L’Italia s’è destra… destrissima, anzi fascista

L’Italia s’è destra… destrissima, anzi fascista

Intervista ad Ascanio Celestini, artista antifascista -

A cura di Alba Vastano -

“… la celebrazione che di più si presenta come identitaria (parola che piace tanto ai fascisti in democrazia) per l’estrema destra è il giorno del ricordo istituito con una legge del 2003 quando è presidente del Consiglio proprio Silvio Berlusconi, quello che dichiarava di aver costituzionalizzato i fascisti. Primi firmatari sono due cresciuti nel partito di Almirante, cioè Roberto Menia e Ignazio La Russa. Quest’ultimo protagonista della politica di estrema destra da molti anni anche per le sue dichiarazioni contro l’azione partigiana di via Rasella e per la bizzarra collezione di cimeli fascisti.” (Ascanio Celestini)

“Se non si può parlare di “ritorno del fascismo”, è solo perché dall’Italia il fascismo non se n’è mai andato, ma ha continuato a scorrere sotterraneo, come un fiume carsico, riemergendo di tanto in tanto. Le sue riemersioni, da una trentina d’anni a questa parte, sono diventate sempre più frequenti, e il revisionismo storico, nella sua forma estrema, il rovescismo, ha svolto un ruolo determinante”. (Angelo D’Orsi, storico, saggista, studioso del pensiero gramsciano).

E’ evidente che la subcultura di estrema destra è dominante nel nostro Paese e non solo perché oggi vige un governo marcatamente di matrice fascista, ma perché quel modo di vedere la società e la teoria del capo che tutto può e a cui tutti devono essere subalterni prevale da sempre nella storia del nostro Paese. C’è l’uomo solo al comando dalla notte dei tempi ad oggi: il principe, il re, il papa, il dittatore. E poi ci sono i sudditi, il popolo ‘bue’, quella porzione di maggioranza del popolo che necessità di essere comandata, sottomessa, svilita per sentirsi protetta.

Necessita di non pensare se non con un pensiero omologato, unico. Una sorta di sindrome psicotica e masochista. E poi ci sono gli antifascisti, quelli che credono nella Costituzione, nata dal sangue dei Partigiani che si sono ribellati ai nazifascisti e ci hanno donato la libertà. Per gli antifascisti sopravvivere in una società che calpesta la Costituzione antifascista è vita dura, ma non si arrendono, non si arrenderanno mai.

Con Ascanio Celestini, artista antifascista, nell’intervista che segue ci addentriamo nei decenni passati per capire quanto è profonda e antica la piaga del fascismo in Italia e perché il governo Meloni è solo la punta dell’iceberg.

Alba Vastano: Di fascismo oggi se ne fa un gran parlare e si avverte chiaramente come una minaccia incombente. In effetti non possiamo negare che i prodromi ci sono tutti. Dal nuovo governo di estrema destra al Fronte giovanile di Fratelli d’Italia, alle operazioni di squadrismo delle forze dell’ordine e dei gruppi di destra sempre più incalzanti. L’Epoca berlusconiana, paradossalmente, al confronto era democrazia. Siamo nel nuovo fascismo o è un periodo di transizione con tratti di matrice fascista? Che rilevanza dai a questo periodo storico caratterizzato inequivocabilmente da tratti neofascisti?

Ascanio Celestini: Nel 2019 Berlusconi fa una dichiarazione lucida e chiarificante. Alla domanda «Siete di destra o no?» risponde «Noi siamo di centrodestra. Anzi, il centrodestra l’abbiamo inventato noi». E poi si spiega: «Nel ’94, noi decidemmo di scendere in campo con la destra, cioè con la Lega e con in fascisti che gli altri partiti – il pentapartito che aveva governato l’Italia dai tempi dell’inizio della repubblica – avevano tenuto fuori da quello che si chiamava l’arco costituzionale. Non avevano mai permesso che Lega e fascismo entrassero al governo. Li abbiamo fatti entrare noi, nel ’94. Li abbiamo legittimati noi. Li abbiamo costituzionalizzati noi».

