Boldrini non prende la Fiat

Boldrini non prende la Fiat

di Riccardo Chiari -
L’assenza a una inaugurazione in Val di Sangro: «La ripresa non si fa con i diritti al ribasso»
Il “no” della terza carica dello Stato all’invito di Sergio Marchionne non è certo addolcito dalla formula di rito degli «impegni istituzionali già in agenda». Anzi, nella lettera con cui Laura Boldrini fa sapere che non andrà a visitare lo stabilimento Fiat di Atessa in Val di Sangro, la presidente della camera scrive che in questi ultimi anni le politiche del Lingotto – e più in generale di una buona parte del sistema industriale italiano – sono state deleterie. Non soltanto per i lavoratori. Anche per l’apparato produttivo della penisola, sempre più arrancante.
Nella risposta all’invito del numero uno della Fiat, c’è un passaggio che sembra preso dalle tante denunce fatte da vent’anni ad oggi dalla Fiom e a seguire dall’intera Cgil. «Lei concorderà – segnala Boldrini a Marchionne – che le vecchie ricette hanno fallito e che ne servono di nuove. Affinché il nostro Paese possa tornare competitivo, è necessario percorrere la via della ricerca, della cultura e dell’innovazione, tanto dei prodotti quanto dei processi. Una via non in contraddizione con il dialogo sociale e con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa».
Per l’ad del Lingotto, che aveva invitato ad Atessa la presidente della camera dopo che alla manifestazione Fiom di venerdì scorso le porte di Montecitorio erano state aperte a una delegazione sindacale guidata da Maurizio Landini, il diniego di Boldrini è un nuovo smacco. Segue la decisione della Consulta di ritenere illegittima l’esclusione dagli stabilimenti Fiat dei sindacati (Fiom e non solo) che non firmano i contratti. Né può essere di consolazione a Marchionne il fatto di non essere l’unico manager a finire dietro la lavagna. Boldrini infatti rimarca: «Emerge la portata del processo di deindustrializzazione che colpisce aree sempre più vaste del Paese. Per ogni fabbrica che chiude e per ogni impresa che trasferisce la produzione all’estero, centinaia di famiglie precipitano nel disagio sociale, e il nostro sistema economico diventa più povero e più debole».
Mentre da Torino non arrivano commenti al “no” della presidente della camera, è la sentenza della corte Costituzionale a provocare nuove reazioni. Susanna Camusso ne parla all’assemblea delle delegate Cgil e osserva: «Dobbiamo festeggiare per l’accordo firmato unitariamente a Cisl e Uil sulla rappresentanza, e perché la sentenza della Consulta dice che nessuno potrà mai cacciare un sindacato da un’azienda». Anche Raffaele Bonanni, che pure attacca la Fiom («questa vicenda nasce perché non rispetta la volontà della maggioranza dei lavoratori»), si dice convinto della portata risolutiva dell’accordo interconfederale di maggio: «Il problema è risolvibile a monte – osserva il segretario generale Cisl – nel senso che abbiamo fatto un accordo un mese e mezzo fa sulla rappresentanza, e quella regola deve valere». Di avviso opposto l’Usb: «La sentenza rende inservibile l’accordo sulla rappresentanza, e rende improcrastinabile la riassunzione del parlamento delle sue prerogative legislative anche sulle materie che riguardano la democrazia nei luoghi di lavoro». Il sindacato di base auspica che le motivazioni della Consulta, attese a giorni, «prevedano anche la necessità di una legge che finalmente regoli la rappresentanza e la rappresentatività». Su questo aspetto c’è una curiosa convergenza con il Lingotto, che subito ha fatto sapere: «Piena fiducia nel legislatore, perché definisca un criterio di rappresentatività più solido e dia certezza di applicazione degli accordi». Il motivo c’è: nel vuoto che potrebbe crearsi per l’incostituzionalità del comma dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, anche alle aziende conviene una rapida legge che regoli la materia. Ma esaminando l’accordo interconfederale, il giuslavorista Umberto Romagnoli avverte: «Per ora si tratta di un semilavorato. Solo a rodaggio avvenuto del modello di comportamento prefigurato dal protocollo si potrà condividere l’opinione che esso contiene validi spunti per ideare una cornice legislativa capace di rivitalizzare un sistema contrattuale tenuto insieme, finora, da poco più che spago e chiodi».

Il Manifesto – 05.07.13


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