nella struttura sociale. Una generazione che ha vissuto in breve tempo l’affermazione e lo scacco di quella strategia.
André Tosel (Nizza 1941 – 2017) ha insegnato presso le università di Parigi, Digione e Nizza. I suoi studi e interessi spaziano da Kant a Spinoza a Marx e Gramsci di cui è stato il maggior conoscitore e traduttore in Francia e sulla filosofia italiana (Vico, Labriola, Gentile). Di formazione cattolica, studente alla Scuola Normale Superiore, subisce l’influenza di Louis Althusser. L’indignazione contro la guerra francese in Algeria lo indirizza verso il marxismo, con le dovute cautele derivanti dallo choc prodotto dal rapporto Kruscev sui crimini di Stalin del 1956, il culto della personalità, l’intervento sovietico in Cecoslovacchia nel 1968.
Con Althusser è alla ricerca di un’uscita a sinistra dallo stalinismo. La intravede nel maoismo, nella rivoluzione culturale e aderisce, nella seconda metà degli anni Sessanta, a un gruppo politico filocinese. La delusione per le posizioni politiche assunte dalla Cina e la scoperta del pensiero di Gramsci lo spingono, nel 1973, all’adesione al Partito comunista francese. Ben presto deluso, si allontana dal partito criticandone l’immobilismo e il dogmatismo, per poi rientrarvi, nei suoi ultimi anni, sulla spinta del Front de gauche.
Nel libro, composto da un’introduzione di Fabio Minazzi, da un saggio del curatore in cui ricostruisce il suo percorso filosofico- politico, e da uno scritto autobiografico dello stesso Tosel, sono raccolti suoi contributi pubblicati su riviste italiane appartenenti all’area della nuova sinistra e del marxismo critico, e altri su Gramsci e non solo. Completano l’opera i messaggi e gli omaggi seguiti alla sua improvvisa scomparsa. Si tratta di scritti elaborati dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica aventi come referente la fine del comunismo storico novecentesco e la crisi della socialdemocrazia, messi sotto scacco dalla rivoluzione neoliberista indotta dalla ristrutturazione e delocalizzazione del capitalismo.
Fine del comunismo storico novecentesco
Le forze anticapitaliste sono al punto più basso dal 1848, scrive, e lasciano il campo aperto a un sistema mondo capitalistico senza un antagonista diretto, sostituito da una frammentazione contraddittoria delle forze di resistenza con scarsa attitudine alla convergenza. Si conclude l’epoca delle rivoluzioni moderne, non quella delle rivolte collettive. L’idea di rivoluzione comunista, cresciuta nel mito della rivoluzione bolscevica, aveva le proprie leggi obiettive, i propri specialisti, i rivoluzionari di professione, un soggetto rivoluzionario, la classe operaia. Il crollo di quella parabola invalida il modello, lascia campo aperto all’infinita elaborazione del lutto, al disincanto, a una giusta collera di moltitudini che vivono nel mondo del capitalismo globalizzato e producono rivolte multiple incapaci di convergere. Per l’autore, due sono gli elementi da sottoporre a critica: il culto smisurato del progresso, della crescita senza limiti delle forze produttive e la presunzione di un blocco omogeneo costituito dalla classe come soggetto, dal partito e dallo Stato quale unico interprete dell’essere sociale.
Che fare? Ritornare a Marx? È un buon proposito a patto di tener conto del fallimento dell’esperienza che si è ammantata del suo nome, della rivelazione degli equivoci e delle incertezze del suo pensiero e degli epigoni marxisti, responsabili di un’interpretazione teleologica e finalistica nella quale la classe operaia ha subito un processo di mistificazione, diventando una sorta di spirito hegeliano rovesciato e conficcato nella terra. Si è rivelata errata l’idea che le contraddizioni indotte dallo sviluppo del sistema capitalistico producessero le soluzioni risolutive e l’agente sociale risolutore. La classe operaia si è rivelata spesso un soggetto tutto interno al capitale, asservita economicamente e politicamente. La sottomissione del lavoro al capitale è andata oltre il processo di produzione, si è estesa, nella forma di mercificazione universale della vita quotidiana, alle strutture della riproduzione familiare e ai processi di formazione della struttura di personalità degli individui.
Se siamo sicuri dell’esistenza di una condizione operaia, fondata sullo sfruttamento e sulla collocazione simbolica in fondo alla scala sociale, altrettanto non siamo che questa condizione comporti necessariamente una classe operaia intesa come soggettività storica rivoluzionaria anticapitalistica. Il capitalismo non conosce limiti, produce e risolve le sue contraddizioni, passa da una crisi all’altra dimostrando una capacità proteiforme di superamento-adattamento, anche nel manipolare l’essere sociale, rivoluzionando le strutture organizzative e produttive sotto lo sprone della legge del valore.