Per comprendere cosa sia quello che tu chiami nuovo fascismo dobbiamo leggere il percorso storico che ha attraversato. È il risultato di una sconfitta che ha le radici nel 25 luglio del ’43 con l’arresto di Mussolini e la fine del fascismo di governo col suo mito dell’impero. Il nuovo fascismo comincia a ristrutturarsi attorno al sentimento di vendetta e rivalsa dopo l’8 settembre aggrappandosi in maniera ancor più solida al nazismo tedesco e combatte per due anni una guerra contro l’Italia e gli italiani. Lo spiega Junio Valerio Borghese in una famosa intervista: «Combattere contro gli italiani non mi ha imbarazzato affatto». Siamo nel 1975 quando è già scappato all’estero dopo aver tentato il colpo di Stato dell’8 dicembre 1970. Per lui e per i suoi sodali della Decima Mas «Non era una guerra territoriale, era una guerra ideologica» e, in nome di quelle che definisce civiltà occidentale e mondo orientale, ribadisce che ancora «oggi combatto contro gli italiani» perché tra gli italiani ci sono i comunisti «che sono nemici e che se potessimo sterminarli io sarei molto contento».

Il fascismo di Salò è soprattutto questo: vendetta, rivalsa e anticomunismo. Un’ideologia che non solo ce li presenta orgogliosi dei crimini che hanno commesso, ma li vede anche pronti a commetterli di nuovo.

A. V.: E Giorgio Almirante poi lo rivendicherà quel periodo e fonderà il suo partito di chiara matrice fascista, in barba alla XII Disposizione della Costituzione.

A. C.: Giorgio Almirante lo dice con orgoglio: «Ho combattuto la nostra guerra per vincerla e non per perderla. Non ho tradito. Sono stato fascista insieme con molti italiani fino alla fine con Mussolini e se le stesse circostanze potessero riprodursi io farei certamente le stesse cose».

Nel congresso del ’56 il fascista repubblichino fondatore del MSI conia una definizione chiara per i nuovi camerati della Repubblica quando parla di una strana contraddizione, ovvero: «L’equivoco, cari camerati, è uno e si chiama essere fascisti in democrazia». Quattro anni più tardi con l’appoggio esterno del suo partito nasce il governo Tambroni che ha vita breve e soprattutto tumultuosa. Dal 26 marzo al 27 luglio del ’60 il governo più nero della storia repubblicana (fino a oggi) totalizza centinaia di arresti e decine di feriti ai quali si aggiungono alcuni morti tra i quali i 5 di Reggio Emilia ricordati nella canzone di Fausto Amodei. Ricordo che in quel 1960 i neofascisti cercano di organizzare il loro congresso a Genova, città medaglia d’oro per la Resistenza, ma una comunità resistente glielo impedisce. E anche la loro entrata al governo viene fortunatamente osteggiata.

Il paese sembra cambiare strada imboccando quella delle grandi riforme e del centro-sinistra, ma i fatti hanno messo in luce il ruolo politico centrale che l’ideologia fascista ha soprattutto per l’indirizzo atlantista. La guerra fredda impone all’Italia di schierarsi contro il blocco sovietico e agli italiani contro il comunismo. Altra questione chiarita sempre da Almirante quando l’11 agosto del ’70 in Parlamento afferma: «Abbiate la bontà di riconoscere che il patto atlantico è insostituibile, come noi crediamo». E i fascisti sono sicuramente i più fidati anti-comunisti che gli USA possono trovare in Italia.

Quattro anni prima, quando il primo governo Moro aveva portato i socialisti al governo, i carabinieri di De Lorenzo avevano minacciato un golpe (1964). Quattro mesi più tardi (dicembre ’70) ne organizzerà un altro il vecchio fascista Borghese. Tornare al fascismo delle adunate sembra ancora possibile. Quel fascismo occupa un pezzo dell’Europa del sud: Portogallo, Spagna e Grecia. Arriva in Cile nel ’73 e in Argentina nel ’76.

Sempre Almirante, emblema del fascismo che è pronto a togliersi giacca e cravatta per tornare a indossare la camicia nera, si dichiara rispetto alla dittatura dei colonnelli in Grecia.

Per lui i «veri patrioti greci» sono i fascisti. Per lui i colonnelli non hanno fatto un colpo di Stato, bensì «il popolo greco ha espresso una classe dirigente militare che lo ha salvato in un determinato momento dal pericolo più grave, dal pericolo comunista”.

E si chiede «Può portare degli inconvenienti?», ma poi si risponde «Senza alcun dubbio ogni sistema può portare degli inconvenienti. Però il regime dei colonnelli greci ha salvato la Grecia dal comunismo, ha salvato la NATO, in parte l’Europa occidentale. Ha contribuito a difenderci». Siamo in una tribuna politica del 25 maggio del ’70. Il giornalista Ennio Ceccarini deduce che «in condizioni, diciamo, più o meno simili a quelle in cui la Grecia si trovava tre anni fa il suo partito sarebbe ben lieto di una situazione che ci salvasse allo stesso modo in cui i colonnelli greci hanno salvato la Grecia». Almirante conferma: «A mali estremi, estremi rimedi. Noi siamo virilmente pronti alla realtà, senza ipocrisie. Qualora soluzioni anche di forza ci salvassero dal comunismo… ben vengano le soluzioni di forza».
A. V.: Intanto in quel periodo, parliamo degli anni 60 /70, prende corpo il periodo nero dello stragismo. Prende corpo nelle istituzioni un fascismo strisciante ovunque, in ogni istituzione, camuffato dal perbenismo borghese ipocrita e mafioso della D.C.

A. C.: Nel frattempo sono cominciate le stragi. Il fascismo ha una presenza ben articolata nel panorama della politica italiana: il partito dei fascisti in democrazia ha un piede nei governi (comuni, provincie, regioni oltre che in Parlamento); l’eversione di destra passa in scioltezza dallo spontaneismo di Mambro, Fioravanti e Ciavardini all’organizzazione di golpe e di stragi; cresce l’alleanza con la delinquenza di basso livello e con la criminalità che gestisce i grandi traffici e si relaziona col potere; si prepara alla colonizzazione dei mezzi di informazione e dei partiti politici per coinvolgere una classe dirigente presentabile e che non sia sfacciatamente amante dell’olio di ricino. E con questo ultimo passaggio siamo arrivati a quel magnifico documento trovato nel 1981 che descrive la strategia della loggia massonica P2. Ovvero il manifesto per una trasformazione democratica del paese dove «L’aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema». Ci muoviamo verso quella che il professor Zagrebelsky, in una memoria depositata al Senato, ha testualmente definito «una democrazia illiberale, autoritaria». Un fascismo senza i riti del fascismo, senza le parate e i gagliardetti, senza manganello e olio di ricino. Si potrebbe dire: un fascismo senza i ratti fascisti.

A. V.: E oggi i fascisti agiscono alla luce del sole, ratti alla luce del sole indisturbati, dichiarandosi impudicamente democratici. E’ tutto alla luce del sole con il nuovo governo benedetto dal mantra Dio Patria e famiglia. Via le straniero e i gay. Sì alla secessione dei ricchi con un’Italia spezzata e sì alla riforma del Premierato, l’uomo solo al comando. Stanno sdoganando “autorizzati dalla nuova svolta fascista del governo” il fascismo d’altri tempi . E vengono percepiti dalle masse come i garanti dei diritti costituzionali. E’ questo il nuovo fascismo.?

A. C.: Stiamo parlando ormai del governo Meloni. Il governo formato da quelle forze politiche «eredi e continuatrici di quelle stesse forze politiche che dall’inizio della storia repubblicana hanno manifestato la propria avversione alla Costituzione del ’48». Così parla Roberto Scarpinato al congresso dell’ANM di quest’anno. E non si riferisce solo ai vecchi fascisti nostalgici del saluto romano che hanno sempre «vissuto la Costituzione del ’48 come un corpo estraneo», ma anche a una casta che, pur non amando troppo le adunate e il manganello, esprime il “sovversivismo” tipico della classe dirigente di cui parla Gramsci. Una classe dirigente incapace di mantenere il potere mediante l’egemonia culturale e che è disposta a tenerselo stretto con ogni altro mezzo.