Se la coscienza di classe non è scontata, tantomeno lo è la lotta di classe. Essa è solo una probabilità fattuale che può verificarsi in specifiche circostanze di tempo, di luogo e in forme diverse. Inoltre, la conflittualità non necessariamente diventa coscienza trasformativa e rivoluzionaria del sistema. Può produrre l’integrazione nel sistema, perché i conflitti che nascono su base economica non sono necessariamente contraddizioni nel senso inteso da Marx, e non conducono inevitabilmente all’aperta lotta politica delle classi.
Lo spirito di scissione
L’offensiva neoliberista ha attaccato e destrutturato le forze sociali capaci di organizzarsi: la classe operaia in primo luogo e le sue istituzioni, nonché altre forme collettive pubbliche. La ristrutturazione capitalistica ha esasperato la frammentazione del genere umano, mentre la classe operaia è stata riportata alle condizioni del secolo scorso. Ha svuotato lo stato sociale, perché troppo costoso per i mutati meccanismi di appropriazione. L’infinito della produzione ha conquistato l’infinito del consumo. L’infinità dell’accumulazione penetra nei settori del servizio pubblico e dei beni comuni: istruzione, sanità, sicurezza sociale, media, cultura, pensioni. Divora il mondo e le sue risorse naturali, cambia l’ecosistema, conquista il pianeta, mette a repentaglio le condizioni di riproducibilità del genere umano.
La sottomissione alla logica del capitale sta trasformando la democrazia rappresentativa in un partito unico di un capitalismo anonimo, senza borghesia né coscienza borghese. La riduce a gioco procedurale che regola un nuovo tipo di mercato, quello della politica dove si svolgono negoziazioni e contrattazioni neocorporative tra interessi organizzati. È la crisi della democrazia parlamentare, sequestrata dai ceti politici, che si riduce all’alternanza di élite omologate, sottomesse alle medesime logiche di gestione e ha come effetto l’aumento dell’astensionismo. Il mondo diventa un universo retto da un meccanismo tendenzialmente automatico che ci trascina verso una crisi di civiltà, un futuro senza futuro, dominato dallo stato di emergenza per il pianeta e dall’urgenza del comunismo.
Il capitalismo ha reso fallace la credenza che il suo modo di produzione generi positivamente e linearmente una forma di essere in comune capace di criticarlo. È un evento non scontato, e non è certo il risultato di un’accumulazione di coscienza positiva. La generalizzazione della sottomissione al dispotismo del capitale produce una tendenza esprimibile soltanto in forma negativa che spinge a operare con spirito di scissione, cioè di rifiuto del presente per produrre una critica radicale all’essere sociale da esso modellato.
Comunismo della finitudine
Tosel invita a rinunciare alla garanzia teleologica per sostituirla con il comunismo della finitudine che non attribuisce valore di condizione finale a quella che è una forma superabile di asservimento. La fine del comunismo novecentesco impone di elaborare un’altra idea comunista all’altezza della globalizzazione capitalistica che abbia come fine la libera associazione di uomini liberi. La nuova concezione comunista è una negazione determinata che non accetta il divenire infinito, ma limita la potenza dell’infinito all’interno di un mondo finito. Comunismo della finitudine come triplice negazione e affermazione di tre referenti: il mondo, l’essere comune, la natura.
Il comunismo tradizionale si batteva per la proprietà collettiva dei beni. Elemento necessario che Tosel inverte a partire dalla costituzione di una dimensione nuova della comunità umana, della quale la socializzazione dei mezzi di produzione diventa conseguenza, non premessa o presupposto. Libera così il marxismo dalla gabbia deterministica e lo proietta verso il “regno della libertà”, quello che Gramsci designava l’umanesimo assoluto del comunismo. Così declinato il comunismo della finitudine tende a costituire una dimensione nuova di comunità umana. La trasformazione del mondo deve fondarsi su un processo di autoproduzione dell’uomo. La prassi come attività rivoluzionaria non mira soltanto alla realizzazione di un mondo nuovo, ma alla possibilità che un uomo nuovo sia alla base della trasformazione.
Tutto da ripensare è il modo di organizzare la lotta delle classi subalterne. Infatti, sottolinea Tosel, in Gramsci la formula classe operaia-proletariato lascia il posto alla categoria di masse subalterne. Il movimento comunista ha prodotto un’organizzazione che ha creato una frattura insanabile tra dirigenti e diretti, organizzatori e organizzati. Bisogna finirla col partito unico, il rappresentante che fa esistere il rappresentato, per far posto alla gramsciana formula dell’egemonia. Occorre un partito-movimento di legami trasversali con tutti i movimenti. Un’organizzazione capace di pensare assieme struttura e sovrastruttura, come ha fatto Gramsci con la nozione di blocco storico: un sistema in movimento che consenta di intrecciare le istituzioni politiche, giuridiche e soprattutto ideologiche con la struttura, costruendo un’interpretazione materialistica del tutto.
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