Una classe al potere che si presenta col volto della democrazia, ma che nella propria cultura ha metabolizzato le tappe del percorso lungo che riassumo: la perdita del potere del 25 luglio; la vendetta e la guerra accanto ai nazisti e contro gli italiani identificati come traditori e comunisti (i “comunisti badogliani” indicati dai tedeschi nell’eccidio delle Fosse Ardeatine); l’amnistia per tutti i reati e il riposizionamento atlantista per meriti di anticomunismo; l’eversione tra spontaneismo, malavita e pezzi dello Stato; la declinazione democratica col significato che gli viene attribuito da Licio Gelli e dalla sua razza padrona.

Se oggi ascoltiamo i loro discorsi senza tenere conto della loro storia ci sembrano strampalati, inappropriati, un po’ ignoranti. Ma basta analizzare le proposte politiche (sono sotto attacco i diritti conquistati negli anni ’60 e ’70 che i neofascisti hanno combattuto in quegli anni con le stragi) e il loro linguaggio (il culto della Decima Mas, l’omofobia, la leggerezza nel ripetere che Mussolini ha fatto cose buone, la trasformazione degli antifascisti uccisi alle Ardeatine in semplici italiani, ecc) per ripercorrere il percorso che li ha portati dal ’43 al 2024.
A. V.: Per di più è in atto un incalzante forma di revisionismo storico. Il pericolo maggiore è che il revisionismo storico è pregnante nei libri di testo scolastici e stanno indottrinando i giovani, le nuove generazioni. Fortunatamente molti studenti si ribellano ai soprusi, al capitalismo, alle guerre, ma vengono manganellati perché siamo “quasi o del tutto” in uno Stato di polizia. Come salviamo le nuove generazioni dal pensiero fascista mortale per la democrazia e per la Costituzione antifascista, messa fortemente a dura prova da toppo tempo e forse mai attuata?

A. C.: C’è una vera e propria riscrittura della Storia attraverso le celebrazioni. L’Italia colonialista è una pagina semitrasparente nei nostri libri di storia per le scuole. Pochi la studiano, pochissimi la conoscono, nessuno ne sente parlare a scuola. E l’Italia che aggredisce è completamente assente. L’invasione della Francia, Jugoslavia, Albania, Grecia e Unione Sovietica è trattata solo attraverso la sofferenza dei nostri soldati mandati a morire da Mussolini, ma poco più di una manciata di parole sono scritte per raccontare violenze che niente hanno da invidiare ai peggiori crimini nazisti. In fondo il nazismo nasce in Italia, come diceva Primo Levi, anche se poi la criminalizzazione del nazismo «ha concesso alla maggior parte degli italiani di trovarsi un alibi facile, cioè queste cose le hanno fatte loro, non le abbiamo fatte noi». E invece lo scrittore ci ricorda che «le abbiamo cominciate noi. Il nazismo in Germania è stato una metastasi di un tumore che era in Italia».

Questo “alibi” ci permette di ricordare col 27 gennaio soprattutto i crimini nei campi di sterminio con una particolare attenzione agli «italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte» come riporta la legge del 2000, ma nessuna giornata nel calendario civile degli italiani è dedicata alle tante vittime del fascismo, nonostante sia un’ideologia criminale nata nel nostro paese. Al contrario è state istituita per il 26 gennaio una giornata che celebra la vittoria degli alpini nella battaglia di Nikolaevka durante l’invasione italiana dell’Unione Sovietica!

Ma la celebrazione che di più si presenta come identitaria (parola che piace tanto ai fascisti in democrazia) per l’estrema destra è il giorno del ricordo istituito con una legge del 2003 quando è presidente del Consiglio proprio Silvio Berlusconi, quello che dichiarava di aver costituzionalizzato i fascisti. Primi firmatari sono due cresciuti nel partito di Almirante, cioè Roberto Menia e Ignazio La Russa. Quest’ultimo protagonista della politica di estrema destra da molti anni anche per le sue dichiarazioni contro l’azione partigiana di via Rasella e per la bizzarra collezione di cimeli fascisti.

Il giorno in questione pone al centro del conflitto nei territori di confine tra l’Italia e la Slovenia un crimine di guerra riconosciuto, ma estrapolato da un contesto molto più complesso.Si chiede, infatti, di ricordare «le vittime delle foibe» insieme all’esodo degli Istriani, Fiumani e Dalmati e, come corollario si accenna senza approfondirla alla «più complessa vicenda del confine orientale». Ma come è possibile raccontare la vicenda di circa quattromila persone (questo è il numero delle vittime nelle foibe) senza ricordare le centinaia di migliaia di vittime dell’esercito italiano che aveva occupato Jugoslavia, Albania e Grecia? In Germania sarebbe pensabile una celebrazione di tedeschi vittime nei paesi che loro hanno occupato, saccheggiato e distrutto? E, se già questa celebrazione non fosse un tipico uso propagandistico della Storia, in quale giorno si celebrano queste vittime italiane? Non un giorno della primavera del ’45 o dell’autunno del ’43, periodi nei quali alcuni italiani vennero gettati nelle cavità del nord-est, ma il 10 febbraio. Cioè in sovrapposizione a un evento storico che l’estrema destra italiana vuole far dimenticare. Cioè i trattati di pace di Parigi del 1947 quando furono scritte nero su bianco le colpe del nostro paese nel più grande crimine della storia: la seconda guerra mondiale.

Così l’estrema destra italiana si presenta con una fedina penale apparentemente pulita. Non tanto per non avere un lungo curriculum di scelte discutibili e persino di crimini, ma perché alla base c’è una gigantesca rimozione: al termine della guerra i fascisti non hanno subito processi. Quel poco che fu fatto è stato svuotato e velocemente cancellato. Il danno non risiede solo nella privazione di giustizia. Senza un processo non emerge nemmeno la verità. Molto spesso i responsabili principali restarono al loro posto come il generale Alessandro Pirzio Biroli, quello che asseriva che «la favola del buon italiano deve cessare […] per ogni camerata caduto paghino con la vita 10 ribelli […] ricordatevi che è meglio essere temuti che disprezzati». Inserito nel Registro Centrale per i Criminali di Guerra è stato congedato nel 1954. È morto il 20 maggio del 1962 come libero cittadino.

Il più celebre Rodolfo Graziani, anche lui criminale di guerra secondo la commissione delle Nazioni Unite, dopo qualche settimana di carcere tornò libero e diventò presidente del MSI. Alla sua morte fu scelto un altro criminale: Junio Valerio Borghese.

Una dozzina di anni fa il comune di Affile ha dedicato a Graziani un sacrario. Francesco Lollobrigida, cognato di Giorgia Meloni e ministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare, presente all’inaugurazione ha dichiarato: «Abbiamo sempre provato affetto per lui. E’ un nostro punto di riferimento».

È difficile scontrarsi quotidianamente con una narrazione superficiale, distratta e falsificata, ma ogni compagna e ogni compagno «all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare». Questo ci ricorda Gramsci. Sul primo numero de L’Ordine Nuovo, pubblicato il primo maggio del 1919 scrive: istruitevi, agitatevi e organizzatevi. E forse il primo impegno per contrastare l’estrema destra che adesso è anche al governo è proprio il primo. Quello che ci indica di acquisire conoscenze per conquistarci una coscienza e poter fronteggiare l’avanzata della melma fascista. Dunque:

«Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza…” (Antonio Gramsci, primo numero L’Ordine Nuovo, maggio 1919)

da www.blog-lavoroesalute.org

celestini6


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